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11 Agosto 2024 11:00

Le isole del vino italiane: piccole dimensioni per grandi tesori

Le isole minori sono un concentrato di biodiversità che si manifesta anche nella produzione vinicola. Dall'Elba a Pantelleria, passando per Capri e Favignana (con tanto di toccata e fuga in Veneto), ecco un breve giro sotto il segno di vigne eroiche che sanno di mare.

A cura di Federica Palladini
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Una vista delle vigne sul faro di Lingua, Salina

Nella botte piccola c’è il vino buono: espressione che calza a pennello quando si parla dei nettari che arrivano dalle isole minori made in Italy, vitigni racchiusi in un lenzuolo di terra che proprio per le dimensioni ridotte vengono ancora coltivati con metodi artigianali, spesso a conduzione familiare e in posizioni estreme. Si può ammirare una viticoltura eroica di mare su terrazzamenti e muretti a secco che preclude grandi volumi, ma che il più delle volte si contraddistingue per l’immensa cura e la grande qualità che arriva in bottiglia. Vini preziosi, ognuno con le sue particolari caratteristiche (aromatici, minerali, freschi, complessi), che arrivano da suoli vulcanici o calcarei, da altitudini differenti, ma che hanno come comune denominatore microclimi unici, merito dell’azione congiunta del Mediterraneo, del vento e del sole. Andiamo alla loro scoperta, in tour che ci porta in Toscana, Lazio, Campania, Sicilia e, perfino, in Veneto.

1. Isola d’Elba

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Partiamo dall’Arcipelago Toscano, con la terza isola più grande d’Italia per estensione, l’isola d’Elba. Il suo territorio è prevalentemente collinare e la viticoltura si pratica dal livello del mare fino ai 450 metri di altezza: protagoniste sono piccole e medie imprese familiari che portano avanti una tradizione millenaria, che risale all’epoca etrusca con influenze greche, visto il tipico allevamento ad alberello. Fino al XX secolo, prima che malattie (una su tutte la filossera, un parassita che devastò l'intera viticoltura europea a metà dell'800) e spopolamento facessero precipitare la produzione, la vigna era la maggiore fonte di guadagno: il vino, infatti, si esportava nelle regioni del Nord Italia. Dagli anni ‘70 in poi, merito anche del turismo e la rivalutazione dei prodotti locali, ecco che l’Elba è tornata a essere un’isola del vino. Quale? La Doc Elba comprende 8 vini fermi e 5 passiti. I bianchi sono ottenuti dal Trebbiano toscano, l’Ansonica, il Vermentino e il Moscato, mentre i vini rossi e il rosato soprattutto dalla varietà Sangiovese. Vi è anche una Docg, dal 2011, particolarmente pregiata che si ricava dall’Aleatico, un vitigno autoctono: si tratta dell’Aleatico Passito dell’Elba, un vino liquoroso di colore rosso rubino e il profumo di piccola frutta rossa, come ciliegie, more, fragole, succo di mirtilli.

2. Isola del Giglio

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Poco distante dall’Elba, con cui condivide l’antica tradizione vitivinicola, ecco l’isola del Giglio, dove i vigneti appaiono sparsi qua e là in mezzo alla macchia mediterranea: concentrati in pochi ettari ciascuno, sono un vero spettacolo, nonché una sfida. I terrazzamenti sono stati ricavati sui scoscesi pendii che si tuffano nel mare blu e sono il frutto di un meticoloso e faticoso lavoro di recupero che, però, sta dando grandi soddisfazioni. Protagonista è l’Ansonaco, un vitigno autoctono a bacca bianca con cui si realizza l’omonimo vino, prodotto al 90% con uva Ansonica a cui viene aggiunto nel restante 10% Biancone, Moscatello, Malvasia e Procanico. Il colore è giallo oro, può avere sfumature ambrate e al naso ricorda sentori erbacei e agrumati. Sull’isola sono presenti anche il Sangiovese e il Vermentino.

3. Ponza

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Punta fieno – Ponza

Situata nell’Arcipelago Pontino, al largo di Gaeta, Ponza è la maggiore tra Gavi, Palmarola, Zannone, Ventotene e Santo Stefano, tutte vulcaniche. La sua storia d’amore con il vino ha un preciso anno d’inizio: il 1734, quando Carlo di Borbone conquistò il regno di Napoli e distribuì i terreni dell’isola ai coloni partenopei. Tra questi c’era Pietro Migliaccio, a cui venne assegnata l’area incontaminata di Punta Fieno: essendo ischitano, introdusse vigneti tipici campani come Biancolella, Aglianico, Forastera e Piedirosso. Ancora adesso, le cantine Migliaccio sono un emblema della viticoltura di Ponza, affiancate da altri produttori che hanno deciso di recuperare le viti che erano state abbandonate in quanto il territorio risulta piuttosto impervio. Ci troviamo di fronte a un altro esempio di viticoltura eroica, da cui nascono poche, ma preziose bottiglie: quelle di Fieno Igt (Indicazione Geografica Tipica), nelle varietà Bianco, Rosato e Rosso e quelle con Biancolella in purezza, diventato nel tempo vitigno autoctono, con cui si realizza il Biancolella di Ponza Igt, bianco paglierino luminoso dai riflessi dorati. In tutti si riconoscono le note minerali date dall’origine vulcanica del territorio.

4. Ischia e Capri

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Approdiamo nella perla dell’Arcipelago delle Flegree, tra boschi rigogliosi e mare cristallino. Ischia è un’isola vulcanica, c’è il Monte Epomeo a testimoniarlo, con i vigneti che si sviluppano in altezza, nei caratteristici terrazzamenti sulle pareti ripide delimitate dalle “parracine”, i muretti a secco realizzati in tufo verde che servivano fin dai tempi passati a far sviluppare la vite in concomitanza di superfici dalla forte pendenza. Insomma, anche qui si parla di viticoltura eroica, con vini dalla spiccata salinità e mineralità tornati alla vita nei primi anni 2000. L’isola può vantare la denominazione Ischia Doc, con all’interno 5 tipologie che si ricavano principalmente dagli autoctoni campani Biancolella e Forastera per i bianchi, anche spumante, (freschi, floreali e agrumati) e Guarnaccia e Piedirosso (detto Per’e Palummo), per i rossi, quest’ultimo pure in versione passito. Al Golfo di Napoli appartiene anche Capri, altra meta turistica per eccellenza che nasconde però un lato selvaggio, con natura lussureggiante e un passato dove i vigneti ricoprivano gran parte del territorio, apprezzati persino dall’Imperatore Tiberio. L’isola è calcarea, il clima è mite e le vigne sono allevate su terrazzamenti baciati dal sole: dalle uve locali si ottengono il Capri Doc Bianco e Rosso, a base di Falanghina, Greco, Biancolella e Piedirosso.

5. Lipari e Salina

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Le vigne nel bordo di Malfa, Salina

Meta di indimenticabili vacanze, le Eolie sono sette isole vulcaniche (alcune con crateri ancora attivi come quello di Stromboli), dal clima tipicamente mediterraneo, mitigato dal mare, ventose e soleggiate, con suoli sabbiosi e pietrosi, caratterizzati da un elevato contenuto di minerali. Le regine del vino sono Lipari e Salina, patria di due vitigni autoctoni: la Malvasia e il Corinto nero che arrivano dall’antica colonizzazione greca (con i tipici filari ad alberello), con cui si producono soprattutto la Malvasia delle Lipari Doc, in particolare nella forma passito, un vino dolce naturale dal colore giallo ambrato, dorato e dal priofumo aromatico. Da disciplinare si compone al 95% massimo con la prima varietà e il 5-8% della seconda. Meno popolare, è il vino Corinto nero in purezza: ha un colore rosso rubino scarico, è mediamente corposo e il più delle volte morbido.

6. Favignana e Ustica

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Favignana

Ci spostiamo nella Sicilia Occidentale, a Favignana e Ustica, dove la vite, per lungo tempo scomparsa, è stata riportata di recente (a partire dagli 10 del 2000) dall’iniziativa di vignaioli che hanno saputo di nuovo valorizzarla in territori estremi come questi, con suoli sabbiosi e minerali, con le vigne assolate sferzate dal vento, in un clima asciutto tutto l’anno: i vini, aromatici, hanno il mare dentro. Siamo anche qui in un contesto di viticoltura eroica, dove gli attori principali sono vigneti autoctoni come Inzolia (Ansonica), Catarratto, Grillo e Zibibbo per le uve bianche, Nero d'Avola e Perricone per i rossi. A Favignana, l’isola a forma di farfalla, celebre per le tonnare dei Florio, se ne occupa l’azienda Firriato (presente anche nelle zone dell’Etna), che nel suo vigneto produce un bianco, un rosso e un passito in volumi limitati, mentre a Ustica il nome è quello dall’azienda agricola Hibiscus, l’unica realtà vitivinicola presente.

7. Pantelleria

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Eccoci a Pantelleria, la più remota tra le isole siciliane, dove non ci sono solo capperi. Il suo nome significa “figlia del vento”, è di origini vulcaniche e la sua anima è particolarmente selvatica. Vinificare qui significa ancora una volta eroismo e anche un pizzico di follia, ma i vigneti terrazzati e i muretti a secco, i dammusi bianchi e il mare azzurro sono uno spettacolo mozzafiato. Il re incontrastato è l’alberello pantesco, dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità nel 2014, un metodo di coltivazione tradizionale che si tramanda di generazione in generazione che prevede anche una vendemmia rigorosamente a mano. Il vitigno più diffuso è lo Zibibbo (zabīb) importato dagli arabi, che regala i due vini più celebri di Pantelleria: il Passito e il Moscato, entrambi Doc e dal gusto dolce e aromatico.

Le realtà piccolissime e preziose

Concludiamo questo giro di-vino, segnalando quattro realtà originali, ognuna a suo modo, tra la Toscana, il Veneto e la Sicilia.

Gorgona

La prima è Gorgona, l’isola più piccola dell’Arcipelago Toscano, che sia affaccia su Livorno, dove in una manciata di ettari si producono vini dall’importante valenza sociale, in quanto sono il frutto della collaborazione tra i Marchesi de’ Frescobaldi, famiglia toscana votata da secoli alla vinificazione e l’Istituto penitenziario, con i detenuti che contribuiscono alla realizzazione del Gorgona Bianco (con uve Vermentino e Ansonica) e del Gorgona Rosso (con Sangiovese e Vermentino nero).

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Sant’Erasmo e Mazzorbo

Cambio di scenario: ci spostiamo nell’Adriatico, precisamente nella Laguna di Venezia, dove si trovano l’isola di Sant’Erasmo e l’isola di Mazzorbo. Nella prima, in quattro ettari di terreno, si coltivano Malvasia Istriana e Vermentino, reintrodotti nel 2006, dopo secoli di abbandono dal francese Michel Thoulouze, che con il suo Orto di Venezia ha conquistato un posto anche nella carta di vini di Alain Ducasse all’Hotel Plaza Athénée di Parigi. La seconda, è la sede della Tenuta Venissa, dove la cucina è in mano agli chef Chiara Pavan e Francesco Brutto: qui, all’interno di un “clos” medievale, ai piedi di un campanile trecentesco è stato fatto rinascere il Dorona, un vitigno autoctono semi-estinto dopo la grande acqua alta del 1966, da cui deriva un vino bianco molto minerale e iodato

Mozia

Nella Riserva Naturale dello Stagnone, in provincia di Marsala, si trova l’isolotto di Mozia, dove si dice che già i Fenici allevassero la vite in questo scenario unico, tra le saline e il mare. Il vitigno che caratterizza questo territorio è il Grillo, vitigno autoctono antichissimo a bacca bianca, diffuso in tutta la Sicilia Occidentale. Il recupero dei vigneti storici, per riportare alla luce proprio il “vino dei fenici” è iniziato nel 2007 ad opera della Fondazione Whitaker che ha affidato la sua tenuta alla famiglia Tasca d'Almerita, in attività da otto generazioni.

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