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6 Maggio 2020 11:00

La ristorazione in Cina dopo il Covid-19: niente plexiglas, solo tanta attenzione

Niente plexiglas o scene post apocalittiche: la ristorazione in Cina, piano piano, si sta riprendendo i suoi spazi. Posti distanziati e tanta attenzione in più sono la cura del dopo pandemia per la Repubblica Popolare. Abbiamo contattato alcuni ristoratori e chef italiani in Cina e scandagliato il sottobosco dei social cinesi per capirne di più.

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La ristorazione in Cina dopo il Covid-19: niente plexiglass, solo tanta attenzione

Le foto con la coppietta al tavolo del ristorante divisa da una spessa lastra di plexiglas come se fosse un colloquio in galera ha fatto il giro di tutti i social in Italia. Stessa cosa per il video con le postazioni singole e tutti gli asiatici impegnati a mangiare singolarmente, in una specie di contenitori di plastica.

Tutto questo però non ha un riscontro reale nei ristoranti cinesi ma la viralità di questi contenuti è stata così elevata che molti ristoratori italiani hanno fatto dei video in cui hanno provato la situazione.

Tante aziende di plexiglas hanno preso la palla al balzo per pubblicizzarsi: la realtà attuale in Cina, però, corrisponde a questo quadro. Non si ha traccia di plexiglas nei ristoranti cinesi: le regole di base sono poche ma molto precise. Distanziamento sociale tra i tavoli e in attesa, misurazione della temperatura corporea all’ingresso e tracciamento della posizione tramite app, autocertificazione a tutti i clienti. Qualche ristorante impone i tavoli da due posti, qualcuno addirittura li impone anche alle famiglie, dividendole, ma sono casi isolati.

Abbiamo fatto un giro virtuale nella nazione in cui è scoppiata l’epidemia da Covid-19, che proprio nelle ultime settimane ha riaperto al pubblico il settore della ristorazione. Ci siamo accorti che le cose sono molto diverse da come sono state descritte.

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Direttamente nell’epicentro della pandemia

Abbiamo puntato sulla Cina per cercare di imparare qualcosa sulla riapertura, su ciò che funziona e ciò che non sta andando bene, partendo proprio dall’epicentro del focolaio della crisi, la città di Wuhan. Ai microfoni di Bloomberg Xiong Fei, un importante ristoratore cinese con diverse aziende in tutta la nazione racconta la sua situazione. L’imprenditore è in crisi, lo ammette senza mezzi termini, e annuncia la chiusura di 3 dei suoi ristoranti.

Le norme in Hubei, la regione di Wuhan, sono infatti molto stringenti: in pratica le persone sono libere di uscire, ma le ordinanze rendono queste uscite molto difficoltose. Xiong aveva scelto proprio Wuhan per le sue attività perché vivace centro per l'acciaio e la produzione automobilistica cinese: ma la città ha subito un vero shock a causa dell'emergenza sanitaria e non potrebbe essere altrimenti. Nelle immagini di New China Tv viene mostrata la città alle prese col delivery in piena emergenza, in uno stato di paura per una nuova possibile diffusione dell'infezione.

La situazione a Wuhan è molto delicata per una serie di fattori contingenti: Xiong Fei ammette di aver avuto difficoltà anche prima del Covid-19 perché gli affitti in città sono triplicati negli ultimi 5 anni ma i prezzi dei pasti sono rimasti gli stessi per non perdere la clientela.

Durante la pandemia le cose sono precipitate perché Wuhan si è trasformata in una città fantasma ma il delivery non si è mai fermato, come si vede dal video di New China Tv. Questo ha creato grossi problemi ai ristoratori: tanti dipendenti sono stati infettati e hanno smesso di lavorare, i fornitori si sono fatti pagare a caro prezzo il rischio di entrare in città, aumentando di conseguenza il costo di tutta la materia prima. Nonostante i fitti, nonostante l’aumento dei costi, Xiong Fei ha tenuto i prezzi pre-pandemia nei propri ristoranti e questo ha abbattuto il margine di guadagno facendo crollare i profitti.

Ma perché in Italia c’è questa psicosi da plexiglas?

"Niente plexiglas o cose del genere", esordisce così Nicholas Gineprini, giornalista e scrittore che da anni vive a Pechino e che ci ha fatto un quadro della situazione nella Capitale. "Le grandi catene multinazionali, come Starbucks o McDonald’s hanno riaperto subito – spiega – non ci sono distanziatori artificiali come immaginano le persone in Italia. Hanno semplicemente limitato i tavoli: quando entri in un ristorante ti misurano la temperatura e ti fanno firmare una certificazione lasciando le proprie generalità e il cellulare. Fino ad ora nessuno mi ha ancora controllato la carta d'identità, quindi in teoria potresti lasciare anche un nome falso se fossi preoccupato per la privacy".

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Un pub a Pechino il 18 aprile

La preoccupazione nella Capitale è stata forte soprattutto per i rientri dall’estero: la pandemia è scoppiata poco prima del Capodanno cinese, una festività in cui è tradizione tornare a casa. La riapertura dei ristoranti è invece avvenuta pochi giorni dopo la Festa Qingming, la festa degli antenati, il corrispettivo del nostro giorno dei defunti, che cade ogni anno a inizio aprile. In quella occasione, spiega Gineprini, "molti hanno viaggiato fuori città per la vacanza tradizionale e per dimostrare che il tuo cellulare o i tuoi documenti non avevano lasciato Pechino ti facevano scannerizzare un QR Code. Non so nelle altre città, ma questo succede soprattutto a Pechino: essendo la Capitale ha dei limiti più serrati".

Proprio come in Italia nella Fase 1, se lasci la capitale della Cina e poi rientri devi fare 14 giorni di isolamento. Ma i ristoranti come si stanno comportando? Molto dipende dal tipo di ristorazione ci dice il collega: "Sostanzialmente non ci sono grandi file fuori ai ristoranti, com’ero abituato a vedere e sì, il numero delle persone che va a mangiare fuori è drasticamente crollato rispetto a prima, ma le attività più grandi hanno riaperto. Destino diverso per i piccoli ristoratori, dato che il governo cinese non ha dato alcuna forma di supporto economico alle persone in questi mesi. Inoltre i datori di lavoro qui possono permettersi, per legge, di ridurre lo stipendio all’80% e questo ha creato situazioni molto pesanti in tante famiglie".

La riduzione l’ha notata e l’ha sentita anche Ignace Leclair, proprietario del Temple Restaurant Group di Pechino, uno di quei grandi ristoranti citati da Gineprini che hanno avuto la possibilità di aprire più agevolmente grazie a una maggiore solidità economica. Nonostante l’importanza degli indirizzi, l’imprenditore belga spiega al New York Times che "solo il 30% dei pasti venduti è servito ai tavoli, il 70% del guadagno è dovuto alle consegne ma abbiamo sicuramente avuto un aumento dei clienti ogni giorno da quando abbiamo riaperto".

Leclair dice anche che solo il TRB Hulu, il locale più informale del gruppo, è riuscito a restare aperto senza problemi durante la pandemia ed è quello che sta reagendo meglio alle riaperture, grazie ai prezzi più contenuti. La Repubblica Popolare Cinese, stando a quanto riporta Beijing Ribao, il quotidiano organo del Partito Comunista di Pechino, sta perfezionando l'uso delle applicazioni e incentivando le consegne a domicilio. Non si esclude un'agevolazione per i ristoranti che punteranno sul delivery e sulla criptovaluta nazionale in questi mesi di transizione.

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Situazione molto simile a Guangzhou e Shenzhen, importanti città della provincia del Guangdong: qui abbiamo intervistato Andrea Balzamo, Operation Manager OGGI group. "Abbiamo 5 ristoranti in queste città e dobbiamo premettere che il contagio è stato contenuto efficacemente rispetto a quanto poteva accadere" racconta Balzamo. "Il governo ha agito in modo omogeneo sul territorio nazionale con delle restrizioni cominciate durante il Capodanno Cinese. Fin da subito hanno imposto l’uso della mascherina e la misurazione della temperatura a tutti: dopo 10 giorni la gente in Cina era già sotto stretto controllo. Fino a metà febbraio in tutta la nazione c’è stato solo il delivery, poi man mano qualche riapertura e ora la cosa si è abbastanza normalizzata".

Anche qui le restrizioni hanno portato a un calo della clientela: "Una volta riaperto i clienti sono stati di meno perché le persone non escono da casa. Ancora oggi il calo è significativo e questo è dovuto anche alla seconda ondata di contagiati riscontrata a Singapore. Da inizio aprile la Cina ha nuovamente chiuso i confini e questo ha complicato ulteriormente le cose, proprio mentre si andava verso un generale miglioramento. Considera che i ristoranti italiani in Cina sono un punto di riferimento per i cinesi ma soprattutto per gli stranieri".

La ristorazione in Cina vive di fasi molto diverse a causa del lockdown a macchia di leopardo deciso dal governo centrale e dalla grandezza stessa della nazione: "La situazione da noi è stata un po’ diversa – prosegue Balzamo – non abbiamo mai avuto un lockdown obbligatorio come in Italia, ma la gente non è uscita di casa lo stesso. Tanti ristoranti in difficoltà hanno chiuso e non hanno più riaperto. Ogni regione è come una nazione a parte per l’immensità della popolazione che la vive quindi varia da zona a zona ma mi sento di dire che il quadro non è nero, o nerissimo, come sembra in Italia".

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Scendendo ulteriormente verso Sud troviamo Antonio Borriello, che poco prima della pandemia ha deciso di tornare in pianta stabile in Italia. Borriello ha lavorato per alcuni anni al The Westin Beijing Financial Street di Pechino, al Bulgari Hotel della Capitale con Niko Romito e, sempre con il cuoco tristellato, al Bulgari Hotel di Shanghai.  Lo chef ci racconta che "i plexiglas non ci sono, il business si sta riprendendo, ma per i numeri della Cina si parla di un quarto degli affari rispetto all'anno precedente, o di un dimezzamento nelle previsioni più ottimistiche".

Stessa situazione dal lato opposto della nazione, a Zhangjiakou, dove i ristoratori con grande fatica stanno riprendendo a lavorare. Qui in particolare ci sono stati diversi tumulti, almeno stando al Fazhi Ri Bao, uno dei pochi quotidiani cinesi di partito consultabili in Occidente. La città di Zhangjiakou sarà un punto nevralgico dei XXIV Giochi olimpici invernali 2022 di Pechino, ma è stata duramente colpita economicamente durante la pandemia. Per facilitare il commercio e per prepararsi alle Olimpiadi la Repubblica Popolare Cinese ha emesso un decreto che concede alle aziende straniere l’uso della moneta digitale per tutte le attività da svolgere a Zhangjiakou, Shenzhen, Suzhou, Xiong’an e Chengdu. Con questa mossa, si spera, possano avere dei benefici anche i ristoratori che hanno dovuto dimezzare i posti disponibili all’interno dei propri locali.

Il distanziamento sociale è possibile ovunque?

"Dove non sarà possibile fare il distanziamento, che succederà?": è questa una delle domande più ricorrenti fra i ristoratori in Cina. Purtroppo a questa domanda non c'è ancora una risposta prevedibile: niente è davvero impossibile in Cina. Uno dei video che abbiamo citato, e tra i contenuti più virali arrivati fino a noi, è stato ripreso in una specie di hangar: qui migliaia di persone mangiano in tavolate lunghissime separate da postazioni in plexiglas. Quella potrebbe essere stata una prova di un’eventuale situazione di rischio ma ad oggi non risulta emanata alcuna restrizione in merito neanche nelle mense.

A tal proposito Shanghai People, un portale di informazione molto influente, ha prodotto un reportage sulla situazione delle scuole a ora di pranzo. Parliamo della seconda città più popolosa al mondo, con 30 milioni di abitanti e una densità abitativa di 4 709,93 ab./km² (più del doppio di Milano, la città più colpita in Italia). Il problema delle mense è reale a Shanghai ed è per questo che sono state emanate misure molto precise: tra il 27 aprile e il 18 maggio tutti i cittadini che frequentano la scuola dell'obbligo torneranno in classe. La soluzione per il pranzo è nell’ampliamento dei punti ristoro.

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Ogni giorno a partire dalle 12 gli insegnanti condurranno gli studenti alla mensa centrale, questi mangeranno a intervalli di orario per non accavallarsi. Quando le classi saranno complete, gli alunni pranzeranno nelle aule con il cibo fornito dalle società di catering e non da casa, così da aumentare il controllo in supervisione. Ogni pasto verrà posizionato in scatole usa e getta che sono riciclate tramite dei contenitori speciali; le aule saranno sanificate dagli studenti con il disinfettante fornito dall’istituto. I pasti saranno preparati dalle società con il personale in possesso del certificato sanitario, con la temperatura misurata regolarmente e tutta "l’armatura" a cui ci stiamo abituando anche in Italia. Ogni giorno la scuola dovrà comunicare il numero preciso degli studenti e dei lavoratori presenti affinché possa organizzarsi al meglio il distanziamento da tavolo a tavolo.

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Una regola che ha fatto molto discutere in questi giorni, ma immediatamente revocata, è stata quella di far mangiare i bambini della stessa classe a intervalli: in pratica due bambini dello stesso banco mangiano a turno, con l’altro in attesa. Questo ha creato malcontento sia per una questione morale e sociale (i bambini soffrono), sia perché i bimbi hanno già molta fame all’ora di pranzo e può essere motivo di disordine. I medici hanno fatto revocare la regola imponendo però il silenzio: "Se non parli, tossisci o starnutisci mentre mangi non ci possono essere infezioni", ha spiegato il dottor Zeng Mei che suggerisce, a bambini e adulti, di mangiare lentamente, così da ridurre la possibilità di tossire mentre si ingerisce il cibo.

L’Italia chiederà aiuto alla Cina?

All’inizio dell’epidemia da Covid-19 l’Istituto Superiore di Sanità ha rinvigorito il rapporto d’amicizia con la Cina che di risposta ha mandato un’equipe di dottori per aiutare i medici nell’emergenza. Secondo le prime bozze questo esperimento non dovrebbe essere ripetuto negli altri ambiti ma, sebbene la paura sia tanta nel mondo della ristorazione, ad oggi non ci sono motivi per pensare a un ristorante stile sala operatoria, o pieno di tavole in plexiglas e divisori artificiali che renderebbero inutile l’apertura. Il cibo è condivisione sociale, tolto quello è solo alimentazione.

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