Una settimana senza carne o pesce per sensibilizzare i consumatori sul tema degli allevamenti intensivi, responsabili di una grande quota dell'inquinamento globale.
Una settimana senza carne per sensibilizzare i consumatori al problema degli allevamenti intensivi: è la Meat Free Week, un'iniziativa lanciata dal WWF per spingerci a riflettere sull'impatto dei nostri consumi sul pianeta. Dal 26 febbraio al 2 marzo dunque l'associazione invita i consumatori a scegliere di mangiare alimenti esclusivamente vegetali, evitando carne e pesce: un gesto simbolico che però deve farci capire quanto la scelta del cibo che compriamo e consumiamo pesi sull'ambiente.
Il sistema di produzione della carne, e in particolare quello degli allevamenti intensivi, è una delle principali cause del cambiamento climatico: secondo i dati del WWF contribuiscono al 16,5% delle emissioni globali di gas serra, pari all'intero settore dei trasporti. Nel comparto agroalimentare, sono responsabili del 60% delle emissioni. Tutto questo sarebbe già drammatico anche senza considerare il consumo di risorse che questo sistema richiede: il 60% delle foreste pluviali (percentuale che arriva al 70% in Amazzonia) viene raso al suolo così da avere spazio per i pascoli o per coltivare grandi quantità di vegetali (soprattutto soia e cereali) destinati all’alimentazione degli animali degli allevamenti intensivi. L'impatto di questo sistema si abbatte sul 10% dell’acqua dolce e sul 30% delle terre non coperte dai ghiacci.
Il dato che molti ignorano è che quasi tutti, quando compriamo carne e pesce, consumiamo quella proveniente da questo sistema: in Europa più dell’80% della carne proviene da allevamenti intensivi. Nel nostro Paese la situazione non è tra le migliori, malgrado la nostra grande tradizione pastorale: il WWF stima che l'85% dei polli e il 95% dei suini sono allevati intensivamente (ma altre analisi danno dati leggermente diversi, in ogni caso preoccupanti) e quasi tutte le vacche da latte non hanno accesso al pascolo libero.
Non abbiamo ancora parlato dell‘impatto sugli animali – gli allevamenti intensivi sono uno dei sistemi di produzione alimentare più crudeli – o sulle persone: su tutte l‘impoverimento delle popolazioni a cui viene sottratto il terreno per gli allevamenti ma anche per le colture intensive di mangimi, ma anche la scarsa capacità nutritiva dei prodotti. "L’insostenibilità degli allevamenti intensivi è evidente anche dal punto di vista di efficienza nutrizionale- scrive il WWF – nonostante il 77% dei terreni agricoli mondiali sia dedicato all’allevamento, questi generano solo il 18% delle calorie e il 37% delle proteine totali consumate dalla popolazione mondiale". Altro capitolo drammatico è rappresentato dall’antibiotico-resistenza che l’OMS ha recentemente definito “un’emergenza sanitaria globale”.
Il sistema che ha portato a questa emergenza è legato ai nostri consumi. In soli 60 anni, secondo i dati dell'associazione, siamo passati da un consumo annuale di carne pari a 25 kg a testa a oltre 80 kg: più del triplo. Ogni italiano emette fino a 4,5 kg di CO2e solo con il consumo di carne, quasi il doppio di quanto previsto dalla Dieta mediterranea, che è responsabile solo 2,3 kg di CO2 pro capite. Tutto questo ci fa capire come le scelte di acquisto siano fondamentali: riducendo il consumo di carne e limitandola a quella degli allevamenti certificati possiamo incidere, e non poco, su questo sistema.