Quando mangiamo in un ristorante, chi decide davvero? Ovviamente noi. Ma alcune caratteristiche dei menu, come il numero e la posizione dei piatti, possono orientare la nostra scelta.
Andare a cena fuori e ordinare sempre lo stesso piatto: quante volte ti è capitato? Nonostante la nostra predisposizione a scegliere quasi sempre ciò che conosciamo meglio, il motivo però potrebbe non dipendere solo da noi. Quando andiamo in un ristorante, infatti, la nostra scelta è determinata anche dal modo in cui vengono proposti i piatti. I menu infatti sono creati sulla base di precise logiche che possono indirizzare la decisione del cliente in una direzione oppure in un’altra. Quindi sì, "la colpa" potrebbe essere anche del menu: oggi ti spieghiamo come vengono costruiti e come possono influenzare le nostre scelte.
Tre minuti. Questa è la durata media di lettura del menu da parte di un cliente, per cui per un ristorante è essenziale capire in che modo collocare i piatti all’interno del menu. Non c’è nessuna regola che impone ad un ristoratore di posizionare le portate seguendo un determinato ordine. Per convenzione, qui in Italia si usa suddividere il menu in antipasti, primi, secondi e dessert: a volte questi ultimi possono trovarsi in un menu a parte, così come la carta dei vini, se particolarmente ampia. Ma ovviamente, l’ordine e il numero di portate all’interno delle diverse categorie non è casuale.
Less is more una sorta di leitmotiv che accompagna i ristoratori nella scelta del numero di portate. Ma perché? Per evitare il cosiddetto paradosso della scelta, in cui tutti ci siamo imbattuti almeno una volta nella vita, anche se (probabilmente) non conoscevamo il nome di questa teoria. Consiste in una sorta di "paralisi" da parte del cliente di fronte a una scelta troppo ampia. Quando ci sono troppe opzioni, il nostro cervello va in confusione e finisce per ordinare il solito piatto, semplificando quindi la scelta e minimizzando l’ansia. Di contro però un numero esiguo di piatti potrebbe limitare significativamente la nostra scelta, inducendoci ad accontentarci e a vivere un’esperienza non troppo gradevole. Per cui un ristorante, che tende a evitare questo tipo di paralisi e vuole puntare sulla vendita di determinate proposte, di certo non proporrà una lista infinita di portate, che non sarà però neanche troppo breve per permettere al cliente di avere comunque la sensazione di star effettuando una scelta tra una rosa di proposte. Secondo alcuni studi, quindi, il numero perfetto di portate è 7 per ogni categoria: 7 antipasti, 7 primi, 7 secondi.
Parliamo poi del cosiddetto effetto ancoraggio: le persone sono attratte da quello che richiama di più la loro attenzione. Questo è il motivo per cui le portate vengono posizionate in determinati modi: generalmente, ad esempio, il primo piatto della lista funge come sorta di àncora, per cui noi lo valuteremo come un termine di paragone rispetto a tutti i piatti successivi. Perché non tutti i piatti sul menu hanno lo stesso grado di importanza per il ristoratore: i piatti che sono considerati rilevanti per l’attività sono quelli che posseggono un ottimo food cost, ossia “un valore che stabilisce il rapporto tra il costo delle materie prime usate per un piatto e il suo prezzo di vendita”. Spesso quindi il primo piatto potrebbe essere quello con il prezzo più alto, che probabilmente il ristorante non è intenzionato più di tanto a vendere, ma inserito lì per far sì che tutti quelli successivi vengano percepiti dal cliente come più convenienti e quindi orientare la scelta.
Un altro fenomeno che condiziona la nostra capacità di scelta è il cosiddetto effetto esca. Per semplificarlo, riportiamo uno studio condotto da National Geographic in un bar di un cinema. La prima parte della ricerca poneva gli spettatori di fronte a una scelta, offrendo loro i pop corn in 2 misure:
La scelta degli spettatori si orientava verso la taglia più piccola, considerata più economica e quindi un buon compromesso tra i due.Quando però è stata introdotta una terza opzione il risultato è cambiato. Ora i clienti avevano a disposizione tre opzioni:
Con l’introduzione di una misura intermedia, gli spettatori hanno preferito la taglia large, ritenendola molto più conveniente. Con 50 centesimi in più era possibile acquistare un secchiello più grande rispetto al precedente. Lo studio quindi dimostra come cambia la percezione dei clienti, ritenendo più conveniente una scelta che, in mancanza di una terza proposta, non avrebbero preso in considerazione, spingendo perciò all’acquisto del prodotto più costoso.
Spesso quindi nei menu vengono inseriti dei prodotti meno attraenti, definiti appunto esca, per mostrare quindi il "valore" della proposta più costosa, che sarà di conseguenza scelta dal cliente perché ritenuta migliore.
Mangiare, come ormai ben noto, è una questione che non riguarda più solo il gusto. Il cliente oggi vuole vivere un’esperienza a 360 gradi, vuole divertirsi, emozionarsi e ovviamente mangiar bene. E questo un ristoratore lo sa benissimo. Ma come viene sfruttata questa logica nella creazione di un menu? Con il tanto ormai amato storytelling. L’idea di creare, o meglio, raccontare una storia, la storia del locale, dalle origini fino alla sua evoluzione, spiegare gli obiettivi in termini di ricerca, sostenibilità e benessere aiuta il cliente a entrare in empatia e in connessione con il ristoratore e tutta la sua macchina produttiva. Ecco perché molto spesso, all’inizio di ogni menu, troviamo la storia del ristorante, da dove nasce, come si è sviluppato e dove vuole arrivare.
Ma non solo. Lo storytelling è uno strumento utile anche nel raccontare i piatti. I ristoranti sanno bene che per invogliare un cliente a mangiare quella determinata portata è opportuno raccontare cosa sta mangiando. E perché? Ovviamente per creare valore intorno al piatto e indurre a sceglierlo. Un esempio: se tu leggessi “Pomodoro di San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, Fior di latte di Agerola, spolverata di Parmigiano Reggiano stagionato 16 mesi e Olio extravergine di olive spremute a freddo” spenderesti volentieri 8€ per questa meraviglia. Ma se tu leggessi semplicemente “Pomodoro, fiordilatte, parmigiano e olio” spenderesti quegli 8€ con la stessa felicità? Probabilmente no.
In entrambi i casi però stiamo parlando di una pizza margherita. Quindi cosa ci spinge a spendere gli stessi soldi, per lo stesso prodotto, ma con emozioni diverse? Lo storytelling, proprio quello lì. La percezione che abbiamo rispetto alla descrizione dei piatti che andremo a mangiare è un elemento essenziale e per nulla sottovalutato. L’idea di star mangiando qualcosa di qualità, di sano, qualcosa che non troveremo altrove, ci spinge a giustificare un prezzo che altrimenti giudicheremo troppo elevato.
Come uscire da questo mare magnum di regole, teorie e ragionamenti psicologici, sappi che non esiste una risposta giusta. Tutti, chi più chi meno, siamo vittime del marketing, che ci piaccia o no. Ovviamente però essere a conoscenza di determinati meccanismi può aiutare a minimizzare possibili fregature. Il consiglio è quello di essere un consumatore informato, non avere fretta e capire bene cosa si ha di fronte. Leggere attentamente il menu, gli ingredienti, la provenienza e i prezzi è un ottimo modo per essere più consapevole di ciò che si sta per mangiare e di conseguenza di ciò che si sta spendendo.