Ogni zona di Napoli ha la propria caratteristica pizza: dalla ruota di carro del centro storico all'eleganza del Vomero, passando per Forcella e Corso Secondigliano. Una storia diversa sulla pizza napoletana che intreccia racconti, famiglie ed eventi storici che hanno cambiato la geografia della città partenopea.
La pizza a Napoli rappresenta storia, identità, tradizione, evoluzione, vita. I bambini vengono svezzati con un pezzo di Margherita, iniziati in un battesimo culinario derivante dal ménage à trois tra pane, mozzarella e pomodoro. Non molti sanno però che un vero napoletano riesce a riconoscere la provenienza di una pizza guardando semplicemente le dimensioni del disco di pasta.
La città partenopea ha mille anime dovute ai mille quartieri: il Pallonetto popolare su un marciapiede, la luccicante Santa Lucia sul marciapiede di fronte, sono l’esempio più lampante di un luogo spaccato in più parti, con una comunità che lo è davvero solo quando si tratta di cibo e calcio. La pizza non fa eccezione e ogni zona della città ha la propria caratteristica. La grandezza base e le sfaccettature di zona sono state sviscerate da importanti autori come il giornalista e storico Tommaso Esposito o il maestro pizzaiolo Enzo Coccia, in vari libri che raccontano a fondo la storia della pizza e del capoluogo campano.
Oggi è un prodotto che nulla ha da invidiare ai grandi ristoranti in giro per il mondo: non è più una cosa solo napoletana, tant’è che nell’ultima classifica della 50 Top Pizza il podio è costituito da due casertani e un veronese.
La storia della pizza a Napoli è super inflazionata: dalla comune fake news che la vuole dedicata alla Regina Margherita di Savoia, passando per le invasioni arabe e le pite greche. C’è una storia parallela che riguarda solo la dimensione del disco pizza, il meraviglioso lievitato che accoglie in un abbraccio circolare tutti gli ingredienti.
Pur avendo tutte dimensioni diverse, si parla di pizze tradizionali, quasi tutte iscritte all'Associazione Verace Pizza Napoletana e quindi devono sottostare a un severo disciplinare. Per la "verace pizza napoletana" i panetti devono avere un peso compreso tra i 200 ed i 280 grammi, in modo da ottenere una pizza di diametro tra 22 – 35 cm. Ci sono le eccezioni ovviamente e, visto il valore storico di alcune delle insegne, l'AVPN chiude un occhio (nella cover una Margherita dell'Antica Pizzeria da Michele che supera abbondantemente i 35 centimetri ma chi oserebbe mai pensare che Michele non è "verace"?).
La più riconoscibile pizza del mondo è sicuramente quella del Centro Storico. Tra i decumani della città che costituiscono il reticolo della Napoli antica sono nate centinaia di pizzerie che, con i propri maestri, hanno fatto la storia di questo prodotto.
Parliamo di nomi celebri, che trascendono il mondo del food come ad esempio Gino Sorbillo dell’omonimo locale, o i Di Matteo, i Cacialli della Figlia del Presidente, gli Starita, i Luciano a Port’Alba (la pizzeria più antica del mondo, nata nel 1738). Ce ne sono decine di grandi nomi che in comune hanno la pizza maxi, una vera taglia XL, più comunemente chiamata ‘a rot ‘e carretto, cioè "a ruota di carro".
Questa pizza è sottilissima, il panetto maturato tra le 12 e le 24 ore va steso tanto: il bordo della pizza deve uscire fuori dal piatto, altrimenti non è pizza dei Tribunali. La motivazione di questa scelta è legata, in qualche modo, al proliferarsi della pizza a portafoglio: nell’800 le pizze napoletane venivano spesso e volentieri vendute a fette, in una sorta di delivery, servite su una ruota (non di carro, ma di legno) alle maestranze del Centro Storico. Più la pasta veniva stesa, più fette si riuscivano a fare, di dimensioni più grandi, anche se più leggere, che soddisfacevano clienti e venditori.
La tradizione è mantenuta viva ancora oggi, con orgoglio, quasi con puntiglio: le pizze devono uscire fuori dal piatto, rigorosamente, ma mai devono toccare il tavolo, perché questa è un’altra zona.
Probabilmente è la zona della pizzeria più famosa del mondo, comparsa in un film cult come "Mangia, Prega, Ama", in una scena iconica con Julia Roberts, e finita perfino su un numero di Topolino. Parliamo dell’Antica Pizzeria da Michele, della famiglia Condurro e qui parliamo di una pizza-capodoglio. Cosa vuol dire nel dettaglio? È facile: la pizza a ruota di carro non basta, il bordo del tavolo deve essere "sporcato" dalla tonda gigantesca.
Altro fulgido esempio è quello di Pellone, e qui si apre un capitolo a parte: se Michele tiene ostinatamente in menu solo 2 pizze, Margherita e Marinara, Pellone ha abbracciato tutti i topping. Le tonde giganti sono piene di prodotti, tutti di buona qualità. Il consiglio è di dividerla la pizza, perché è ostico portare a termine la cena. D’altronde non bisogna sorprendersi delle dimensioni e delle calorie: Ferrovia e Forcella sono le zone di Napoli che hanno alcune delle migliori pizze fritte della città.
Le viuzze (e le pizze) della Marina si intrecciano con quelle di Piazza Mercato, una delle piazze più importanti della città. Qui cominciarono i moti napoletani guidati dal rivoluzionario Masaniello, la piazza è oggi la congiunzione tra il centro storico e via Marina, appunto. Per anni abbandonata a se stessa, diventando un enorme parcheggio a cielo aperto, oggi sta ritrovando la propria vocazione.
La storia però ci ha consegnato una pizza tra via Marina e Piazza Mercato, che si può trovare ancora oggi in locali storici come la Pizzeria del Popolo: una tonda grande che bacia il bordo del piatto senza andare oltre. Discreta, dal sapore verace, che piace tanto ai puristi della pizza tradizionale napoletana.
Nel quartiere Vomero, ma anche nei ristoranti che avevano un forno pizzeria, la pizza non raggiunge il bordo del piatto, larga circa 33 centimetri e col cornicione alto. Semplice, lievitata almeno 24 ore e dalla grande eleganza.
Il Vomero così come lo conosciamo oggi nasce alla fine dell’800 grazie al Risanamento di Napoli, lo stesso che ha mutato per sempre la storia del polpo alla luciana. Era il "Nuovo Rione" nei piani della nuova monarchia. Fin dal primo momento il Vomero venne concepito come un quartiere residenziale destinato alle classi alto-borghesi con le splendide ville e palazzine in stile tardo Liberty.
Non esistevano pizzerie perché fino all’inizio del ‘900 la popolazione era molto ristretta, divisa tra le diverse piazze di una collina contadina. Una delle prime insegne è stata Gorizia, della famiglia Grasso, nel 1916 e tutt’ora esistente, il cui nome è dedicato proprio alla conquista della città friulana durante la Grande Guerra.
Per molto tempo la pizza del Vomero è stata sinonimo di Pizza-Di-Gorizia, non a caso le pizze di Portici e San Giorgio a Cremano sono di questa scuola di pensiero: i fratelli Francesco, Salvatore (titolari dei locali a Chiaia e San Giorgio), e Ciro (titolare di 50 Kalò a Napoli), sono diretti discendenti di Gorizia 1916. La loro nonna, grandissima pizzaiola specializzata nelle pizze fritte, era infatti la sorella di Salvatore Grasso, fondatore di Gorizia.
Don Salvatore inizialmente faceva le pizze a ruota di carro, come tutti. Il pubblico vomerese si è però sempre più imborghesito con gli anni, come previsto dal Risanamento. Negli anni ‘50 il Napoli calcio giocava allo Stadio Collana, a poche centinaia di metri dalla pizzeria che è diventata sede di post-partite e pranzi dei giornalisti, oltre che luogo prediletto di attori e professionisti della Napoli del boom economico.
Grasso notò una cosa: i suoi clienti lasciavano sempre il cornicione. Gli piangeva il cuore, che fare dunque? Semplice: una pizza più piccola. Il motivo non riguarda solo i cornicioni: la famiglia Grasso è una famiglia di friggitori, tant’è che ancora oggi tutti e tre fratelli Salvo e i cugini Grasso fanno di queste preparazioni un vanto. La pizza più piccola invogliava i clienti a prendere qualcosa di antipasto, facendo lievitare lo scontrino medio.
La pizza vomerese è grande quanto un piatto, ma ne lascia intravedere il bordo. Curiosamente, circa 60 anni dopo, per la questione-cornicioni è nata un’ulteriore scissione nel mondo della pizza con la canotto e lo stile casertano. I pizzaioli stanchi di veder tornare in cucina i cornicioni hanno così rivoluzionato per sempre un piatto storico e identitario come la pizza napoletana.
Lontanissimo dai flussi turistici, tristemente noto alle cronache nei primi anni 2000, Corso Secondigliano è una sorta di Via Tribunali. Tantissime sono le pizzerie storiche che affollano lo stradone, con uno stile molto particolare sia nelle versioni classiche che in quelle fritte. La frittura è un must di questa via: alcune delle migliori pietanze cotte nell’olio bollente le troverete tutte qui.
Gli intrecci tra il Corso e la storia della pizza riguardano in particolar modo la famiglia Mattozzi, titolare dell’omonima pizzeria a Piazza Carità fondata nel 1833, e la famiglia Del Buono, titolare della Pizzeria da Gennaro a Secondigliano, altra ultracentenaria. La pizza di Corso Secondigliano è sempre un po’ imprecisa e non perfettamente tonda, quindi è difficile definire la grandezza con un piatto. Si colloca nella taglia della pizza di Via Marina, con un sapore molto deciso.