L'origine della liquirizia affonda nella notte dei tempi e molte grandi civiltà l'hanno usata a scopo curativo. L'uso in caramelle dure o gommose ha meno di due secoli e l'Italia, grazie alla Calabria, vanta uno delle produzioni più antiche e prestigiose. Conosciuta in tutto il mondo, la liquirizia calabrese si fregia del marchio Dop dal 2011.
A bastoncini, a girella, gommosa, sotto forma di mentina. La liquirizia può avere tante forme e anche diversi colori, ma la nuance classica è nera e traslucida. Prima del suo uso ludico però ci sono stati millenni in cui la Glycyrrhiza glabra (questo il suo nome botanico) è stata considerata una pianta erbacea esclusivamente curativa. Le sue origini affondano in Nord Africa, passando dal Medio Oriente per arrivare in Cina, dove già nel 2500 a.C. era ritenuta una pianta magica. I suoi benefici erano legati soprattutto agli effetti lenitivi e antinfiammatori: in Grecia infatti è stata usata a lungo come antesignana dello sciroppo per la tosse. Ed è proprio grazie a quest'uso che avviene il passaggio dalla pianta alla caramella, con la nascita delle famose pastiglie alla liquirizia che vedono la luce però non prima del XIX secolo. Va inoltre detto che la lavorazione industriale ha fatto sì che molti dei dolciumi che siamo abituati a classificare come liquirizia siano in realtà paste aromatizzate all'anice, la cui essenza ricorda appunto il sapore della liquirizia: una consuetudine nata dalla non facile reperibilità della materia prima, soprattutto di buona gamma. Qui entra in gioco l'Italia con la Calabria in testa, la regione dove si produce una delle migliori, se non la migliore, liquirizie al mondo.
Sulla costa ionica calabrese c'è un mix di condizioni climatiche e biologiche del terreno, in cui la Glycyrrhiza glabra cresce spontaneamente: ed è questo il motivo per cui questa radice dal sapore dolceamaro ha attecchito su questo territorio. A portarla nel Sud d'Italia pare siano stati i monaci benedettini intorno all'anno 1000, soprattutto per ragioni curative: per l'uso alimentare, infatti, bisognerà attendere ancora diversi secoli. È con il Duca di Corigliano, infatti, che la produzione di liquirizia diventa un fonte reale di progresso economico. La data è quella del 1715, con la prima fabbrica dedicata a questa lavorazione, conosciuta come "concio calabrese". Da quel momento in poi tutte le famiglie dell'alta borghesia si dedicarono a questa attività, in particolare nelle province di Cosenza, Crotone, Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria.
Il commercio fu a tal punto remunerativo che a inizio ’900 comparve la denominazione "liquirizia di Calabria" per differenziarla da quella prodotta in altri paesi. La crisi economica portata dalla II Guerra Mondiale e dal Dopoguerra frena l'industria e il commercio della liquirizia: a partire da quegli anni sarà – e lo è ancora oggi – un nome su tutti a rappresentare il prodotto calabrese nel mondo, quello di Amarelli, azienda di Rossano arrivata all'undicesima generazione e che risulta essere una delle realtà imprenditoriali più antiche del mondo ancora in attività. È anche grazie al loro prestigio che la liquirizia, nel 2011, ha ottenuto il marchio europeo Dop, con ben 208 comuni coinvolti nella sua produzione, non solo ionici ma anche tirrenici.
Per ottenere dell'ottima liquirizia, i mastri liquiriziai" lavano e fanno essiccare le radici. Una volta rimossa la parte fibrosa, le radici vengono macinate, pressate e messe a contatto con acqua bollente per estrarne il succo. Questo viene chiarificato e concentrato tramite bollitura per ottenere una pasta nera, densa e profumata. Ottenuta questa pasta, si procede quindi alla lucidatura tramite forti getti di vapore d’acqua e al taglio nelle forme desiderate. Il cuore del prodotto è dunque la radice, la parte aerea della pianta non ha alcuna utilità pur arrivando a un metro e mezzo di altezza, che va raccolta nel corso della stagione autunnale dopo almeno tre anni di coltivazione. Allo stato naturale – i classici bastoncini che somigliano a delle matite – la liquirizia si conserva a lungo, anche anni.
All'interno degli ospedali transalpini questa particolare pianta veniva impiegata in compagnia della gramigna e dell'orzo, con lo scopo di realizzare una specie di tisana che veniva definita con il termine di bonne-à-tout. In effetti sono molteplici le virtù mediche di questa pianta. Innanzitutto il suo principio attivo è la glicirrizina, un principio attivo estratto utile per il controllo della pressione e contro ulcere e gastriti; contiene inoltre flavonoidi, saponine, fitosteroli e vitamine. Alla liquirizia si attribuiscono proprietà digestive e antinfiammatorie , viene spesso utilizzata dunque come rimedio per le gastriti e per il bruciore di stomaco causato da alcol o farmaci.
Altra proprietà importante è quella antivirale: è un rimedio efficace per fermare lo sviluppo dell'herpes e la diffusione di alcuni virus nelle cellule polmonari. È anche utilizzata per combattere le intossicazioni alimentari ed è un valido aiuto contro la stitichezza. I fumatori incalliti o coloro che provano a smettere di fumare spesso ricorrono ai bastoncini di liquirizia: questo dipende dalle sue proprietà disintossicanti e dal fatto che possono ricordare il gusto del tabacco. Non è consigliabile però usarli con assiduità perché, tra gli effetti collaterali, abbiamo l’abbassamento dei livelli di potassio e l’innalzamento della pressione.
Un consumo eccessivo di liquirizia può portare a controindicazioni come aumento eccessivo della pressione sanguigna, riduzione dei livelli di potassio, mal di testa e mal di stomaco: si parla però di una dose di oltre 50 grammi al giorno. Dovrebbero evitare però la liquirizia le donne in fase di allattamento, chi soffre di ipertensione o di problemi ai reni. In alcuni casi, la liquirizia può interferire con l'azione dei farmaci per le patologie cardiache.
Tisane, infusi, liquori, ma anche birre si possono preparare con polvere di liquirizia o con le radici stesse. La caratteristica che accomuna questi liquidi è l’effetto dissetante e in taluni casi detox (ovviamente, in questo specifico caso, parliamo di bevande analcoliche). Per chi soffre di ipotensione un rimedio – ma usato con cautela – potrebbe essere quello del caffè alla liquirizia o un leggero caffè d’orzo profumato di radice.
Le soddisfazioni più grandi però arrivano in cucina dove l’ingrediente di cui stiamo parlando ha spesso un "effetto boost" su altri prodotti: lo sanno bene i cuochi calabresi che da anni utilizzano nei loro menu la liquirizia. A partire da Luca Abruzzino, stella Michelin a Catanzaro che ha in uno dei suoi piatti iconici la polvere della famosa radice: “La cosa più difficile è il dosaggio – racconta lo chef – perché il sapore dolce-amaro della liquirizia è davvero intenso. La uso soprattutto in polvere come esaltatore. Così è nato il mio Riso con cipollotti, calamari e liquirizia, dove quest’ultima spinge il sapore dei primi due ingredienti. Ovviamente nei dolci sta benissimo, soprattutto se combinata con sapori citrici e balsamici”.
Altro fan della liquirizia è Luigi Lepore, chef dell’omonimo ristorante a Lamezia Terme che ha un legame personale con questo prodotto: “Ho lavorato tanto in giro – ricorda il cuoco – in Italia come all’estero e il modo che avevo per “tornare” in Calabria era mangiare della liquirizia, in particolare la “grezza” di Nature Med (azienda produttrice di Castrovillari, in provincia di Cosenza, ndr). Sono così affezionato al prodotto che ho riproposto il packaging in latta per un mio dolce, le sfere di cioccolato bianco con dentro un cuore di acqua e liquirizia in polvere e intinte in una bagna di alloro che le colora di verde. Per il salato ho scelto l’agnello, i cui sentori un po’ selvaggi ben si sposano con la tendenza dolce della liquirizia, aggiungendoci poi peperoncino verde, aglio dolce, ribes e pesca merendella”.
Dai piatti gourmet dei ristoranti a una pizza al taglio il passo non è poi così lungo, se il pizzaiolo si chiama Daniele Campana che a Corigliano porta avanti l’insegna di famiglia nata nel 1990. Anche lui punta sulla polvere di liquirizia: "Ho due pizze con questo ingrediente – spiega il pizzaiolo – una versione estiva e una invernale. Entrambe le ho dedicate a Tonino Napoli (chef del Pantagruel di Cosenza scomparso nel 2016, ndr), il primo a capire la bontà dell’abbinamento tra liquirizia e pesce. La mia pizza estiva è fatta con stracciatella, fior di latte, fiori di zucca freschi, alici e una spolverata di liquirizia; quella invernale vede le melanzane al posto dei fiori di zucca e un filetto cotto a bassa temperatura al posto delle alici. Il tutto finito con una spolverata di ricotta dura e liquirizia”.