La carne di cavallo negli Usa, il latte di cocco in Nigeria, il cervello in Italia: sono solo alcuni degli alimenti che non si possono mangiare in determinati Paesi del mondo. Un elenco da tenere a mente quando si viaggia!
“Paese che vai, usanza che trovi” dice il famoso detto. E vale anche per i divieti, soprattutto quelli gastronomici. Non tutti gli alimenti, infatti, possono essere consumati in ogni parte del mondo, e pietanze che da una parte sono sdoganate, e considerate persino raffinate, da un’altra potrebbero essere vietate per legge. A guidare la scelta del divieto si trovano i motivi più vari – etici, religiosi, di salute, di etichetta – ma in ogni caso è bene saperlo, soprattutto se si ha intenzione di visitare una di queste destinazioni.
Iniziamo da una delle nazioni più controverse dal punto di vista alimentare, gli Stati Uniti d'America. Sembrerebbe strano che la patria di fast food, conservanti e cibo spazzatura possa vietare qualcosa da consumare, eppure sono diversi gli alimenti che gli americani non possono mangiare a casa loro.
Prima di tutto, la carne di cavallo: non si trova in vendita da nessuna parte – l’ultimo mattatoio ha chiuso nel 2007 – e in alcuni Stati, tra cui la California e l’Illinois, è addirittura vietata per legge. Il motivo? A quanto pare la salute (e i soldi): sembra che ai cavalli di allevamento venissero somministrati molti antibiotici e farmaci, e che non ci fossero abbastanza fondi per le ispezioni nei macelli.
La California ha anche un altro particolare divieto alimentare, il fois gras. Il famoso piatto francese a base di fegato di oca era vietato per legge in tutto lo stato fino a poco tempo fa, a causa dell’alimentazione forzata subita dall’animale per ottenere il prodotto. Recentemente la norma è cambiata, e sebbene sia vietato produrlo, può essere acquistato da rivenditori fuori dallo Stato, ma solo per uso personale: l’impiego da parte di ristoranti o rivenditori è ancora vietato per legge. Anche New York negli ultimi temi si è adeguata a questo divieto.
Chiudiamo la carrellata sui divieti a stelle e strisce con l’haggis, il piatto nazionale scozzese che sembra un budino ma che, in realtà, contiene il cuore, il fegato e i polmoni della pecora. In realtà gli USA non ce l’hanno con il piatto scozzese, ma nel 1971 venne bandito il consumo del polmone di pecora, ingrediente chiave della preparazione, e quindi si è finito per non proporre l’haggis, oppure a proporlo sostituendo i polmoni con altre parti (legali) dell’animale.
Gli Usa, l’Europa, e anche l’Italia dal 1992, hanno severamente vietato il consumo e la vendita di quella che è ritenuta una delle maggiori prelibatezze del Giappone: il fugu, meglio noto come pesce palla.
Chi lo ha assaggiato giura che il suo sapore è divino, peccato che anche il più piccolo errore nella sua preparazione potrebbe essere fatale. Molte parti dell’animale, infatti, contengono un potentissimo veleno chiamato tetrodotossina, che secondo alcune stime è 1.200 volte più letale del cianuro.
E anche in Giappone, e nei pochi altri luoghi dove è consentito il fugu (ma solo in ristoranti giapponesi che lo importano dalla madre patria), l’utilizzo di questo ingrediente è regolato con estrema attenzione. Gli chef che vogliono imparare a cucinare il pesce palla devono allenarsi per anni, superare un esame molto severo e ottenere una licenza dal governo.
In alcuni paesi o culture, il divieto alimentare è strettamente legato ai dettami della religione di riferimento: chi segue la religione islamica, per esempio, ha il divieto assoluto di consumare carne di maiale, e anche la religione ebraica ha regole rigidissime per quanto riguarda il cibo. Tanto che, in entrambi i casi, la cucina halal e la cucina kosher sono divenute due correnti culinarie a parte.
In Nigeria, invece, dimenticatevi di trovare il latte di cocco, assolutamente vietato per legge. In questo caso, la responsabile del divieto è una credenza popolare, ancora molto diffusa, secondo cui bere latte di cocco farebbe crescere i bambini meno intelligenti.
La questione del divieto di Singapore di mangiare il durian in luoghi o su mezzi pubblici, è dovuta al suo odore: il frutto infatti, nonostante sia molto dolce e dissetante, è talmente maleodorante che il suo consumo è consentito solo in privato, pena una multa salatissima.
Pensavate che da noi, patria del cibo per eccellenza, tutto fosse concesso dal punto di vista alimentare? Niente di più sbagliato. Anche l’Italia, infatti, ha una serie di pietanze off limits che per legge non dovreste mai trovare in vendita o sul menu dei ristoranti.
Oltre il già citato pesce palla giapponese, l’Italia ha messo al bando il cervello, a lungo considerato un piatto tipico nelle varianti di cervello fritto e cervello alla fiorentina. La messa al bando risale al 2001, in piena emergenza mucca pazza: il Comitato veterinario dell’Unione Europea, infatti, stabilì che proprio dal consumo del cervello si trasmette all’uomo la pericolosa malattia. Dopo oltre 10 anni di embargo il cervello fortunatamente è stato ufficialmente riabilitato nel 2013, riportando alla fama ricette che stavano per perdersi.
Sempre norme igieniche e sanitarie sono dietro al divieto dell’utilizzo del sangue di maiale, uno degli ingredienti base del sanguinaccio, ormai illegale dai primi anni Novanta. La ricetta originale, infatti, prevede che al cacao e alla cioccolata amara sia aggiunta una ricca quantità di sangue di maiale. Se trovate il sanguinaccio in commercio, quindi, tranquilli: è solo una reinterpretazione.
Inserito nel 2009 nel Guinness dei primati come “formaggio più pericoloso al mondo”, il casu martzu – letteralmente il formaggio marcio – è uno dei prodotti caseari più dibattuti. Non a caso, è stato vietato dall’Unione Europea perché viola le norme igienico sanitarie vigenti. Si tratta del formaggio sardo con i vermi, parte integrante non solo nella preparazione ma anche nella degustazione. Proprio per questo la commercializzazione è severamente vietata, ma per preservarlo è stato inserito nei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT), in modo che possa essere consumato almeno localmente.