Dietro il ris giald di Milano c'è un intero mondo da raccontare, tra libri di gastronomia e cultura popolare: abbiamo ripercorso le tappe principali della ricetta, per vedere come si è evoluta nei secoli.
Nelle trattorie e osterie meneghine di “una volta”, ma anche in quelle che vengono definite “contemporanee”, che propongono grandi classici della cucina tradizionale adattati al tempo presente, il risotto alla milanese non manca mai. Ris giald, risott cun l’unda, risott a la milanesa: in Lombardia lo si chiama in diversi modi, ma si intende sempre l’unico e inimitabile risotto giallo con zafran e midollo di manzo, cosa che lo rende diverso dal risotto allo zafferano. Si porta in tavola così com’è, oppure abbinato all’ossobuco, altra specialità di Milano insieme alla cotoletta.
Dove nasce il risotto alla milanese? La sua è una storia tra leggenda ed evoluzioni documentate sui libri di gastronomia: non è un piatto di origine popolare, perché la spezia è la più cara al mondo, ma nel corso dei secoli lo diventa, trasformandosi in una pietanza amatissima tanto dai criminali della mala che lo mangiavano nei loro “pranzett” sui Navigli, quanto da intellettuali come Carlo Emilio Gadda (per lui era il “risotto patrio”) e giornalisti appassionati, uno su tutti l’indimenticato Gianni Brera, che lo aveva eletto a sua ricetta preferita.
Il risotto alla milanese è un piatto talmente legato al suo territorio che nel 2007 ha ricevuto la Denominazione comunale di origine (De.Co), con tanto di ricetta ufficiale depositata a Palazzo Marino che prevede tra gli ingredienti riso, midollo di manzo o di bue tritato, brodo bollente (non di dado), grasso d’arrosto di manzo, cipolla, zafferano in polvere o pistilli, formaggio grana grattugiato, burro e sale.
L’aneddoto più conosciuto sulla nascita di questa specialità porta direttamente al simbolo della città di Milano, il Duomo. Come rinvenuto in un manoscritto custodito nella biblioteca Trivulziana, nel 1574 ai lavori per la costruzione della cattedrale partecipava anche un certo Valerio di Fiandra, mastro vetraio che aveva soprannominato il suo assistente Zafferano per la sua ossessione di colorare i vetri di giallo. Proprio Zafferano, non si sa se per boicottare il matrimonio della figlia del mastro o per uno scherzo, fece aggiungere la spezia nel risotto del banchetto per rovinarlo: al contrario, tutti gli ospiti lo considerarono eccellente.
Tra le prime testimonianze scritte di un piatto che si potrebbe considerare l'antesignano del risotto alla milanese c’è quella del cuoco varesino Bartolomeo Scappi, di stanza nelle cucine dei papi Pio IV e Pio V, che attorno al 1570 parla di una "vivanda di riso alla lombarda" in quello che è considerato uno dei maggiori trattati gastronomici del ‘500. In quest’opera nella ricetta era previsto l’uso della cervellata, un antico salume milanese composto da cervello di maiale, formaggio e zafferano e che, vista la grande quantità di grasso, si usava come condimento per il riso. Non si può ancora parlare di risotto visto che la pietanza si componeva di strati di riso bollito arricchiti da cacio, polpa di pollo o cappone, cannella, zucchero e tuorlo d’uovo. Data l’abbondanza era senza dubbio un pasto per aristocratici.
Dal 1800 in poi iniziano a fioccare le ricette messe nero su bianco del riso giallo, in una versione sempre più vicina a quella attuale: per esempio, come documentato nel volume La vera cucina di Milano e della Lombardia, edito da Guido Mondani nel 1976, si ritrova nel 1809 nel libro La cuciniera che insegna a cucinare alla casalinga dove Giuseppe Borsani parla sempre di un riso bollito in un brodo realizzato con “cipolla tagliata e passata fritta in butirro sino al color nocciolo, cervellato, brodo buono, poco grasso di arrosto” dove poi sciogliere lo zafferano. Si fa cuocere fino a quando il liquido evapora e poi si aggiunge grana, altro burro e pepe.
Nel 1829 nel manuale Nuovo cuoco milanese economico di Giovanni Felice Luraschi, tra i fondatori della “cucina borghese”, ovvero quella non più destinata alle classi nobiliari, compare il metodo di tostatura del riso, mentre al posto della cervella arriva il midollo. Nel 1839, ancora, il ris giald, si trova nel Vocabolario milanese-italiano, dove il riso viene abbrustolito in un soffritto di cipolla e di midollo di manzo e cotto man mano con il brodo, per poi essere condito con la cervellata e cacio lodigiano. Quando è pronto “lo ingialli con una presarella di zafferano, e lo servi”. La cervellata scompare dai radar solo dopo il 1936: a nominarla per l’ultima volta sarà un’anonima Zia Caterina nella sua Cucina pratica.
Nel 1891 viene stampato per la prima volta un testo chiave per tutti gli appassionati di gastronomia: si tratta del celebre La scienza in cucina di Pellegrino Artusi, dove vengono fornite ben tre alternative del risotto alla milanese. Come scrive Alberto Capatti, noto professore e storico dell’alimentazione e direttore scientifico di CasArtusi, il primo risotto è una versione semplificata con riso, burro, zafferano e mezza cipolla, il secondo ha tra gli ingredienti il midollo di bue e il terzo prevede due dita di Marsala al posto del vino bianco per sfumare. Per capire la parabola popolare del risotto giallo facciamo entrare in scena Petronilla, all’anagrafe Amalia Moretti Foggia, pediatra, cuoca e giornalista che oggi definiremmo divulgatrice se non influencer, nel modo più positivo possibile del termine. Tra le sue ricette semplici diffuse nella rubrica Tra i fornelli della Domenica del Corriere c’è anche quella del risotto alla milanese, realizzato in modo classico con tostatura del riso nel midollo e aggiunta di brodo e zafferano: solo alla fine, se lo si vuole rendere “sopraffino” si possono rosolare nel burro animelle, filoni, creste di gallo o fegatini e “con tale squisitissima minutaglia ricopri tutta la cupola del tuo risotto giallo”.
Impossibile a questo punto non citare gli chef che con le loro interpretazioni del risotto alla milanese hanno contribuito ad accrescere la fama di questo piatto: primo fra tutti Gualtiero Marchesi con il suo signature dish Riso, oro e zafferano, messo a punto nel 1981, con l’uso di un burro acidificato in vino e cipolla, aggiunto in mantecatura al posto del classico fondo, senza il midollo, e con la famosa deposizione finale della sfoglia d’oro alimentare dalla consistenza impalpabile e che "si dice faccia bene anche ai dolori reumatici… ma non è che si possa fare la cura così” come precisa il divin Marchesi in un simpatico video. Nel 2015 è invece il turno dello chef Davide Oldani, dove il suo Zafferano e Riso diventa l’icona dell’Expo: il piatto si caratterizza per il scenografico decoro a spirale realizzato con una salsa allo zafferano. Una rivisitazione più estrema l’ha ideata nel 2012 lo chef Claudio Sadler con il suo risotto da passeggio: il riso viene prima preparato in modo tradizionale, poi avvolto nella pasta brick e infine fritto, così da poterlo sgranocchiare come uno snack.