Le olive non hanno tutte lo stesso scopo commerciale. Ecco come riconoscere le caratteristiche delle cultivar destinate al frantoio e quelle da mensa, e perché possono essere verdi o nere.
L’olivo è una coltivazione che caratterizza diversi Paesi che si affacciano sul Mediterraneo da millenni: sarebbero stati i Fenici, infatti, i primi a portare questo albero nel XVI secolo a.C. in Grecia, per poi diffondersi in tutto il bacino, Italia compresa. Ora la nostra Penisola è uno dei maggiori produttori di olive, soprattutto quelle destinate a diventare olio extravergine, contando più di 500 cultivar presenti. Eppure, non tutte le olive vengono avviate al frantoio: una parte, seppur minore, è composta dalle olive da tavola o da mensa, ovvero quelle da gustare per l’aperitivo o utilizzare nelle ricette più disparate, come ingredienti di sughi, lievitati e farciture varie. Vediamo quali sono le differenze tra le olive da olio e le olive da mensa e le loro varietà principali.
Per i loro obiettivi commerciali, le olive in realtà non si dividono solo in queste due categorie, ma ne esiste anche una terza, quella delle olive a duplice attitudine, ovvero che possono essere sia da olio che da tavola. Tutti gli olivi, in origine, potevano soddisfare entrambe le necessità, ma nel corso del tempo una serie di fattori, che comprendono soprattutto specifiche territoriali e selezione da parte dell’uomo, hanno fatto sì che avvenisse questa distinzione.
Rispetto alle olive coltivate per la produzione di olio, quelle da tavola si caratterizzano per avere un calibro più grande (con una pezzatura media che va dai 3 ai 5 grammi e una grande, dai 5 grammi in su), una forma più tondeggiante e un aspetto estetico senza imperfezioni, dato che devono appagare oltre il gusto anche la vista. Riguardo la proporzione tra nocciolo e polpa, nelle olive da mensa a prevalere è la polpa, perlopiù soda e carnosa, mentre quelle da frantoio è fondamentale che abbiano una buona quantità d’olio da estrarre.
Inoltre, le lavorazioni per giungere al prodotto finale sono completamente differenti: in comune vi è solo una prima parte di sfogliatura, dove il frutto (detto drupa) viene privato dei rami e delle foglie e che tutta l’operazione di trasformazione si compie nella stessa giornata. Le olive da olio vengono subito ridotte in pasta, fatte decantare così da separare i liquidi e filtrate, mentre quelle da mensa subiscono un processo di deamarizzazione e fermentazione, così da addolcirsi, in quanto la drupa appena raccolta – a mano, per non rovinarla – presenta una grossa quantità di oleuropeina, non tossica, ma poco piacevole nel sapore.
Ogni regione e ogni territorio a seconda della provenienza della cultivar cambia la resa finale, donando al prodotto le sue peculiarità. Per questo in Italia abbiamo degli oli extravergine di oliva così diversi tra loro, così come sono diverse le olive che portiamo in tavola. Quest’ultime possono avere origine da frutti con uno stadio di maturazione differente, che ne conferisce i diversi colori:
Le cultivar da tavola più conosciute arrivano dalle Marche e dalla Puglia, patria di due celebrità:
Per quanto riguarda le cultivar maggiormente utilizzate per la produzione di olio extravergine di oliva di qualità, le principali sono:
Tra quelle a duplice attitudine si annoverano alcune delle varietà più famose al grande pubblico: