Cosa differenzia l'uva da vino da quella da tavola? Quali sono le caratteristiche di queste due tipologie e come poterle facilmente distinguere sia all'occhio sia al palato? Alla scoperta di due diverse varietà di uva.
Forse non tutti lo sanno ma anche se potrebbe sembrare così l'uva non è tutta uguale. Siamo abituati a mangiarla, acino per acino rossa o bianca che sia, durante i mesi freddi dell'anno; ma siamo anche abituati a consumarla di fatto sotto forma di vino, utilizzato talvolta anche per cucinare.
È bene sapere come, in questi casi, non si stia parlando della medesima uva: quella mangiata così, in purezza diciamo, non è la stessa utilizzata per fare il vino, e ovviamente viceversa. È bene infatti fare una grossa distinzione: da una parte c'è l'uva da tavola (quella, appunto, venduta al supermercato o dal fruttivendolo) e dall'altra l'uva da vino. Sono due tipologie previste e ben distinte dalla legge, ma quali sono le principali differenze che le caratterizzano?
Questa distinzione nasce orientativamente nella seconda parte del 1800: da quel momento si è iniziato a trattare, e lavorare, diversamente le due tipologie di frutto. L'uva da tavola, detta anche uva da mensa, è quella destinata esclusivamente al consumo alimentare e da questa categoria per legge non si può ottenere il vino. Sia essa fresca o essiccata (l'uvetta, per esempio), l'uva da tavola è caratterizzata da una buccia abbastanza sottile e da polpa soda e croccante, al contrario invece degli acini destinati alla vinificazione dotati di una buccia più consistente, l'interno più succoso, tenero e con una maggiore quantità di semi (i cosiddetti vinaccioli), la cui presenza assieme a quella delle bucce è necessaria nelle varie fasi della produzione di vino.
La vite è la stessa, la vitis vinifera, ma col tempo sono state selezionate le cultivar che hanno portato a questa differenziazione netta, specificata anche dalla legge: è infatti illegale vinificare con l'uva da tavola con lo scopo di vendere il vino. Puoi farlo solo per uso personale. Cambia, ovviamente, anche il gusto tra le due tipologie di frutto: l'uva che acquistiamo al supermercato è caratterizzata da un grado zuccherino superiore rispetto a quella da vino, dotata però questa di maggiore acidità, fattore fondamentale per garantire al vino capacità di affinamento e un maggiore invecchiamento. L'equilibrio nel rapporto tra dolcezza e acidità già a partire dall'acino permetterà poi al vino di esprimere al meglio le sue proprietà organolettiche. Queste differenze sono dovute anche al periodo di raccolta dei frutti: se le uve da tavola vengono colte a maturazione completa, e conseguente maggiore concentrazione zuccherina, quelle da vino sono vendemmiate prima proprio per preservarne l'acidità. Questa regola non vale per tutto ovviamente: è l'enologo a scegliere il grado di maturazione dell'uva al momento della vendemmia. I passiti, ad esempio, sono vini prodotti con uve andate ben oltre il grado di maturazione.
Vinificare uve da mensa comunque sia consentirà sì di ottenere vino, ma sarà un prodotto mediocre, da consumare necessariamente giovane, entro poche settimane dalla sua produzione prima che diventi imbevibile.