Vista, tatto, olfatto e soprattutto udito influenzano enormemente la nostra percezione del gusto secondo numerose ricerche scientifiche che purtroppo sono state sfruttate per lo più dal marketing e dalle grandi multinazionali.
Sentiamo spesso parlare di "esperienza multisensoriale" quando andiamo al ristorante, soprattutto se si tratta di fine dining, ma questa espressione potrebbe essere più vera di quanto lo storytelling non ci racconti. Associamo il senso del gusto alle mere papille gustative ma in realtà è il prodotto di una complessa interazione multisensoriale. Charles Spence, docente di psicologia sperimentale presso l’Università di Oxford e direttore del Crossmodal Research Laboratory, è il più grande studioso al mondo in questo campo e ha dimostrato con i suoi studi che ciò che percepiamo come sapore è profondamente influenzato da informazioni sensoriali che provengono da vista, udito, tatto e olfatto. Le sue ricerche non solo hanno rivoluzionato e stanno tutt'oggi rivoluzionando il modo in cui comprendiamo il cibo, ma anche il design dei prodotti e le strategie di marketing nel settore alimentare. Vediamo insieme in che modo gli altri sensi ci spingono a pensare se qualcosa sia buona oppure no.
Abbiamo sempre pensato che gusto e olfatto fossero i principali attori nella percezione dei sapori. Tuttavia la scienza ci mostra che altri sensi giocano un ruolo determinante. La vista, ad esempio, influenza il nostro giudizio sul sapore prima ancora che il cibo tocchi le nostre labbra. Il colore di un piatto o di un contenitore può alterare la percezione di dolcezza o amarezza, mentre la consistenza percepita al tatto influisce sulla qualità del cibo che stiamo consumando.
A questo ruolo degli altri sensi sulla percezione del gusto ha giocato da protagonista la nostra storia evolutiva poiché i sensi sono strettamente intrecciati con le necessità di sopravvivenza e adattamento che l'uomo ha sviluppato nel corso dei millenni. Il gusto in primis si è evoluto per aiutarci a distinguere tra alimenti sicuri e potenzialmente pericolosi. I sapori dolci, associati a cibi ricchi di energia (come la frutta), e quelli salati, collegati al bilancio elettrolitico, erano preferiti perché essenziali per la sopravvivenza. Al contrario, il sapore amaro è spesso legato alla presenza di sostanze tossiche, spingendo il nostro cervello a rifiutarlo. Ci sono poi gli altri sensi: fin dal Paleolitico, ovvero 12.000 anni fa, la capacità di distinguere un frutto maturo da uno acerbo o guasto basandosi sul colore garantiva una migliore selezione alimentare. Il gusto è il senso che si è sviluppato per ultimo, prima ci basavamo su vista, olfatto (che ci permette di anticipare la qualità di un alimento prima di assaggiarlo) e il tatto, che fornisce indizi sulla sua freschezza o sull'edibilità. Con il tempo questi sensi hanno "perso potere" sul cibo ma restano tutt'oggi fondamentali.
Man mano che il cervello umano si sviluppava, la corteccia cerebrale, responsabile dell'elaborazione sensoriale, ha iniziato a integrare stimoli provenienti da diversi sensi. Questa capacità ha reso possibile un'esperienza alimentare più complessa e sofisticata. Col tempo la percezione del cibo non si è limitata a una valutazione biologica, ma è stata influenzata anche da aspetti sociali e culturali. Per esempio, i rituali legati alla condivisione del cibo hanno rafforzato il valore multisensoriale delle esperienze alimentari. Durante la nostra evoluzione, l'adattamento a nuovi ambienti ha richiesto anche la capacità di identificare alimenti locali proprio attraverso un'esperienza multisensoriale. La scoperta di spezie, l'uso di erbe aromatiche e la combinazione di ingredienti hanno permesso all'uomo di diversificare la dieta, potenziando la percezione legata al gusto e migliorando la sopravvivenza.
Uno degli studi più noti di Spence è l’esperimento della "patatina sonica", che dimostra come l’udito condizioni la percezione della croccantezza e della freschezza. Utilizzando patatine Pringles, identiche per consistenza e sapore, Spence ha fatto ascoltare ai partecipanti il suono del loro morso tramite cuffie, manipolando le frequenze del suono. I risultati furono sorprendenti: suoni più acuti venivano associati a una maggiore freschezza, dimostrando che il nostro cervello integra le informazioni uditive per formare un giudizio sensoriale globale.
Lo studioso ha poi dimostrato che anche la vista gioca un ruolo cruciale nella percezione del sapore. Ad esempio, mousse alla fragola servite in piatti bianchi risultano più dolci rispetto a quelle servite in piatti neri anche se sono identiche. Allo stesso modo, un caffè americano viene percepito come più forte e deciso quando servito in una tazza bianca piuttosto che in un bicchiere trasparente. Queste associazioni non sono casuali: la psicologia dei colori influenza il nostro cervello a livello inconscio, modellando le aspettative sul sapore prima ancora che lo assaggiamo.
I contenitori di colore rosso o arancione vengono spesso associati a una maggiore dolcezza o intensità di gusto, mentre il blu e il verde evocano sensazioni di freschezza o leggerezza. Questo principio trova applicazione diretta nel design del packaging alimentare. Il senso che però ha più colpito gli studiosi è senza dubbio l'udito, spesso trascurato. Il suono della crosta di un pane che si spezza o dello sfrigolio del bacon influisce su quanto gustoso il cibo venga percepito. In collaborazione con chef famosi come Heston Blumenthal, Spence ha dimostrato che accompagnare un piatto con una "colonna sonora" adeguata (come il rumore delle onde per un piatto di pesce) può amplificare il sapore e l’esperienza complessiva del pasto. Uno studio pubblicato su Frontiers in Psychology ha confermato che il consumo di caramelle toffee accompagnato da suoni a bassa frequenza riduce la percezione di dolcezza, mentre suoni più acuti la intensificano. Questo dimostra che la musica e il suono possono essere utilizzati strategicamente nei ristoranti o nel design dei prodotti per modulare il gusto.
Tutti questi studi hanno portato Spence e i suoi collaboratori nel mondo del marketing anche senza volerlo (a suo dire). Ad esempio dalle ricerche emerge che il tatto può essere ampiamente sfruttato nel packaging: gli esperimenti hanno dimostrato che un biscotto appare più croccante se servito su una superficie ruvida piuttosto che liscia. E come sono le basi in plastica dei pacchetti di cookies del supermercato? Ruvidi. Analogamente, un contenitore di yogurt più pesante può far percepire il prodotto come più ricco e denso, persino se la sua composizione chimica è identica. Molto famoso il caso di una lattina di Coca-Cola bianca, introdotta nel 2011 per una campagna di sensibilizzazione sugli orsi polari, è stata ritirata dopo che i consumatori hanno percepito un cambiamento nel gusto della bibita, nonostante fosse rimasta invariata. Questo esempio evidenzia quanto il colore di un contenitore possa influenzare le aspettative e il giudizio sul sapore.
Un altro esempio emblematico è rappresentato da esperimenti condotti con le lattine delle bibite: modificando il suono prodotto dall’apertura della linguetta, è stato possibile alterare la percezione della freschezza e della frizzantezza della bevanda.
Il lavoro di Charles Spence è stato oggetto di numerosi dibattiti e critiche, questo va detto. Al centro delle discussioni vi sono principalmente due questioni: le implicazioni etiche delle sue ricerche e la solidità del suo approccio metodologico.
Da un lato, si discute sull'utilizzo delle scoperte di Spence nel campo del marketing. I detrattori sostengono che i suoi studi, fornendo dati scientifici su come manipolare la percezione dei consumatori, finiscono per essere strumentalizzati dalle aziende per massimizzare i profitti, a discapito della salute e del benessere dei consumatori. Spence, da parte sua, sottolinea come il suo scopo sia principalmente quello di comprendere meglio i meccanismi della percezione sensoriale, pur riconoscendo le potenziali applicazioni delle sue ricerche nel campo del marketing. L'autore si dice convinto che le sue scoperte possano essere utilizzate anche per migliorare le politiche pubbliche, ad esempio per combattere l'obesità attraverso una riformulazione più sana degli alimenti.
Dall'altro lato, vengono messe in discussione le fondamenta scientifiche delle ricerche di Spence. Molti critici sostengono che i suoi studi siano troppo descrittivi e manchino di un solido ancoraggio teorico. Le sue ricerche, spesso basate su correlazioni statistiche tra diverse variabili sensoriali, non offrirebbero spiegazioni causali approfondite sui meccanismi neurali sottostanti. In altre parole, Spence si limiterebbe a descrivere delle associazioni senza spiegarne il perché.
Spence difende il suo approccio, sostenendo che la frequenza con cui si osservano determinate associazioni sensoriali suggerisce che esse riflettano meccanismi cognitivi fondamentali, piuttosto che essere semplici coincidenze. Inoltre, sottolinea come non esista ancora una comprensione completa dei meccanismi neurali alla base della percezione sensoriale, e che le sue ricerche contribuiscono a delineare un quadro più chiaro di questo complesso fenomeno.