La vita della prima pasticciera siciliana che quest'anno compie 84 anni è un bel racconto di passione, indipendenza e anche un pizzico di coraggio per portare avanti una tradizione secolare che rischiava di andare perduta.
Erice è un antico borgo medievale dove il tempo sembra essersi fermato: arroccato sull’omonimo monte, si trova a 751 metri sul livello del mare, sulla costa occidentale della Sicilia, in provincia di Trapani. Una meta di evasione dai ritmi frenetici delle città, che negli anni è diventata un vero e proprio luogo di pellegrinaggio: ma non religioso, anche se i monasteri non mancano e, soprattutto, sono legati a doppio filo con la storia che stiamo per raccontare. Nella centralissima e vivace via Vittorio Emanuele, al numero 14, si trova la pasticceria più popolare del borgo, che richiama ogni anno migliaia di turisti, tanto che nei mesi estivi è possibile trovare persone in fila che aspettano di gustare i dolci alle mandorle (e le genovesi) della signora Maria Grammatico, una vera istituzione in materia, di cui la fama va ben oltre l’isola e l’Italia. Da ogni parte del mondo, infatti, appassionati, giornalisti e documentaristi, vengono a sentire il racconto della nascita della Pasticceria Maria Grammatico direttamente dalla protagonista e proprietaria, prima donna pasticciera siciliana e dal 2023 Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, che a quasi 84 anni continua a essere l’anima del negozio.
Prima di raccontare la storia personale della signora Maria Grammatico, bisogna fare un passo indietro e partire dalla tradizione dolciaria siciliana che ebbe la sua culla nei monasteri di clausura sparsi per tutto il territorio. Il periodo che va dal ‘400 all’800 è quello che più si caratterizza per questa produzione artigianale, che vede la creazione di specialità iconiche come la frutta martorana e altri dolcetti a base di pasta reale grazie alla grande disponibilità di zucchero e di mandorle che vi era in Sicilia. Le monache e le suore, impossibilitate a uscire dalle mura dei monasteri, si dedicavano giorno e notte alla preparazione di questi dolci, tramandando le ricette tra consorelle di generazione in generazione, custodendole gelosamente. La loro arte dolciaria, infatti, era l’unico collegamento che avevano con la realtà esterna, in quanto i manicaretti venivano usati come merce di scambio per finanziare il monastero e venduti durante le ricorrenze religiose. In più, impastare, modellare e infornare era un’attività di condivisione, che in qualche modo alleggeriva le rigide regole della vita monastica, basate su sacrifici e preghiere: non bisogna dimenticare che la maggior parte di queste donne si trovava in clausura perché costretta dalla povertà o dalle consuetudini dell’epoca.
Anche per Maria Grammatico l’ingresso nel monastero di San Carlo a Erice non è stato certo frutto di una scelta personale, anzi. Ci sono molte testimonianze sia scritte sia video in cui la signora ne ricorda l’anno e il motivo: siamo nel 1951, Maria ha 11 anni (nasce il 7 dicembre 1940), è originaria di Ballata, una frazione di Erice, e ha finito il ciclo delle scuole elementari, gli unici studi che avrà modo di svolgere. Purtroppo quell’anno il padre viene a mancare, lasciando la moglie incinta di due mesi e altri 5 figli. Non c’è modo di poter mantenere la famiglia, che già in periodi precedenti aveva sofferto la fame – Grammatico parla spesso di digiuno, di andare a letto senza mangiare, sottolineando che non se ne è mai vergognata – e per garantire un pasto caldo giornaliero a lei e alla sorella l’unica via era quella di trasferirla insieme alle orfanelle del monastero. Le monache sono tutte anziane e lei condivide questa esperienza con una decina di altre ragazze più o meno della stessa età. Chiede di andare a scuola, ma non è possibile: la quotidianità è faticosa, ci si alza alle 6, si prega, e poi si lavora tutto il giorno, non si esce mai, solo per andare ai funerali, raccogliendo così qualche spicciolo per il convento.
Maria Grammatico, dopo un paio d’anni, capisce che l’unico modo per trovare una sua indipendenza in futuro è imparare un mestiere. Quale? Quello di pasticciera, approfittando del laboratorio che avevano le monache e nel quale confezionavano seni di vergini, mustazzoli, quaresimali e altri dolci tipici della pasticceria conventuale siciliana. Come detto in precedenza, le religiose non volevano rivelare le loro ricette a nessuno che un giorno avrebbe potuto portarle fuori dall’edificio e così Maria inizia a “spiarle” nel loro lavoro attraverso una botola che separa la cucina dal laboratorio, prendendo appunti e nascondendoli sotto i vestiti, in modo che nessuno potesse trovarli. Con il tempo, sarà suor Stellina a farle da maestra.
Nel 1963 Grammatico esce dal monastero e apre la sua piccola bottega, che presto diventa a conduzione familiare, aiutata dalla madre e dai fratelli. Qui prepara e vende gli stessi dolci che ha imparato a realizzare fino a ora, contribuendo a portare avanti un’arte dolciaria tradizionale che altrimenti sarebbe andata persa: nelle sue interviste, spesso, la si sente dire bonariamente, ma con un pizzico di orgoglio, “ce le ho rubate tutte”, riferendosi alle ricette. Da quel 1963 la passione di Maria non è cambiata, semmai il contrario, tanto da aver riportato in auge anche un’altra specialità siciliana del posto, le genovesi – una frolla ripiena di una crema di latte e uova tipo pasticciera – che si preparava in un diverso monastero di Erice, quello di San Salvatore. Per testare se la versione che stava ideando fosse simile a quella classica, la faceva provare a tutti gli anziani del borgo, in quanto ne avevano memoria, fino a quando ottenne il via libera, dopo ben 2 anni di sperimentazioni e test d'assaggio.
Oggi Maria Grammatico è sempre lì, stacca la notte e torna al mattino presto, sta in cassa o dietro le quinte a metterci le mani: la sua squadra si compone di ragazzi giovani, che come lei vogliono portare avanti questi antichi saperi e sapori. Vengono organizzate degustazioni e anche lezioni di pasticceria, sempre con protagonista la mandorla, rigorosamente quella di Avola, siciliana al 100%. Sono state proprio le mandorle, infatti, il lasciapassare per la signora Maria verso una vita migliore: un amore così grande, che non è raro sentirla dire che per lei sono come dei figli e che non riuscirebbe a vivere senza averle intorno.