Un viaggio dall'Abruzzo alla Sicilia, passando per Toscana, Sardegna ma non solo, alla scoperta delle coltivazioni italiane di zafferano: una spezia preziosissima arrivata, tanto tempo fa, da molto lontano.
Abruzzo, Toscana, Sardegna, ma anche Sicilia, Umbria e Lazio: l'Italia è ricca di coltivazioni di zafferano, una spezia al giorno d'oggi affermata e ricercata in cucina (anche per i suoi benefici), ma secoli (anzi, millenni) fa utilizzata per tutt'altri scopi. Un viaggio alla scoperta del Crocus Sativus.
Facile, oggi, dire risotto allo zafferano. Ma sapete quanto ci è voluto prima che questa spezia riuscisse a entrare, e affermarsi, in cucina? Tantissimo tempo, considerando soprattutto che nel corso dei millenni (tanti millenni) lo zafferano raramente è stato utilizzato in ambito gastronomico, ma il suo uso è stato “limitato” per lo più a cosmesi e ambito medico.
Oggi si tratta di una spezia particolarmente usata in cucina, pensate però che lo zafferano arriva da molto, molto lontano. Sia da un punto di vista geografico sia temporale. Le sue origini infatti vengono fatte risalire all’India e, prevalentemente, il suo utilizzo era destinato alla cosmetica, alla tintoria e anche alla medicina. Già un papiro egizio del XV secolo avanti Cristo cita lo zafferano, il suo fiore compare anche nel Cantico dei Cantici del Vecchio Testamento così come negli scritti di Omero. Il leggendario poeta cieco, infatti, parla dello zafferano usato da Zeus nel suo giaciglio. Nell’Antica Grecia, tra l’altro, i fiori dello zafferano venivano sparsi per i teatri e all’interno dei templi, oppure usati per produrre preziose pozioni magiche per mano di sacerdoti chiamati “Krokonidai”. Da krocus, da cui Crocus (Sativus), nome scientifico della pianta.
Anche nell’Antica Roma veniva abbondantemente utilizzato dalle classi nobili: Plinio parla delle sue doti terapeutiche, così come lo cita anche Virgilio. E pensare che era anche mescolato al vino, per aromatizzarlo prima di spruzzarlo nelle sale delle ricche domus signorili.
I nobili romani andavano letteralmente pazzi per lo zafferano, utilizzandolo nei modi più disparati. Si era soliti addirittura adagiarlo sulle tombe, in segno di augurio di buon viaggio al defunto. A Roma, di fatto, questa pianta rappresentava un autentico status symbol: le case signorili ne erano ricche, le donne lo usavano per cosmesi e trucchi, ma ne adoperavano i petali anche per riempire i cuscini. Non era raro, inoltre, che in acqua profumata allo zafferano ci si facesse il bagno. Molti utilizzi insomma, fuorché quello culinario.
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e conseguente espansione dei rozzi popoli barbari (non di certo avvezzi a certi lussi) lo zafferano conobbe un primo periodo di “declino” (che si ripeterà verso il 1600). Furono gli Arabi a reintrodurlo in modo massiccio in Spagna, Paese dal quale successivamente si diffuse nuovamente tra le coste del Mediterraneo.
Il viaggio dello zafferano dall’India all’Italia (ma non solo, ovviamente) è stato insomma lungo sia per tragitto sia per secoli di storia. Ma come è giunto sino alle regioni centrali del nostro Paese? Il tutto si deve, ovviamente, al commercio. Al commercio, specifichiamo, di un’unica varietà di zafferano: essendo infatti una pianta “sterile”, è impossibile ottenerne incroci e varianti. Si parla, insomma, del Crocus sativus, dove crocus sta a indicare in latino il filamento di tessuto, molto simile allo stigma rosso della pianta.
Furono i mercanti i primi a portarlo nelle aree del Mediterraneo, incentivandone l’uso e l’acquisto prima, la coltivazione nei Paesi costieri poi. Grecia, Spagna e ovviamente Italia, dove leggenda parla di un monaco abruzzese del 1300 particolarmente appassionato di coltivazioni e agricoltura (tale Padre Domenico Santucci) il quale ne portò alcuni bulbi dalla Spagna (forse trafugati, in quanto c’era il divieto di “export” fuori dal Paese) in Abruzzo. Li piantò nella piana di Navelli, suo paese natale, scoprendo un territorio particolarmente favorevole alla sua cultura. Diede di fatto origine a quella che è forse, oggi, la coltivazione di zafferano più importante d’Italia.
Fu in pieno Medioevo quindi, con il massiccio via vai di pellegrini e mercanti da e per Roma (attraverso la via Francigena) che le compravendite di zafferano iniziarono a fiorire nelle zone del Centro Italia. Toscana, Umbria, Abruzzo, Marche: i commercianti trafficavano sempre di più questa preziosa spezia, e in molti ne rimanevano affascinati. Non ci volle molto (relativamente parlando) prima della nascita di autentiche coltivazioni di zafferano anche da noi.
Se fino a ora abbiamo parlato di usi più disparati dello zafferano, tranne quello culinario, la domanda che forse già vi è sorta spontanea è una: quando ha iniziato a essere visto come un alimento vero e proprio? Un affascinante racconto vuole che il connubio con il mondo del food sia stato assolutamente casuale, per quanto (col senno di poi) provvidenziale. Ci troviamo a Milano nella seconda metà del 1500, epoca in cui il Duomo era ancora in costruzione. Alla sua realizzazione stavano partecipando anche molti vetrai fiamminghi, e tra di loro ce n’era uno soprannominato “Zafferano”, in quanto amava aggiungere questa spezia ai colori delle vetrate, per renderle più brillanti.
Stando a numerosi racconti un giorno, in occasione del matrimonio di un collega, Zafferano convinse il cuoco ad aggiungerne alcuni stigmi a un semplice risotto realizzato con il burro: ne uscì un piatto del colore dell’oro e dal gusto sensazionale.
Pare però che già qualche decennio prima, nella seconda metà del 1400 circa, Maestro Martino, celebre cuoco impegnato alla corte degli Sforza, amasse aggiungere dello zafferano alle sfarzose preparazioni offerte alla nobile famiglia milanese.
Un documento storico però attesta come, nel comune toscano di San Gimignano, lo zafferano già venisse usato in cucina nel 1200. Una delibera del 1228 infatti parla di un pranzo a base, tra le altre cose, anche di crocus. È legittimo pensare, insomma, come l'utilizzo in ambito gastronomico della spezia si fosse affermato già nel cuore del Basso Medioevo.
Tornando ai nostri giorni, quali sono le zone dello Stivale in cui “regna” la coltivazione di questa preziosa quanto antica spezia?
Nel nostro Paese ci sono almeno quattro macro aree di coltivazione e produzione, con la zona di Navelli (in provincia de L’Aquila), San Gimignano (Siena) e San Gavino attualmente le sole a fregiare il proprio zafferano del marchio Dop. Oggi in Italia, stando ai dati raccolti dall’associazione “Zafferano Italiano”, si producono tra i 450 e i 600 kg di prodotto all’anno (la differenza dipende dalle condizioni climatiche), e in media occorrono circa 150 mila fiori per raccogliere un kg di zafferano. La Regione in cui queste piantagioni sono protagoniste assolute è senza dubbio l’Abruzzo, ma in generale in aree più o meno vaste è nei territori del Centro Italia a concentrarsi la maggiore coltivazione.
Il Crocus sativus inoltre è un fiore capace di adattarsi ai differenti climi, latitudini e altitudini: per questo non è strano trovarlo all'ombra del Gran Sasso così come in Sicilia. Piantagioni possono resistere anche a 1000 – 1200 metri d'altezza.
Ci troviamo a pochi chilometri da L'Aquila e non distanti dal maestoso Parco Nazionale del Gran Sasso. Definito come "migliore al mondo", lo zafferano di Navelli è un autentico oro rosso per il mercato abruzzese. Come detto si deve al monaco domenicano Santucci la nascita della coltivazione locale di zafferano, leggenda narra dopo averne portato dei bulbi trafugati in Spagna e nascosti forse in un ombrello. Il terreno di Navelli si dimostrò particolarmente favorevole alla cultura, restituendo un prodotto qualitativamente superiore alla media. In poco tempo la zona attorno a L'Aquila divenne famosa per la coltivazione dello zafferano, tanto da nascere ricche rotte commerciali con il Nord, specialmente Milano e Venezia. Al giorno d'oggi, mediamente, qui si producono circa 40 kg di zafferano l'anno.
Il prezzo per questa specialità? I clienti possono acquistare vasetti da un grammo o 0.50 grammi a 26 o 16 euro (questo il listino sul sito ufficiale della Cooperativa zafferano dell'Aquila).
Non di solo vino vive la Toscana. Una delle Regioni italiane più vocate all'enologia, infatti, racchiude gelosamente al suo interno una coltivazione di nicchia di zafferano. Ci troviamo in provincia di Siena, nei territori intorno a San Gimignano (la cui produzione è riconosciuta dalla Dop dal 2004) e in Val D'Orcia. Testimonianze storiche ne attestano la cultura già nel 1200, con le famiglie produttrici capaci di arricchirsi grazie ai commerci specialmente con Nord Africa, Siria e Terrasanta. Come detto, già nel 1228 si parla di zafferano utilizzato in cucina in un pranzo a base di "… uno chapone, una ghallina et quatuor fercolis carnium porchi et in ovis et pipere".
La provincia di Enna racchiude la più importante produzione di zafferano sicula, ma in generale la parte Centro-meridionale dell'isola è la più vocata alla coltivazione di questa spezia. Il crocus ennese, nello specifico, è previsto da disciplinare nella produzione del Piacentinu (o Piacentino), un formaggio locale a marchio Dop, a base di latte caprino di un colore giallo acceso. Altre coltivazioni se ne trovano nella provincia di Ragusa e Siracusa.
A marchio Dop dal 2009 lo zafferano sardo prodotto esclusivamente nei comuni di San Gavino, Turri e Villanovafranca, situati nella parte meridionale dell'isola. Una spezia coltivata in questi territori almeno dal 1300 (ma leggende parlano dell'introduzione locale dello zafferano per mano dei Fenici) e annualmente celebrata da sagre locali a base di prodotti enogastronomici con lo zafferano grande protagonista. La spezia coltivata qui si contraddistingue per un elevato potere colorante, gli effetti eupeptici e le proprietà aromatizzanti.
Detto delle quattro macro aree di coltivazione di zafferano in Italia, non possiamo non citare altre zone di produzione di questa spezia così preziosa e ricercata. Nell'entroterra marchigiano, per esempio, la cultura della pianta ha trovato un habitat ideale, così come in Umbria, dove la lavorazione e il commercio del crocus risale almeno al 1200. Qui sono almeno due le zone di coltivazione di zafferano, riguardanti il territorio intorno alla Valnerina e quello tra il Trasimeno e l'orvietano. Nel Lazio invece si manifesta tutta la capacità di "adattamento" dello zafferano, il quale cresce sia nel reatino all'ombra delle montagne e del Terminillo sia nella zona, pianeggiante e a ridosso del mare, di Gaeta.