Si dice matriciana o amatriciana? Sono la stessa ricetta oppure due preparazioni differenti? E qual è la storia alla base di uno dei piatti laziali più famosi?
Si dice matriciana o amatriciana? Sono effettivamente la stessa ricetta? A chi si deve la paternità di questa preparazione e nella disputa tra Amatrice e Roma che cosa c'entra un terzo (in)comodo insospettabile come Napoli?
Quando si parla di preparazioni iconiche della gastronomia italiana si rischia sempre di passeggiare all'interno di un campo minato. Tante le città, tanti i territori a rivendicare con orgoglio l'invenzione, l'origine, di questa o quella ricetta, questo o quel piatto capace poi magari di travalicare i confini nazionali sino a diventare famoso nel mondo. La carbonara ne è un esempio, con a seguito tutta la storia, le incertezze e le versioni su quello che è probabilmente il piatto di pasta italiano più famoso (e storpiato, ahinoi) nel mondo.
In questa speciale lista bisogna però annoverare pure l'amatriciana, la cui paternità è contesa da Roma e, appunto, Amatrice. Ma parlando di questa ricetta non può non sorgere un dubbio pure di natura etimologica: si dice amatriciana oppure matriciana? A ben vedere sono valide entrambe le denominazioni, in quanto storicamente pare siano due preparazioni diverse. E, non dimentichiamolo, sebbene siano due tipicità del Centro Italia rimane pur sempre Napoli sullo sfondo. Ma a questo ci arriveremo, andiamo con ordine.
Matriciana e amatriciana: spesso confuse ma con ragione, in quanto si tratta di due ricette originariamente simili tra loro e per certi versi figlie della gricia. Così come per la carbonara anche per quanto riguarda tale preparazione la storia appare piuttosto ingarbugliata. Quindi rimanere incastrati tra realtà, credenze e leggenda è piuttosto facile. Questo excursus lo cominciamo non dal passato bensì dal presente. Partiamo infatti dall'attuale disciplinare di produzione della salsa (la salsa, non la pasta) all'amatriciana, definito nel 2015 e proprio (per l'appunto) del piccolo borgo in provincia di Rieti.
Si legge nel documento ufficiale: "Erroneamente alcuni attribuiscono l’Amatriciana alla cucina Romana, avendo perduto la memoria storica del fatto che furono invece i pastori, che con gli spostamenti stagionali della transumanza verso le campagne romane, fecero conoscere questa ricetta nella città dei Papi". Ma da cosa nasce questo misunderstanding? Perché in tanti, Capitale compresa ovviamente, attribuiscono la nascita dell'amatriciana alla Città Eterna? Pare come sulle sponde del Tevere fosse diffuso un piatto di pasta, in bianco e con appena guanciale e pecorino (praticamente l'antenata della gricia), chiamata matriciana probabilmente dalla matrice, il timbro un tempo usato per segnare la guancia del maiale, ingrediente fondamentale della ricetta.
Come per quanto affermato parlando della storia della carbonara, anche in questo caso intervengono nella storia i pastori transumanti delle zone appenniniche del Centro Italia, provenienti appunto da Amatrice e limitrofi giunti a Roma per i propri commerci e affari. Qui comprensibilmente pare sia avvenuto il primo contatto tra la matriciana, ancora bianca, e i pastori provenienti dagli Abruzzi. I quali di ritorno dalla propria lunga trasferta l'hanno riportata a casa, dove venne poi perfezionata (come vedremo) anche con l'aggiunta di pomodoro. Questa è solamente una delle ipotesi, quella maggiormente adottata e condivisa dalla ‘versione romana'.
Storicamente va detto, comunque, come questi pastori durante le transumanze fossero soliti portarsi alimenti in grado di mantenersi a lungo. Ecco quindi il guanciale o la pancetta, il cacio (pecorino per lo più) e la farina con la quale poter realizzare la pasta. Una gricia ante litteram, per così dire, evoluta in amatriciana (dal nome della sua salsa) solamente in un secondo momento, con l'arrivo del pomodoro. Ed è qui che entrano i gioco i napoletani. Nella seconda metà del 1700 Amatrice, così come buona parte della zona, era sotto il controllo del Regno di Napoli e fu proprio sotto al Vesuvio che la coltura di questo ortaggio attecchì in modo deciso già dall'inizio del secolo. E dai campi sul golfo, grazie a scambi commerciali, i pomodori arrivarono sino al Centro Italia, dove vennero utilizzati per arricchire la già diffusa preparazione in bianco. Ora colorata con la salsa all'amatriciana.
Allora perché Roma? Stando a quanto affermato dal disciplinare sopra citato furono gli stessi pastori, che per tutto il 1800 e parte del 1900 continuarono a recarsi nelle pianure laziali e romane durante le transumanze, a contribuire alla diffusione della ricetta in queste stesse zone. Arrivavano qui decidendo di aprire fraschette e trattorie non pochi osti e ristoratori, provenienti in un buon numero proprio dalle zone di Amatrice o dagli Abruzzi (la città fu annessa al Lazio nel 1927, con la nascita della provincia di Rieti) i quali proponevano nel loro locale questa pasta condita con la salsa all'amatriciana. Sarebbe così spiegato il motivo alla base dell'appropriazione da parte Roma di questo piatto, lo storytelling successivo (e tipico degli ultimi decenni) e l'influenza (nonché la notorietà) di una città come la Capitale ha contribuito a far diventare tale ricetta una preparazione tipica locale.