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4 Febbraio 2025 11:00

La millenaria storia del Grana Padano: come nasce uno dei formaggi italiani più conosciuti

Questa eccellenza del made in Italy ha un lungo passato che mette le sue radici nel Medioevo: viene inventata dai monaci cistercensi dell'Abbazia di Chiaravalle, vicino a Milano, per arrivare fino alla Dop europea nel 1996.

A cura di Federica Palladini
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Ci sono cibi made in Italy famosi in tutto il mondo di cui non si sa bene l’origine, che si perde in racconti e leggende. Di altri, invece, abbiamo la fortuna di conoscere la loro storia, che spesso ci fa capire perché proprio quel determinato prodotto sia diventato così iconico: è sempre un’avventura scoprire come un alimento di uso comune prima di un certo periodo non esistesse, perché nessuno lo aveva ancora inventato. Vale per il Grana Padano, tra le Dop italiane più celebri anche fuori confine: un piatto di pasta con una grattugiata di formaggio e una fogliolina di basilico è l’essenza della gastronomia tricolore. Chi è il responsabile della sua nascita? Qui, parliamo al plurale, perché a idearlo sono stati nel Medioevo dei monaci per un motivo ben preciso. Scopriamo quale.

La nascita: il “grana” e i monaci dell’Abbazia di Chiaravalle

Per tornare alle origini del Grana Padano bisogna riavvolgere il nastro del tempo di un millennio, più o meno. Tutto ha inizio nel XII secolo, in un periodo in cui le comunità monastiche svolgevano un ruolo centrale non solo nella vita spirituale, ma anche nella gestione agricola ed economica del territorio. In particolare, ci troviamo tra i monaci cistercensi dell'Abbazia di Chiaravalle, situata a sud di Milano, impegnati nella bonifica delle terre della Pianura Padana, un’area che si rivelava estremamente fertile e che offriva abbondanti risorse per l’allevamento del bestiame e, di conseguenza, per la produzione di latte. Ed è qui che sorge il problema: una delle maggiori sfide dell’epoca era quella della durata degli alimenti nel lungo periodo. Come si poteva far fronte a un’eccedenza di latte, cibo deperibilissimo, che non riusciva a essere più assorbito dai religiosi e nemmeno dalle comunità che ruotavano attorno alla vita dell’abbazia? Non c'era ancora il frigorifero, e nemmeno l'Ultra High Temperature (UHT).

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Nel 1135, questo l’anno che passa alla storia nei documenti, probabilmente dopo una serie di esperimenti e prove, viene messa a punto una tecnica casearia in grado creare un formaggio a lunga conservazione. Come? Con un processo che è rimasto praticamente invariato fino a oggi, al netto delle modifiche dovute alle innovazioni tecnologiche: il latte in surplus veniva raccolto in grandi caldaie di rame e scaldato lentamente a fuoco diretto. Per la coagulazione, si utilizzava il caglio animale, generalmente estratto dallo stomaco dei vitelli, pratica già nota agli antichi Romani. La cagliata veniva rotta con un attrezzo chiamato “spino” fino a ottenere granuli della dimensione di chicchi di riso. Poi arrivavano la formatura, in pezzature abbondanti, la salagione e la stagionatura: più maturava e più l’intensità di profumi e sapori aumentava, mantenendo intatte le proprietà della materia prima. La caratteristica distintiva è la grana fine della pasta formata dai cristalli di calcio residui della lavorazione, da cui il Grana Padano prende il nome: merito del “volgo”, della gente comune, perché i monaci, che sapevano il latino, lo avevano appellato caseus vetus, che significa “formaggio vecchio”, per distinguere la sua durabilità di mesi rispetto a quella dei formaggi freschi, che andavano mangiati nel giro di qualche giorno.

L'evoluzione e la diffusione del grana

Chiamato semplicemente “grana”, questo formaggio stagionato nel corso del tempo inizia a diffondersi sempre di più, grazie anche all’espandersi della sua produzione, coinvolgendo cascine delle province di Lodi, Milano, Mantova e Piacenza. Durante il Rinascimento è un alimento che si trova già in modo trasversale sia sulle tavole popolari, in quanto molto nutriente, utile anche nei periodi di carestia, sia nei banchetti a corte: come scritto sul sito del Consorzio, si hanno testimonianze della sua presenza nel Ducato di Mantova nel 1504, quando Isabella d’Este, moglie di Francesco II Gonzaga, ne invia alcune forme alla famiglia, gli Estensi, signori di Ferrara. La fortuna del formai de grana si consolida, diventando un pilastro dell’alimentazione di buona parte del nord della penisola, dal Piemonte all’Emilia Romagna: nell’età contemporanea, così, si fa strada il bisogno di dare maggiore definizione a questa specialità che è sinonimo di un territorio ben preciso, per conferire unicità e inimitabilità. Ed è qui che entra in scena il Consorzio citato poco prima, che nel 2024 ha spento 70 candeline.

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Il Consorzio di tutela e la denominazione Dop

È il XX secolo a segnare una svolta decisiva per il Grana Padano, proprio a partire dalla scelta del nome ufficiale che conosciamo, al posto del più generico “grana”, che fa riferimento a tutti quei formaggi stagionati dalla pasta ruvida e friabile. Come riportato dal sito: “Il 18 giugno ’54, su iniziativa di Federlatte (Federazione Latterie Cooperative) e di Assolatte (Associazione Industrie Lattiero-Casearie) nasce il Consorzio per la tutela del Formaggio Grana Padano, in cui si riuniscono e si riconoscono tutti i produttori, gli stagionatori e i commercianti del prezioso formaggio. L’anno successivo, il 30 ottobre, viene emanato il D.P.R. n.1269 relativo al Riconoscimento delle denominazioni circa i metodi di lavorazione, le caratteristiche merceologiche e le zone di produzione dei formaggi: tra questi si trova anche il Grana Padano. Infine, con alcuni decreti ministeriali del 1957, il Consorzio assume l’incarico di vigilare sulla sua produzione e sul suo commercio” Il passo successivo, finale, arriva nel 1996, quando il formaggio ottiene il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (Dop) da parte dell'Unione Europea, consolidando così il suo status di eccellenza casearia italiana.

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