La pastiera è legata alle festività pasquali fin dai tempi dell'antica Grecia, per questo la mangiamo in questo periodo. Nasce infatti nel paganesimo con una ricetta molto diversa da quella attuale.
Insieme all'uovo di Pasqua la pastiera è il dolce più tipico della Pasqua italiana. Strettamente e storicamente legata alla città di Napoli, negli ultimi anni, complice l'esplosione del turismo partenopeo, dei delivery e degli e-commerce, è ormai un must in tutta Italia.
Partiamo dal principio però: che cos'è la pastiera? Si tratta di una torta di pasta frolla che si prepara stendendo la base in una teglia. Il ripieno viene preparato mescolando ricotta, grano cotto, uova, zucchero, acqua di fiori d'arancio e canditi. Il composto viene poi versato nella frolla e la torta viene cotta in forno per circa un'ora e ricoperta di listarelle della stessa pasta frolla intrecciate a croce di sant'Andrea. Tradizione vuole che si prepari di giovedì santo e si mangi poi la domenica di Pasqua: i tre giorni di riposo la rendono ancor più deliziosa oltre a evocare un chiaro rimando cattolico. L'involucro deve essere croccante, il ripieno morbidissimo e leggermente umido.
La pastiera si mangia a Pasqua perché tutti gli ingredienti simboleggiano la rinascita dopo l'inverno, un modo benevolo per proseguire l'anno che affonda le proprie radici nel periodo romano. Oltre a essere tipica di Pasqua, ormai è usuale trovarla sulle tavole dei napoletani anche nei giorni di Natale. Ma qual è la sua storia? In realtà è avvolta un po' nel mistero: ha di sicuro origini pagane ed è antichissima ma con gli anni sono nate numerose leggende che hanno un po' travisato la realtà.
Con ogni probabilità la ricetta della pastiera (ovviamente un po' diversa da quella odierna) risale all'antica Grecia ma non ci sono certezze in tal senso. Opinione comune è che la pastiera sia nata nel XVI secolo grazie a una consorella dell'ordine delle Suore crocifisse adoratrici dell'Eucaristia, che sono ancora oggi residenti nella chiesa di Santa Patrizia, l'edificio monumentale sito a San Gregorio Armeno (la famosa via dei pastori) che assieme all'adiacente complesso monastico, costituisce uno degli edifici religiosi più antichi, grandi e importanti della città. Secondo questa storia la suora avrebbe mescolato gli ingredienti tipici del simbolismo cristiano, uova, ricotta e grano, alle spezie asiatiche che giungono in città in questo periodo.
Purtroppo però non abbiamo certezza storiografica di questa vicenda ma ciò che è certo è che le suore di questo convento sono leggendarie per la preparazione della pastiera e tutti gli aristocratici di Napoli l'hanno assaggiata almeno una volta. Secondo una leggenda legata a questa vicenda la Biblioteca e Museo della Gastronomia racconta che la seriosa regina Maria Teresa d'Austria, conosciuta dal popolino come "la Regina che non ride mai", si fosse "lasciata sfuggire un sorriso dopo un morso di pastiera: ‘Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera', raccontano avesse allora detto il re Ferdinando, ben noto gourmand".
Ciò che sappiamo per certo è che la ricetta della pastiera compare all'improvviso nel libro "Lo Scalco alla Moderna" di Antonio Latini nel 1692. Il dolce è sicuramente conosciuto già da prima però: lo scrittore Giambattista Basile, in "La gatta Cenerentola", sesto racconto del Pentamerone contenuto ne "Lo cunto de li cunti", menziona la pastiera fra le delizie del banchetto finale; la prima edizione di questo capolavoro è del 1634. La ricetta di Latini è davvero molto strana e lontanissima da quella attuale, a testimonianza di come la tradizione in gastronomia non esista per davvero.
Testo originale di Antonio Latini | Traduzione |
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Piglierai Grano del più bello che potrai havere, nettandolo con diligenza, lo metterai a bollire in latte grasso e ridotto che farà alla cottura, e conveniente bellezza, lo passerai per setaccio, e pigliando due libre di detta passatura, vi aggiungerai once otto di Cacio Parmigiano grattato, una Libra di ricotta grassa di Pecora, oncee due di Farina di Pane di Spagna, pepe, sale, e cannella a sufficienza, once due di Zuccaro in polvere, mezza Libra di Pistacchi ammaccati, macerati in Acqua Rosa Muschiata, oncie quattro di pasta di Marzapane, direttamente temprata con latte di Pistacchi e un poco d’Ambra. Incorporerai tutte queste cose e comporrai la pastiera, dentro una tiella, sopra sfogli della medesima pasta, e coprendoli degli stessi sfogli l’ungerai benissimo con butiro, e mettendola nel Forno, la metterai morbida, la servirai calda con Zuccaro sopra. | Prendi il grano migliore che rovi, taglialo, fa bollire nel latte e poi setaccio prelevando due libbre (907 gr), aggiungi otto once di parmigiano (224 gr), una libbra di ricotta grassa di pecora (453,5 gr), due once di farina (56 gr), pepe, sale, cannella quanto basta, due once di zucchero in polvere (56 gr), mezza libbra di pistacchi (226 gr) macerati in acqua di rosa Mosqueta, quattro once di pasta di marzapane (114 gr) impastata con latte di pistacchi. Incorpora tutte queste cose e componi la pastiera in una padella, sopra metti degli sfogli di pasta e coprili con burro. Inforna e servila calda con lo zucchero a velo. |
Come puoi vedere, la prima pastiera è molto rustica, non ha la pasta frolla che è sostituita dalla pasta di marzapane; ci sono pistacchi e parmigiano e c'è l'acqua di rosa Mosqueta, una qualità proveniente dal Sudamerica che forse è stata sostituita dalla millefiori e dai fiori d'arancio perché difficile da reperire. È una ricetta profondamente medievale nell'idea, anche se il Medioevo è "finito" da 200 anni al tempo della pubblicazione di Latini. La presenza massiva di ingredienti salati e dolci in contemporanea è forse la cifra stilistica più caratteristica di quel periodo storico.
Per quanto ne sappiamo questa sarebbe stata la ricetta tipica per quasi due secoli perché la prima variante la ritroviamo solo nel 1837 grazie al sempiterno Ippolito Cavalcanti che pubblica la propria pastiera nella prima edizione della "Cucina Teorico-Pratica":
Testo originale di Ippolito Cavalcanti | Traduzione |
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Prendi una misura di grano bianco il migliore, ben pulito, espurgato, lo farai cuocere moltissimo con acqua, e raffreddato lo mescerai con libbre 5 e mezzo di ottima ricotta, che non abbia nessuna parte sierosa, ci porrai libbre 2 ed once 9 di zucchero fiorettato, una libbra di cocozza candita in fettoline, mezza libbra di cedro candito ancor così, numero venti torli d’0vi freschi, e mezza quarta d’oncia di ottima cannella pesta. Farai intanto una pastaccia, ammassata con acqua, ovi, ed un tantino di sugna, la fatigherai ben bene, la levigherai nella spessezza di uno scudo, e ne farai una fodera in un ruoto espressamente per le pastiere verniciato di sugna. Ci verserai la composizione, ed al disopra con la pasta medesima ci farai una graticola con delle strisce di pasta, e così la farai cuocere al forno, servendola calda. | Prendi grano bianco migliore, ben pulito, metti in ammollo e fai cuocere in tantissima acqua e raffreddato lo mischierai con cinque libbre e mezzo di ricotta (2,5 kg) che non abbia alcuna parte sierosa, aggiungi due libbre e nove once di zucchero (1,2 kg), un'oncia di zucca candita tagliata a fette (454 gr), mezza oncia di cedro candito (227 gr), 20 tuorli d'uovo, mezza quarta d'oncia di cannella in polvere (57 gr). Impasta con acqua, uova, sugna e stendi fino a uno spessore di 5 centimetri. Fodera il ruoto delle pastiere ma ungilo con la sugna. Versa all'interno la composizione e al di sopra copri con la pasta. Fai una rete con le strisce, fai cuocere al forno e servila calda. |
La pastiera di Cavalcanti è effettivamente molto simile a quella odierna, a dispetto di un eccessivo uso della sugna e della zucca candita che non si usa più (ma che sembra invitante), sostituita dall'arancia e dal cedro. Purtroppo però la storia "certa" della pastiera finisce qui. Nessuno conosce i passaggi successivi che non compaiono nei libri. Si fa solo questo salto temporale di secolo in secolo che ci porta alla ricetta e alla tradizione di oggi.
La leggenda legata alla nascita della pastiera non riguarda le famose sette strisce o il reticolato dei decumani: queste sono due bufale, per quanto affascinanti possano essere restano delle fake news. La leggenda in questione assegna la firma di questa invenzione addirittura alla sirena Partenope, creatrice della città di Napoli oltre che di questa delizia.
Questa figura mitologica viveva nel Golfo di Napoli e durante la primavera emergeva dal mare per posarsi sull'isolotto di Megaride, dove oggi c'è Castel dell'Ovo, per deliziare i napoletani col proprio canto. Un anno, per ripagare la sirena di tanta bellezza, le sette fanciulle più belle della città arrivarono sull'isolotto lasciando altrettanti ingredienti: farina, ricotta, uova, grano, acqua di fiori d'arancio, spezie e zucchero, che messi insieme diedero origine alla celebre torta. Proprio questa leggenda è alla base della famosa storia delle sette strisce della pastiera.
La leggenda ha un fondo di verità perché è molto probabile che le primordiali pastiere fossero preparate durante le feste pagane che celebravano il ritorno della primavera. Non a caso è comune a tutte le leggende il significato dato ai singoli ingredienti: la farina è simbolo di ricchezza, la ricotta è simbolo di abbondanza, le uova sono sinonimo di rinascita, il grano è simbolo di fecondità, l'acqua di fiori d'arancio è simbolo di prosperità, le spezie sono un omaggio a tutti i popoli del Mediterraneo e lo zucchero che è ovviamente simbolo di dolcezza.
La seconda leggenda viene dal mondo dei pescatori. Protagoniste sono le loro mogli che avrebbero lasciato cesti di frutta candita, grano, uova, ricotta e fiori di arancio come offerta al mare sulla spiaggia di Santa Lucia, bellissimo borgo marinaro napoletano, affinché i propri mariti tornassero sani e salvi a casa. Il Mare, diventato essere senziente nella leggenda, avrebbe mescolato gli ingredienti durante la notte creando così la pastiera.
È curioso notare che tutti gli ingredienti utilizzati per questo dolce facciano parte della storia del Mediterraneo da secoli. Le sacerdotesse di Cerere, divinità materna della terra e della fertilità in epoca romana, festeggiavano l'arrivo della primavera proprio portando in processione ricotta, zucchero, grano e uova che proprio in questo periodo diventano simbolo universale di rinascita. L'uovo è stato poi "rubato" dalla religione cristiana, diventato simbolo di resurrezione e la stessa città di Napoli si reggerebbe su un uovo, quello piazzato da Virgilio nelle viscere di Castrum Lucullanum, che diventa prima Castrum Ovi e poi Castel dell'Ovo attuale proprio grazie a questa leggenda. Fin dai tempi della Magna Grecia, tradizione mantenuta fino al Medioevo, la "torta nuziale" italiana era a base di grano e/o farro unito alla ricotta e al pane di farro, una ricetta che ricorda una versione povera della pastiera dopotutto.