Tra le molte delizie offerte da Napoli c’è il pane, non un pane qualunque ma il pane “cafone”: alla fine del 1700 era definito così il pane del popolo, quello scuro e realizzato con farine grezze che si distingueva dal pane nobile, bianco e a base di farine raffinate.
Ovunque ti giri e qualunque zona della città visiti una cosa è certa: a Napoli c’è sempre qualcosa di buono da mangiare, soprattutto quando si tratta di carboidrati. Ovviamente stai pensando subito alla pizza, ma c’è un altro prodotto partenopeo che dovresti assaggiare, una specialità dal nome singolare. È il pane “cafone”, non una pagnotta qualunque ma un tipo di pane molto particolare che trovi solo a Napoli, caratterizzato dal sapore deciso e dall’alveolatura costituita da tante bollicine minuscole. Molto buono e ideale per fare la scarpetta, è un vero vanto della cucina rustica partenopea. Ma allora, se è così buono e pregiato, perché si chiama “cafone”? Ti raccontiamo le sue origini povere e fortemente radicata nel territorio.
Il pane “cafone” ha questo nome perché era il pane della classe popolare: il termine, infatti, solitamente si usa per indicare una persona di provincia, una persona scostumata o che ha cattivi gusti. La parola cafone legata al pane ha iniziato a circolare nel 1700, quando a Napoli c’era il Regno dei Borboni: proprio durante questo periodo arrivò dalla franca il pane bianco francese (non le baguette, che furono introdotte circa un secolo dopo), un lievitato molo tenero realizzato con le farine più nobili e pregiate.
Era un pane costoso, considerato un prodotto di lusso e quindi appannaggio solo delle famiglie più ricche, di certo non il pane che preparava il popolo usando farine grezze: per distinguerlo dal pane dei ricchi ecco che venne nominato pane “cafone”, ovvero il pane fatto dall’ultimo gradino della piramide sociale. Al contrario del pane nobile, tenerissimo e dalla crosticina sottile, il pane del popolo era verace proprio come chi lo preparava, fatto non con farine di primissima qualità, ma con farine grezze, era un po’ grigiastro, con una scorza molto spessa e croccante.
Le origini della ricetta sono incerte: alcune teorie lo identificano con il pane dei Camaldoli (area nord di Napoli), altri lo riconducono alle province di Avellino e Benevento, ma più probabilmente il pane cafone nasce ai piedi del Vesuvio a San Sebastiano, paesino ai confini tra Torre del Greco e Napoli. Ovunque fosse nato, il pane “cafone” era il più diffuso tra le classi popolari, perché più economico e più saziante ma anche più longevo, tanto che veniva chiamato anche pane a ott’, ovvero che si poteva mangiare con gusto anche dopo otto giorni dalla sua preparazione.
Il pane “cafone” deve avere delle caratteristiche molto specifiche per essere definito tale: la sua crosta deve risultare abbronzata, grossa e croccante per via delle farine grezze, con al suo interno una mollica alta e perfettamente alveolata. Tutto dipende dalla lavorazione tradizionale dell’impasto, anche in questo cado frutto di regole ben precise.
Prima di tutto il pane “cafone” deve essere fatto usando il lievito madre, il composto deve riposare a lungo (e subire diverse pieghe nel corso delle ore di riposo) e la maturazione deve avvenire su tavole di legno, con l’impasto avvolto in teli di iuta. Le pagnotte ricavate devono avere pezzature grandi, da 3 o 4 kg, senza alcun tipo di taglio sulla superficie, e poi deve essere cotto nel forno a legna con una base di pietra refrattaria, come la pizza napoletana ma a temperature più basse e solo quando la lievitazione è davvero giunta al culmine.
Il risultato di questa lavorazione è un prodotto omogeneo, con una mollica color avorio dalla consistenza morbida, quasi bagnata, un'alveolatura strettissima, quasi a pois. La crosta è più spessa rispetto agli altri filoni e mantiene grossa parte dell'umidità al proprio interno, è croccante e dal colore intenso con diverse striature di marrone. Del pane cafone i napoletani amano in modo particolare o’cuzzetiell, cioè la sua estremità dalla consistenza croccante e dalla forma tondeggiante, che per tradizione si intinge nel pentolone dove il ragù sta “pappuliando”.
Originariamente non erano accettate alternative a questa modalità di preparazione, ma oggi è previsto che si possano usare altri composti al posto del lievito madre (per esempio altri tipi di preimpasti come la biga); se vuoi provare a prepararlo in casa puoi usare anche il lievito di birra classico e cuocere le pagnotte nel forno elettrico: l'importante è seguire tutti i passaggi in modo corretto così da ottenere un pane "cafone" il più simile possibile a quello della tradizione.