La pizza rossa è americana, il parmigiano pure, la pasta idem, la carbonara non ne parliamo proprio. La cucina tradizionale italiana, secondo un docente di storia della gastronomia, sarebbe tutta scopiazzata dagli Stati Uniti. Ci dispiace deluderlo ma questa è una fake news.
"La pizza come la conosciamo oggi è nata in America, in Italia era bianca con aglio e olio", questo il titolo di un surreale articolo del Fatto Quotidiano. Il giornalista intervista Alberto Grandi, docente di Storia dell'alimentazione all'Università di Parma: è quest'ultimo a sciorinare una marea di castronerie sulla pizza, il parmigiano e la cucina tradizionale italiana. Secondo il professore è tutta fuffa, gli italiani fino all'arrivo degli americani mangiavano solo zuppe di legumi, seduti per terra, dalle ciotole, con un rozzo cucchiaio: un misto tra un canide e Bud Spencer (che pace all'anima sua era italianissimo, anzi "napoletano" come amava dire Carlo Pedersoli). In pratica ci saremmo immaginati la cucina di Caterina de' Medici, di Ippolito Cavalcanti e Pellegrino Artusi in una sorta di delirio collettivo. La genovese regale e il risotto allo zafferano sarebbero il frutto di una cucina nata negli ultimi 50 anni, non secoli e secoli fa. E dire che alcune nostre preparazioni risalgono ai Romani, come il limoncello e la luganega. Sicuramente si sbagliano i reperti archeologici però, mica Alberto Grandi.
È davvero difficile scegliere da dove partire perché di inesattezze ne sono state scritte a bizzeffe. Per questo cominciamo dalle (poche) cose giuste dette da Grandi: il professore afferma che la pizza fino al Dopoguerra era una roba per napoletani e che "gli italiani non sapevano neppure cosa fosse. Se ne parlava quasi come si trattasse di un piatto esotico". Questa affermazione è vera e c'è una spiegazione: l'Italia era inesorabilmente spaccata in due su tutto, dalle condizioni igienico-sanitarie allo stato delle strade (e ancora oggi è così a dirla tutta). Impensabile quindi trovare pizzerie più a nord del Tevere. La pizza viveva solo nei ricordi degli emigranti napoletani al Nord.
Il professore parla anche della carbonara, nata dalla razione K di Ancel Keys, con bacon e uova liofilizzate. Pizza "esotica" e carbonara con "polverina e bacon" sono le uniche due cose vere di tutta l'intervista, per il resto piena di inesattezze.
Grandi dice che la pizza "è nata a Napoli ma si trattava di una pizza bianca, senza pomodoro e mozzarella, ricca di aglio e olio, mangiata per strada. Una sorta di street food primordiale" e che "gli italiani imparano a fare la pizza con pomodoro e mozzarella negli Stati Uniti". Cominciamo col dire che la definizione di "street food primordiale" è priva di senso: nel Mezzogiorno il cibo da strada fa parte della tradizione gastronomica da tempo immemore. Negli scavi di Pompei sono stati ritrovati dei banchetti per lo street food, con tanto di ciotole e vasellame. Parlare di questa pizza bianca come "antesignana" di una "moda" è insensato e sbagliato, reperti alla mano. La pietanza a cui fa riferimento Grandi esiste davvero ed è la prima pizza della storia: la mastunicola. Anche in questo caso le informazioni divulgate sono sbagliate: la mastunicola non ha "aglio e olio" ma strutto, formaggio di pecora, pepe e basilico. Proprio a quest'ultimo ingrediente si deve il nome della pizza: "vasinicola" in napoletano significa "basilico". Non esistono documenti che parlano di "pizza aglio e olio" ma saremmo felicissimi di leggere questa ricetta sconosciuta se il professore ne possiede un estratto.
Perché non troviamo il pomodoro in questa mastunicola? Perché questa pizza è del Seicento: a quel tempo il pomodoro era usato solo come pianta da frutto ornamentale; molti pensavano fosse addirittura velenoso.
Perché allora il professore dice che la pizza rossa è nata in America? Grandi fa riferimento a delle lettere che i soldati americani mandavano a casa, lamentandosi dell'assenza delle pizzerie, un'attività invece fiorente a Little Italy. Ci sembra ovvio che gli americani a Torino, Milano, Bologna, non trovassero pizzerie. Lo dice lo stesso Grandi all'inizio dell'intervista che "la pizza era sconosciuta" fuori dalla Campania, dove le avrebbero dovute trovare le pizzerie sti poveri soldati?
La questione è molto grave perché dubbi sulla paternità di Margherita e Marinara non ce ne sono. A partire dall'inizio dell'Ottocento queste due pizze sono state citate in canzoni, dipinti, documenti storici, opere letterarie e saggi storici. Per non fare i campanilisti ci affidiamo a un grande scrittore francese: l'autore de "I tre moschettieri" e de "Il conte di Montecristo", Alexandre Dumas, pubblicò "Il Corricolo" nel 1835:
"La pizza è con l’olio, la pizza è con salame, la pizza è al lardo, la pizza è al formaggio, la pizza è al pomodoro, la pizza è con le acciughe".
Il romanzo non lascia spazio alle interpretazioni elencando il menu di una pizzeria ottocentesca. Il sociologo Angelo Forgione, nel suo "Il Re di Napoli" riporta delle documentazioni ufficiali che attestano come la pizza con il pomodoro e la mozzarella nasca senza ombra di dubbio a Napoli nella prima metà dell'Ottocento. A smentire il professor Grandi su tutta la vicenda dello street food e del pomodoro sulla pizza c'è anche la descrizione delle prime "slices pizza" portate in "delivery" tra i vicoli di Napoli: "Il pizzaiuolo che ha bottega, nella notte, fa un gran numero di queste schiacciate rotonde, di una pasta densa, che si brucia, ma non si cuoce, cariche di pomidoro quasi crudo, di aglio, di pepe, di origano". L'estratto è de "I vicoli di Napoli" di Matilde Serao, datato 1884, quella citata è la mamma delle pizze a portafoglio.
Attribuire l'invenzione della pizza con pomodoro e mozzarella agli americani è una cantonata, fatta solo per fare click. Basta una ricerca banale su qualsiasi motore di ricerca per trovare centinaia di fonti diverse che smentiscono questa visione a stelle e strisce del mondo. Secondo Grandi infatti "gli italiani imparano a fare la pizza con pomodoro e mozzarella negli Stati Uniti e poi, una volta tornati in Italia, portarono con sé questo modo di prepararla che entra a far parte della nostra tradizione": le prime due pizzerie documentate in America sono Lombardi's e Totonno's, fondate proprio da due napoletani. L'idea di questo nuovo business venne ad Antonio Pero, prima pizzaiolo di Lombardi's e poi fondatore di Totonno's, perché convinto che portare a New York quella specialità partenopea li avrebbe resi ricchi. Tanto per la cronaca: aveva ragione e quelle pizzerie esistono ancora oggi, ma la pizza esisteva già da prima evidentemente.
Il docente di storia della gastronomia afferma che la tradizione culinaria italiana è una bufala. Ovviamente non è così, anzi. Il professore ha però spaziato, non fermandosi alla pizza, dicendo che il "vero parmigiano si fa in Wisconsin" parlando del parmesan:
"Il famigerato ‘parmesan’ che da noi in Italia è quasi demonizzato, in realtà ha una sua storia che inizia, in America, negli anni 20 e 30 del 1900 grazie a produttori dai cognomi italiani che lo producevano in caseifici del Wisconsin. E lo producevano come si produceva in Italia in quegli anni il Parmigiano, dandogli un nome assonante rispetto ai nobili parenti italiani per motivi di marketing interno. Il motivo per cui dico che il vero parmigiano si fa nel Wisconsin è dovuto al fatto che, mentre i metodi di lavorazione e produzione del Parmigiano e del Grana Padano in Italia sono cambiati e migliorati, nel Wisconsin il Parmesan si produce ancora come si faceva nei primi anni del 1900. Per cui se vogliamo sapere che sapore aveva il Parmigiano delle origini dobbiamo andare nel Wisconsin".
Anche in questo caso basta una rapida ricerca: in Italia si fa il parmigiano da prima che fosse anche solo scoperta l'America. Il primo documento ufficiale di un "formaggio di Parma" risale al 1254. Il professore ha ragione quando parla di "metodi di lavorazione e produzione migliorati", dimenticando però che sono stati cambiati circa cinquecento anni fa. Dal Medioevo la produzione di questo formaggio è pressoché invariata e il disciplinare del parmigiano è tra i più stringenti al mondo.
Grandi dice che l'Italia ha iniziato a costruirsi un passato mitico "confermando quella teoria dell’invenzione della tradizione forgiata da Hobsbawn nel 1983, secondo cui una società nelle fasi storiche di passaggio tende a inventarsi tradizioni capaci di disegnare un’identità nuova. La cucina italiana non si è sottratta a questo processo. Pur potendo contare su alcune basi solide, la nostra cucina si è inventata, in gran parte, una tradizione storica gloriosa". Arriva a citare nuovamente la pasta e la tradizione della cucina italo-americana, ignorando che è vero l'esatto opposto di ciò che dice: c’è uno studio sulle radio etniche in America dei primi anni Quaranta, a firma di Rudolf Arnheim e Martha Collins Bayne, in cui si dimostra che nelle stazioni italiane le pubblicità riguardassero quasi esclusivamente prodotti enogastronomici e di come il cibo funzionasse per alcune etnie come la musica per altre, ovvero come segnale di identità. Un'identità costruita attorno alla tradizione lasciata a casa, non viceversa. Le ricette e gli ingredienti di casa fungevano da collante per un popolo martoriato prima a casa sua e poi a casa degli americani.
Ci è oscuro il motivo che ha portato Alberto Grandi a queste conclusioni che sono facilmente discutibili. Vogliamo rassicurarvi: l'Italia ha tantissimi difetti e un mare di problemi, se c'è una cosa di cui non deve vergognarsi è sicuramente la propria tradizione gastronomica. Da Nord a Sud è ricca, salutare, gioiosa e saporita.