La raspadüra non è propriamente un formaggio, è più un metodo di servizio: si tratta infatti del grana invecchiato al massimo 6 mesi, tagliato sottilissimo a sfoglia. Nato come cibo povero, di scarto e di recupero, oggi è diventato un must della cucina gourmet ma tiene ancora viva la sua anima da street food tra i mercati della Pianura Padana.
Chi l'ha detto che il formaggio grana va servito per forza a scaglie? Nel lodigiano c'è una tecnica meravigliosa e molto antica che fa apprezzare tutte le sfumature del formaggio italiano più famoso al mondo, la raspadüra. Si tratta di un modo di servire il formaggio grana presentandolo come sottilissime sfoglie, raschiate con un particolare coltello, da una forma di Granone Lodigiano oppure da un formaggio "giovane" della famiglia del grana, cioè stagionato dai quattro ai sei mesi. Tipica della gastronomia lodigiana e delle provincie di Pavia e Cremona, viene solitamente usata negli antipasti in accompagnamento a salumi, noci e funghi, ma in molti ristoranti tradizionali potete trovare la raspadüra come guarnizione del risotto.
Questo metodo di servizio nasce con un fine molto nobile: i contadini e i monaci che producevano il Granone Lodigiano non avevano la competenza e le informazioni sulla stagionatura in possesso dei mastri casari contemporanei e quindi capitava spesso che le forme venissero imperfette, guaste insomma. Purtroppo non potevano venderle e così hanno studiato un modo per sfruttare ugualmente quel formaggio, ovvero raschiando il bordo. Oggi non è più così e vengono impiegate forme sane, della stagionatura adatta per essere tagliate senza sfaldarsi. Una lunga striscia, sottile e quasi trasparente, di puro godimento.
La nascita della raspadüra è naturalmente legata a doppio filo alla nascita del formaggio grana che risale al 1135, prodotto nell'abbazia di Chiaravalle, pochi chilometri a sud di Milano. Nei primi registri dei monasteri i grana più citati sono proprio il lodesano o lodigiano, considerato da molti il più antico, il milanese, il parmigiano, il piacentino e il mantovano.
Per la raspadüra vera e propria dobbiamo però attendere diversi secoli: inizialmente i formaggi difettati venivano venduti ugualmente, al massimo consumati all'interno del monastero tra una preghiera e l'altra, finché i monaci padani non incontrarono i monaci svizzeri. La raspadüra ha un "cugino" dall'altro lato del confine, il Tête de Moine, un formaggio svizzero unico al mondo per le modalità con cui si consuma: delicati "petali di formaggio" ottenuti con uno strumento a coltello orizzontale, la tipica girolle. Questo formaggio svizzero deve infatti essere raschiato, così da sprigionare i suoi aromi estremamente complessi.
Gli scambi tra i monasteri dopo la Campagna d'Italia di Napoleone Bonaparte si fecero sempre più frequenti e i monaci lombardi vennero a conoscenza di questo modo di servire il formaggio: provarono anche loro a fare lo stesso con le forme più "brutte" e videro che il risultato era a dir poco soddisfacente. Al posto del girolle usarono (e si usa ancora oggi) un comune coltello a lama larga, molto più spartano di quello svizzero, ma il risultato è ugualmente soddisfacente.
Il risultato della raschiatura del grana era così interessante che dopo poco tempo le botteghe della zona del lodigiano cominciarono a chiedere proprio il formaggio in sfoglia da vendere ai propri clienti. I monaci esaudirono la richiesta di mercato e misero in vendita le forme inutilizzabili: nasce così la raspadüra e in breve tempo passa da cibo povero a cibo ricercato. Un esempio meraviglioso di come la forma e la presentazione di un alimento siano fondamentali per la riuscita economica di un prodotto.
La raspadüra è un grande classico della tradizione culinaria lombarda ed è nota anche come "formaggio di strada". Il motivo è presto detto: i primi "cultori" di questo metodo di servizio a cui il formaggio fu venduto dai monaci erano gli ambulanti dei mercati. Questi uomini tagliavano la forma di formaggio in due e "raspavano" le sfoglie di grana da vendere come street food. Oggi la cosa è molto cambiata: la raspadüra ha tutta un'altra accezione, molto più nobile e soprattutto molto più avvolgente nel sapore.
In passato, entro il sesto mese di stagionatura, le forme di grana venivano controllate per verificarne la giusta compattezza. Quelle che risultavano difettose e inadatte venivano usate per la raspadüra, mentre adesso si usano forme buone fin dal principio, perfette così come dovrebbe essere ogni buon formaggio. Il difetto del grana poteva non limitarsi all'estetica, anzi, spesso aveva dei riscontri organolettici molto importanti che solo una sfoglia molto sottile riusciva a rendere passabili. La raschiatura del formaggio fungeva da "stempera" del sapore alterato della forma. Una raspadüra moderna, fatta con un formaggio di qualità ma sempre poco stagionato, è invece una delizia da provare almeno una volta nella vita.
La raspadüra va servita al momento della richiesta del cliente utilizzando una lama flessibile per il taglio: nei mesi più freddi la lama è spesso scaldata per ottenere un'arricciatura dei soffici fogli di formaggio. Molti ricorrono al supporto di un tornio manuale che fa girare su se stesso il grana per ottenere delle sfoglie omogenee e sottili.
Questa tipologia di formaggio si può gustare in purezza, amalgamandola in una calda polenta rustica, o meglio ancora adagiandola su un risotto che l’accoglierà e ne assorbirà l’intenso sapore. La possiamo trovare sui taglieri di salumi o come farcitura dei tramezzini da abbinare a vini secchi, possibilmente lombardi. Se siete più tradizionalisti invece non c'è da preoccuparsi: nei mercati del lodigiano ci sono ancora diversi artigiani che hanno conservato la tradizione e servono la raspadüra fresca da consumare come street food.