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14 Ottobre 2022 11:00

Il pane da dare ai boia: la storia del pancarré è piena di mistero, leggende e invenzioni

Il pancarré lo usiamo tutti per toast e tramezzini ma pochi conoscono la sua storia, piena di leggende e misteri. Addentriamoci insieme nella Torino del 1800.

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Lo usiamo tutti perché è versatile, buono, e ci permette di avere un pasto con pochi euro: il pancarré. Possiamo usare questo pane così particolare in vari momenti della giornata: a pranzo per un tramezzino, a colazione e merenda con le creme spalmabili, a cena per un toast, infinite le idee per gli antipasti più sfiziosi. Pochi sanno però che attorno a questa tipologia di pane c'è un'incredibile leggenda metropolitana che da anni spopola sul web e nelle piazze di Torino, la città a cui si assegna la paternità di questo prodotto. Vediamo insieme la storia, vera e presunta, del pancarré.

La leggenda del boia

La ricostruzione più nota ci porta nella Torino del 1800. Pare che questo pane fosse molto diffuso nel Capoluogo piemontese ed è per questo che i panettieri della città abbiano inventato il tramezzino. La nascita del pancarré sarebbe dovuta alla dispettosa voglia dei panificatori piemontesi di infastidire i boia della città. Ci teniamo a precisare che questa è solo una leggenda e unisce eventi storici, personaggi realmente esistiti, personaggi inventati e storie popolari.

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Secondo questa leggenda il protagonista sarebbe Piero Pantoni, l'ultimo boia di Torino. I cittadini lo odiano, non solo per il lavoro che fa ma anche per il suo tenore di vita: i boia dell'800 guadagnano tantissimo. Lo stipendio medio di un professore universitario è di circa 1.000 lire all'anno, il boia ne guadagna 2.000 come parte fissa e in più ha una serie di bonus: 21 lire per ogni impiccagione, 36 lire per ogni squartamento ed eventuali mance. Le persone lo detestano, non riescono a sopportare chi fa questo lavoro, anche se si tratta di una mansione della pubblica amministrazione visto che la pena di morte è in vigore. Il disprezzo per la figura di Pantoni, tra l'altro uno dei pochi boia conosciuti a trovare moglie, viene tramutato in una serie di scortesie da parte dei cittadini.

La vicinanza al confine francese avrebbe messo in contatto i torinesi e i parigini: il pane capovolto è un segno di grande disprezzo verso il cliente. In Francia i boia protestano col re che di tutta risposta emana un editto molto minaccioso nei confronti della popolazione, in Italia invece gli amministratori emanano un'ordinanza per vietare formalmente la pratica. A  questo punto i panettieri si indispettiscono ancor di più: non solo questi ammazzano la gente per soldi ma devono pure essere protetti dai politici? Escogitano un piano e per aggirare la decisione delle autorità cittadine inventano un pane a forma di mattone, uguale sia sopra sia sotto, così nessuno si sarebbe più potuto lamentare. Piero Pantoni avrebbe dunque continuato a ricevere il pane "capovolto" ma non lo sa e vive sereno.

La vera storia del pancarré

In tutta questa storia, ci duole dirlo, l'unica cosa davvero torinese è il nome del pane: pancarré è infatti un termine piemontese che deriva dal francese "pain carré", tradotto letteralmente con "pane quadrato". La traduzione letteraria è però torinese Doc: in Francia non c'è traccia di questo termine né di questo pane. Non esistono documenti antecedenti al 1900 che attestino la presenza di questo prodotto in Francia o nel resto d'Europa. La stessa Treccani ne parla da anni e secondo la celebre enciclopedia il pancarré è usato in Italia ma assolutamente sconosciuto in Francia.

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La sua nascita è "assegnata" al Piemonte per via del nome, ma anche qui ci sarebbe da discutere: non esistono riscontri ufficiali che confermino la paternità piemontese al pancarré. La stessa leggenda che abbiamo raccontato ha anche un'altra versione che la colloca nel 1391 sotto Amedeo VIII di Savoia, l'ultimo "antipapa". L

La questione dei documenti ufficiali è importante ma non sempre fondamentale: un tempo la burocrazia non era così precisa come oggi e spesso la storia dei prodotti si perde nel tempo. Questo accade raramente nei ducati storici come quello dei Savoia o come con Benevento, Parma, Bologna, città che vivono situazioni politiche abbastanza stabili anche nei periodi più tumultuosi della storia italiana. Quindi come si fa a risalire alla storia dei prodotti? Di solito ci si rifà ai romanzi e ai dipinti, ai saggi e ai primi libri di ricette. Ebbene, neanche in questo caso troviamo il pancarré.

L'opera più importante della gastronomia di Torino è "Torino descritta" di Pietro Baricco (trisavolo di Alessandro, autore dei tempi nostri molo celebre): nel saggio, datato 1869, si parla di grissini, pane, torcetti e canestrelli, non di pancarré né tanto meno di pane in cassetta. A essere pignoli il pancarré manca anche all'elenco dei prodotti tipici della Provincia di Torino da salvaguardare, dove troviamo invece gli altri elementi descritti da Baricco. Se vai in una panetteria torinese non troverai alcuna traccia di pancarré fatto in casa, se non in quelle più evolute, per così dire "contemporanee", che fanno tante tipologie di pane, con tanta ricerca e diverse qualità di farina. Nulla a che fare con la tradizione dunque.

La prima documentazione ufficiale riguardante il pancarré in realtà non è italiana ma americana: nel 1917 il dottor Otto Frederick Rohwedder inventa una macchina per affettare il pane in maniera industriale, macchinario che sarebbe stato messo in commercio nel 1928, stesso periodo in cui i Mulassano presentano al pubblico i primi tramezzini della nostra storia. Quindi dov'è nato il pancarré? Nessuno lo sa, è possibile anche che questo pane tanto associato all'Italia sia nato direttamente in America e giunto fino a noi grazie agli scambi tra commercianti, immigrati e soldati.

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