Il processo della canditura nasce inizialmente in Mesopotamia, se ne trovano delle tracce nell'antica Cina e i Romani facevano una cosa molto simile per mandare al fronte le provviste. Ad averlo messo a punto, con una ricetta immutata dal 1600, sono però gli Arabi che usano la canditura per conservare la frutta e curare i malanni.
C'è chi li ama e c'è chi li odia, c'è chi li mangia con gusto e chi passa ore a scartarli dal panettone: parliamo dei canditi, onnipresenti scagliette di frutta zuccherata che tanto usiamo nella pasticceria classica italiana. Ti diciamo subito che se sei tra quelli che li odiano è probabile che tu non abbia mai assaggiato un vero candito, fatto con la tecnica artigianale: il gusto cambia radicalmente. Questa differenza abissale nel risultato la dobbiamo proprio alla storia dei canditi: esattamente come il sushi questa è una delizia nata dalla necessità, nello specifico dall'esigenza di conservare la frutta nel deserto. Il termine "candire" deriva infatti dall'arabo qandat, trascrizione della parola in sanscrito khandakah, "zucchero". Sono stati proprio gli arabi a insegnarci questo incredibile metodo di conservazione che consiste nel ridurre il contenuto d'acqua nella frutta sostituendola con lo zucchero (solitamente da barbabietola ma vanno bene tutti gli zuccheri alimentari). Vediamo la storia della canditura, un processo di lavorazione millenario nato ben prima dei saraceni.
Cassata siciliana, panettone milanese, pastiera napoletana: tre dolci iconici di tre zone diverse del nostro Paese ma tutti con un ingrediente in comune, il candito. Ma chi ha inventato i canditi? Per come li conosciamo noi dovremmo dire gli Arabi ma in realtà anche le antiche culture in Cina e Mesopotamia conoscevano la conservazione degli alimenti tramite gli zuccheri. I Romani ci mantenevano addirittura il pesce, immergendolo nel miele e cambiando irrimediabilmente il suo sapore (ma per i legionari meglio un pesce dolciastro che marcio). I precursori della moderna canditura sono senza dubbio gli Arabi però: sono i primi a intuire l'importanza della perdita d'acqua per conservare agrumi e rose, elementi importantissimi dei loro banchetti.
La storia dei canditi è strettamente legata alla storia dello zucchero in Occidente: sebbene lo conoscessimo fin dai tempi di Alessandro Magno solo nel VI e VII secolo impariamo a usarlo a dovere grazie all'espansione araba che piazza delle coltivazioni di barbabietola in Marocco, Spagna, Cipro e Italia, più precisamente in Sicilia. Gli Arabi utilizzano lo zucchero solo a scopi medicinali e per questo motivo, almeno fino all'anno Mille, lo zucchero è considerato una rarissima spezia molto costosa. Nel Nord Italia e nell'Europa continentale ce lo portano sempre gli Arabi ma con la diplomazia e non con la scimitarra: i mercanti giungono a Venezia per vendere questa magnificenza che oggi noi diamo per scontata, ma che per secoli non lo è stata affatto.
Con l'espansione saracena e il fiorire delle coltivazioni della barbabietola da zucchero, cala il prezzo del prodotto e in molti cominciano a sperimentare, soprattutto quando vengono a conoscenza della canditura araba, una tecnica che prevede lo "spreco" di tantissimo zucchero. La prima ricetta conosciuta, secondo l'Enciclopedia Britannica, risale al 1400 scritta da un medico arabo, Meuse il Vecchio, tradotta prima in italiano nel 1493 dagli studiosi veneziani. La preparazione di Abū Zakariyyāʾ Yūḥannā ibn Māsawayh (questo il vero nome di Meuse) è pensata per "confortare lo stomaco, il cuore e pulirsi la bocca": Meuse è infatti un medico e la prescrive contro questi malanni.
La ricetta è in realtà molto simile a quella che conosciamo oggi: in pratica c'è una sola differenza, con un passaggio del cedro nella lisciva prima della vera e propria preparazione. La lisciva è una soluzione di cenere e acqua bollente, molto in voga a quel tempo anche in cucina e che fino al Novecento in Italia abbiamo usato per lavare i panni. Nella ricetta dei canditi la lisciva scompare già nel 1600 dandoci una preparazione praticamente identica a quella odierna. Nello stesso periodo i medici intuiscono che a poco servono contro quelle malattie ma fortunatamente sono così buoni da allietare quantomeno lo spirito, se non il corpo.
Abbiamo detto che se non ti piacciono i canditi è probabile che tu non ne abbia mai assaggiati di "buoni": la differenza tra i canditi artigianali e quelli industriali è abissale, con due preparazioni completamente diverse che danno risultati altrettanto differenti.
Per la procedura artigianale si poggia la frutta in una vasca e la si copre di sciroppo che per osmosi attiva uno scambio tra il liquido della frutta e la soluzione zuccherina. Dopo un determinato lasso di tempo, che può essere di un giorno come di una settimana, lo sciroppo viene separato dalla materia prima e riscaldato così da far evaporare tutta l'acqua, sostituita con ulteriore zucchero per mano del pasticciere. Una volta arrivati alla concentrazione desiderata, lo sciroppo viene nuovamente riversato sulla frutta, nella vasca: l'operazione può essere ripetuta molte volte, fino alla stabilizzazione dello zucchero nei canditi. Solo in questo momento la canditura può dirsi conclusa, con la frutta che può essere conservata anche diversi mesi nello sciroppo visto che lo zucchero è uno dei migliori conservanti conosciuti dall'uomo.
Nella procedura industriale si usano delle autoclavi in cui frutta e sciroppo convivono a bassa pressione così da abbassare il punto di ebollizione della sostanza zuccherina: l'autoclave funziona come una pentola a pressione e fa evaporare tutta l'acqua. La differenza non c'è solo al gusto ma anche alla masticazione: spesso i canditi industriali risultano gommosi perché le grandi aziende usano tantissimo glucosio per evitare che si formino dei cristalli che distruggerebbero tutta la preparazione e abbassare i tempi di "cottura". Quasi tutti i canditi industriali hanno poi dosi massicce di coloranti, aromatizzanti e conservanti, questi ultimi praticamente inutili visto che con la pressione la maggior parte dei batteri muore sul colpo. Come puoi vedere, se non ti piacciono i canditi del supermercato forse non è proprio tutta colpa tua.