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7 Aprile 2024 13:00

Olio di palma, il “grande nemico”: fa davvero male alla salute?

L'olio di palma è ricco di grassi saturi ed è per questo che andrebbe consumato con moderazione. Il vero problema è la sua sostenibilità, tra deforestazioni e sfruttamento dei lavoratori nelle zone dove viene prodotto.

A cura di Federica Palladini
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L’uso dell’olio di palma nel corso degli ultimi anni è stato progressivamente abbandonato da moltissimi brand, che hanno accompagnato spesso questo cambiamento di rotta con campagne di marketing incentrate su un miglioramento della qualità del prodotto, soprattutto da un punto di vista salutistico. Allo stesso tempo, però, l'allarme che fosse un alimento più dannoso di altri della stessa categoria – quella dei grassi vegetali – veniva pian piano sgonfiato da nutrizionisti e scienziati, che lo paragonavano al burro di cacao, olio di cocco o al burro di origine animale.

Alla domanda se l’olio di palma faccia male, quindi, la risposta è che non può essere definito “né buono né cattivo” come sostiene l’Airc, ma che, essendo un grasso saturo, va considerato come tale, assumendolo quindi nelle giuste proporzioni: secondo le linee guida dell’OMS, adulti e bambini dovrebbero consumare al massimo il 10% delle loro calorie giornaliere in forma di grassi saturi da carne e burro e l’1% di grassi cosiddetti trans (tipo quelli della margarina), per ridurre il rischio di malattie cardiache. L’aspetto con cui ancora bisogna fare i conti rispetto all’olio di palma è l’effetto che la sempre maggiore richiesta a livello mondiale ha sui paesi produttori, specialmente l’Indonesia e la Malesia, tra deforestazioni e sfruttamento dei coltivatori, tanto che nel 2021, il WWF sottolineava nel suo report Palm Oil Buyers Scorecard quanto ancora fosse lunga la strada verso la sostenibilità.

Olio di palma: perché non è corretto dire che fa male alla salute

A livello nutrizionale, secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, l’olio di palma grezzo si compone per circa il 100% di lipidi, suddivisi per il 50% in acidi grassi saturi (la maggior parte acido palmitico) e la restante metà in acidi grassi mono/polinsaturi. In più, vi è la presenza di vitamina E ed è fonte di betacarotene, un precursore della vitamina A. Il fatto che l’olio di palma sia semi-solido non è dovuto alla sua idrogenazione, quindi con un processo che vede coinvolte sostanze chimiche, come succede con la margarina che cambia stato attraverso un processo chimico, ma è naturale proprio per l’alta presenza di grassi saturi.

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Confrontata con quella di altri oli vegetali tipo l’olio di oliva, l’olio di semi di girasole e l’olio di soia, la percentuale degli acidi grassi saturi è molto più elevata, corrispondente a quella del burro (49-51%), ma minore di quella dell’olio di cocco (55-75%), mentre attraverso le lavorazioni industriali, l’olio di palma grezzo può perdere fino al 40% di vitamina E e la quasi totalità dei carotenoidi. Siamo di fronte a un prodotto che se consumato in eccessopiù del 10% delle calorie giornaliere, come visto in precedenza – può aumentare il rischio di malattie cardiovascolari (alzando il livello di colesterolo LDL) e favorire l’obesità, allo stesso modo di altri alimenti che hanno valori simili. Come specificato dalla Fondazione Veronesi, il metodo migliore per affrontare l’olio di palma non è tanto quello di sostituirlo, quanto di bilanciarlo nella dieta con cibi ricchi di acidi grassi polinsaturi, conosciuti anche come omega-3 e omega-6 che si trovano in particolar modo nel pesce azzurro, nei vegetali a foglia, nella frutta secca e anche, ovviamente, in altri oli vegetali come mais, girasole e soia.

Dove e perché si usa l’olio di palma

L’olio di palma è l’olio vegetale più diffuso al mondo (il 35% sul totale per l'Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile) che si ricava da una pianta tropicale, la palma da olio, in particolare Elaeis guineensis ed Elaeis oleifera: di origine africana, a oggi è una delle più coltivate nell’area del sud est asiatico. Dal suo frutto, grande come una prugna e di colore arancione, si ricava tramite un processo di sterilizzazione, denocciolatura, cottura, pressatura e filtrazione un olio dalla consistenza semi-solida che viene usato in prodotti da forno, creme spalmabili, biscotti, cosmetici, nei mangimi per animali, nei prodotti per la casa e per la produzione di biodiesel.

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Per quanto riguarda il settore alimentare, l’olio di palma si rivela un alleato versatile per diverse ragioni, dato che ha un sapore e una fragranza neutri, non si ossida, garantendo una prolungata conservabilità e resiste al calore, caratteristiche che lo rendono funzionale a livello industriale. Il motivo delle sue diverse destinazioni d’uso è presto detto: costa poco e ha un’altissima resa (pari all’11% rispetto all’olio d’oliva, secondo un report dell’Unione Italiana Food), tanto che nel tempo si è creato un vero e proprio business che ha messo a repentaglio interi ecosistemi, comunità locali comprese, con la conseguente nascita di certificazioni di sostenibilità che possono aiutare anche il consumatore a orientarsi più consapevolmente nella scelta, come per esempio la RSPO (Certified Sustainable Oil Palm), che opera a livello globale coinvolgendo tutti gli attori della filiera: il dibattito resta comunque ancora aperto.

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