Può capitare dopo aver consumato pane o pizza di avere gonfiore di stomaco, crampi, stitichezza o diarrea: i lieviti, però, non sono responsabili, ma entrano in giochi altri fattori che coinvolgono le farine e il microbiota. Ecco cosa ci ha detto il nutrizionista.
Nel mondo dell’alimentazione, ciclicamente, si assiste alla nascita di cibi che vengono lodati come miracolosi (i tanti super food) e altri, invece, che vengono additati come i peggiori nemici dell’organismo. Sotto la lente d'ingrandimento sono finiti pure i lieviti, colpevoli quando ingeriti di causare una varietà di sintomi avversi come gonfiore, stitichezza o, al contrario, fenomeni diarroici sotto il segno di una non meglio identificata intolleranza al lievito. “Tantissimi pazienti mi dicono di soffrire di questi fastidi dopo aver mangiato pane e pizza: i problemi sono reali, ma non dipendono dai lieviti”, ci dice il dott. Daniele Giacalone, biologo nutrizionista. “Le uniche due intolleranze riconosciute dalla scienza sono quelle al lattosio e al glutine, la celiachia, diagnosticate con test immunologici”. Perché, allora, è proprio il lievito a essere tirato in ballo e quali sono, invece, le possibili cause di questi disturbi?
Quella della pizza che si gonfia nella pancia è probabilmente una delle fake news più difficili da estirpare, soprattutto perché almeno un paio di generazioni l'hanno sentita fin da bambini. Il Saccharomyces cerevisiae (il comune lievito di birra), ma anche la pasta madre (che ne vede in parte la presenza, insieme a batteri lattici e altri lieviti), non può fermentare una volta all’interno del corpo in quanto le colonie di microrganismi vengono annientate tendenzialmente in due modi. Il primo è la cottura: “I lieviti a 45 °C muoiono: contando che la pizza viene cotta a 300-400 °C è impossibile che questi sopravvivano", spiega Giacalone. Così come in altri alimenti che vedono una fermentazione ma non passano dal forno (tipo lo yogurt o la birra) “a disattivarli ci pensano i succhi gastrici dello stomaco, quindi è impossibile che vadano a intaccare l’apparato digerente creando stati di sofferenza”.
Se all’origine non ci sono i lieviti, le matrici si devono cercare altrove. “Quando entrano in scena pizza, pane, ma anche la pasta, si tratta di complessità legate alle farine stesse e alla flora intestinale, chiamata microbiota” sottolinea l’esperto. “Facendo l’esempio della pizza, in un’unica soluzione andiamo a introiettare circa 250 gr di farina con un apporto notevole di glutine. Ci potrebbe essere una correlazione con la gluten sensitivity, che non è l’intolleranza al glutine, ma si tratta di una risposta infiammatoria del nostro apparato gastrointestinale a una quantità eccessiva di glutine”. Inoltre, continua, “una dieta squilibrata con un alto consumo di farinacei può portare ad alterazioni della platea di microrganismi presenti soprattutto nell'intestino, importanti per il nostro benessere”. Il microbiota, infatti, svolge numerose funzioni fondamentali, tra cui favorire la digestione dei cibi ed eliminare le sostanze tossiche: se è in uno stato di disordine, può portare a provare gonfiore, crampi, stitichezza e diarrea.
“Ai problemi di gonfiori e infiammazioni croniche di questo tipo, quindi che non sono un caso isolato, bisogna intervenire con un piano alimentare adeguato, facendo tutta una serie di introduzioni e sottrazioni di cibi per capire la risposta individuale che si ha ai farinacei”. La prima cosa che fa un nutrizionista, quindi, è semplificare l’alimentazione, diminuendo in questo caso l’assunzione di carboidrati. Optare per prodotti integrali o biologici può fare la differenza, rispetto a raffinazione e additivi? “Consiglio di cercare il più possibile l’integralità delle farine e la loro naturalezza. È sempre meglio usare farine che hanno una componente residuale di chicco di grano, perché corrisponde a fibre che compensano i carboidrati, sostenendo le funzioni metaboliche dell’organismo”. Infine, se i sintomi persistono, è raccomandato intervenire con visite mediche specialistiche.