Dal sambuco al radicchio dell'orso, passando per lo spinacio selvatico e il tarassaco (ma non solo): ecco 9 piante selvatiche ricche di proprietà benefiche e protagoniste di ricette semplici e gustose.
Per molto tempo “andare per erbe” ha significato raccogliere piante che crescevano spontaneamente nei prati, nei boschi, lungo i fossati, entrando in contatto con una biodiversità selvatica che con l’arrivo dell’urbanizzazione e l’uso massivo di pesticidi si è ridotta, oltre a subire i danni provocati dall’inquinamento dell’aria e delle acque. Il foraging, però, è una pratica di approvvigionamento del cibo millenaria che da qualche anno è tornata in auge per diversi motivi, primi fra tutti la valorizzazione del territorio e il minor spreco alimentare, tanto che anche nelle città si sono organizzati movimenti di urban foraging per consumare in modo consapevole frutti e vegetali che crescono nei grandi centri abitati. In più, nelle cucine stellate (ma non solo) usare erbe, radici, bacche, cortecce, muschi e fiori è diventato piuttosto comune, a partire dallo chef René Redzepi, pioniere della New Nordic Cuisine, che ha messo al centro del piatto solo ingredienti iper locali, catturando la curiosità del grande pubblico, oltre a diventare un punto di riferimento per moltissimi giovani cuochi.
Senza andare nel Nord Europa, una cucina che ha sempre mantenuto privilegiata la sua connessione con la natura è quella di montagna: qui, le erbe selvatiche non sono mai mancate, così come il foraging non è mai scomparso. Raccoglitori, è bene saperlo, non ci si improvvisa: bisogna saper riconoscere la flora commestibile per evitare avvelenamenti con conseguenze più o meno gravi e rispettare la normativa, proprio come si fa con i funghi. Detto questo, vediamo quali erbe si possono trovare e come usarle.
Partiamo con una pianta erbacea che non è solo prerogativa della montagna, dove però viene utilizzata più che in pianura. Si tratta del tarassaco, conosciuto anche come dente di leone o soffione: ha un lungo stelo, le foglie dentellate e il fiore giallo brillante. Viene impiegato sia dal punto di vista officinale in tisane (specialmente le radici), date le sue proprietà diuretiche, digestive e antinfiammatorie, sia in cucina. I fiori freschi o essiccati diventano delle graziose e dolci guarnizioni, mentre le foglie, amarognole, sono le protagoniste assolute di un grande classico, la frittata, altrimenti si rivelano ottime in padella con un po’ di olio, aglio e peperoncino.
Una volta molto diffuso anche in campagna, lungo le strade secondarie, adesso il luppolo selvatico è più facile da trovare in alto senza superare i 1200 metri. Tipico del Nord d’Italia (in Piemonte è luvertin), se ne mangiano i germogli, chiamati bruscandoli, all’interno di preparazioni tipiche della cucina contadina come frittate, risotti, bruschette. Il sapore è amarognolo, mentre l’aspetto delle cime, di colore verde-rossastro, ricorda quello dell’asparago, tanto che in Lombardia si identificano come asparagina selvatica. Il luppolo è ricco di acqua, fibre e sali minerali, è depurativo, digestivo e antiossidante.
Si tratta di un arbusto composto da foglioline dentate, fiori bianchi o gialli e piccole bacche di colore scuro. Le sue proprietà sono note: antiossidanti, antinfiammatorie e di supporto al sistema immunitario, senza dimenticare che i fiori sono anche ricchi di antociani e vitamina C. Il sambuco è ampiamente utilizzato in cucina per la preparazione di frittelle, confettura, sciroppo, liquore e perfino cocktail: ha un sapore dolce e fresco.
Conosciuto anche come aglio selvatico o aglio dei boschi, è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Liliaceae. Ha foglie lanceolate verde brillante e un odore pungente molto riconoscibile. Le foglie fresche vengono aggiunte a insalate, salse, zuppe e piatti a base di carne o pesce, così come possono essere utilizzate per preparare pesti per condire pastasciutte o tartine. Le sue proprietà? Antiossidanti, disinfettanti e antinfiammatorie.
Il nome scientifico è Silene vulgaris, popolare dal mare alla montagna, dove cresce nei prati tra gli 800 e i 1000 metri: è un’erba spontanea edibile tipicamente primaverile, ricca di vitamina C, sali minerali e polifenoli. Come le precedenti, si identifica con diversi nomi a seconda della zona: stridoli, carletti, schioppettini per citarne alcuni. Le sue foglie sono lunghe, tenere e verdi e si raccolgono prima che avvenga la fioritura, perché poi tendono a diventare legnose. Il sapore è delicato: in Trentino-Alto Adige si abbinano a speck e altri salumi locali, ma si usano anche in frittate e come contorno ripassate in padella. In Romagna si fa un sugo perfetto per le tagliatelle, mentre in Umbria diventano il ripieno insieme a cicoria ed altre erbette miste della fojata, una torta salata arrotolata.
Dalle foglie verdi e morbide, lo spinacio selvatico è una pianta erbacea che in Italia compare soprattutto nelle zone montane e subalpine, tra i 500 e i 2000 metri di altezza, nei boschi o nei terreni vicino alle malghe. Il suo nome scientifico è Blitum bonus-henricus, meglio detta l’erba del Buon Enrico, in onore del Re di Francia Enrico IV di Borbone, o farinello. Si raccoglie da inizio primavera fino alla fine dell’estate: dato che non si trova nel resto dell’anno se ne fa scorta e si congela. Si cucina lessato o cotto in padella, ha un gusto amarognolo e anch’esso condivide diversi benefici delle precedenti, come le proprietà depurative e la presenza di sali minerali, in particolare ferro. In dialetto bergamasco è il parüch, ed è popolare prepararci un pesto con cui condire risotti, pastasciutte e lasagne.
Il nome scientifico è Achillea millefolium, si trova sia in pianura sia in montagna, fino a 2500 metri di altezza ed è una pianta perenne molto comune. Ha foglie verdi e fiori bianchi a grappoli: in cucina non viene particolarmente utilizzata se non come erba aromatica fresca o essiccata (per esempio per arricchire il sale o un mix di profumi) o per la preparazione di liquori. La sua funzione principale è quella officinale: la si può usare in tisane o decotti digestivi, oppure è particolarmente efficace contro gli spasmi muscolari e come cicatrizzante. Il suo nome, infatti, sembra derivare proprio dall’eroe greco, che la impiegò per curare le sue ferite. La presenza di flavonoidi, inoltre, potrebbe favorire l’equilibrio ormonale durante la fase premestruale, combattendo nervosismo e spossatezza.
Detto anche asparago di montagna e barba di capra, l’Aruncus dioicus si raccoglie nelle regioni del Nord e Centro Italia in primavera, tra i 500 e i 1500 metri nel sottobosco. Ha foglie verdi lanceolate e un’infiorescenza bianca a pannocchia. Della pianta sono commestibili solo i germogli giovani – teneri, sottili e leggermente amari – che vengono solitamente lessati e poi mangiati come contorno con carne, pesce o uova, nei risotti oppure conservati sott’olio, con alloro, aglio e peperoncino a piacere, ottimi su crostini.
La raccolta della cicerbita alpina, detta anche radicchio dell’orso o radìc di mont in friulano (dov’è tra i Presidi Slow Food), avviene alla fine dell’inverno ad alta quota, quando la neve si ritira. Il suo approvvigionamento è tutelato per legge, in quanto è una specie protetta. Si gustano le foglie giovani, perfette nei risotti, e i germogli sottili, che vengono preservati sott’olio con aromi: l'abbinamento perfetto con formaggi di malga e salumi, come il prosciutto di Sauris.