A una ragazza celiaca è stato bruscamente interdetto l'ingresso all'interno di un ristorante. "'Qui non accettiamo i celiaci', non mi era mai capitata una cosa del genere", il racconto della giovane. Ma un ristoratore può vietare a un avventore di entrare nel locale?
Sta facendo particolarmente discutere nelle ultime ore quanto avvenuto, pochi giorni fa, in Toscana con protagonista una nota food blogger celiaca. La giovane, Valentina Leporati il suo nome, ha denunciato l'episodio tramite i suoi canali social, raccontando di come in un locale le sia stato interdetto l'ingresso in quanto, per l'appunto, celiaca. "Mi è stato detto da un ristorante ‘Qui non accettiamo i celiaci‘ – inizia così lo sfogo della ragazza, che poi continua – … non mi era mai successo di sentire una frase simile. Non accettare qualcuno in un locale pubblico a causa della sua malattia, ma non solo, è una grande forma di discriminazione".
Secondo questo ragionamento: "… dovrebbero rimanere fuori dai ristoranti tutte le persone che hanno esigenze alimentari, gli allergici, per esempio", ha detto la giovane nel suo intervento. Appurata la mancanza di tatto da parte del ristoratore , stando almeno alla versione data dalla food blogger nel suo video sfogo, però è legittimo vietare l'ingresso in un locale a qualsiasi cliente e avventore? Come casistica per certi versi ricorda quella, di cui abbiamo già parlato, legata ai ristoranti childfree (vale a dire quelli che non ammettono bambini al loro interno) ma anche alla discriminante riferita all'abbigliamento. In linea di massima, insomma, non si potrebbe interdire l'accesso in un locale senza una valida motivazione. E in questo caso la celiachia non sembra proprio rientrare in questa casistica.
Come già specificato infatti parlando anche dei ristoranti childfree pure in questo caso dobbiamo riferirci al Regio Decreto n. 773 del 1931. In particolare, l’art. 187 di questo regolamento prevede testualmente: “Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691 del codice penale, gli esercenti non possono senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”. Tale norma, quindi, "… pone un generale divieto per gli esercenti di opporre un arbitrario diniego alla libera fruizione dei servizi offerti risultando nulla qualsiasi eventuale clausola pattizia volta ad aggirare siffatto divieto". Qui si parla già di fruizione dei servizi offerti e, a maggior ragione, l'ingresso nel locale pubblico non può essere interdetto.
Questo vale per gli esercizi (pubblici per l'appunto) come bar, ristoranti, alberghi, pensioni, escludendo quelli di pubblico spettacolo come le discoteche dove si può attuare la selezione all'ingresso. Non viene inclusa quindi la celiachia tra le valide motivazioni per attuare il rifiuto già al solo ingresso all'interno del locale. Nell'occhio del ciclone, insomma, ci sono le modalità in cui il tutto è avvenuto: se da una parteè vero che un ristorante non è obbligato a proporre alternative alimentari per celiaci, ciò non toglie come un celiaco non possa vedersi interdetto in questo modo (se la versione data dalla blogger dovesse essere attendibile) il mero accesso all'interno del locale. La cliente, infatti, banalmente sarebbe potuta entrare anche per un semplice caffè.