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7 Marzo 2022 16:34

La Guida Michelin “punisce” la Russia: boicottati i ristoranti, via le stelle

Anche la Guida Michelin si schiera contro Putin, e lo fa decidendo di sospendere i giudizi e le recensioni dei ristoranti di Mosca. Non sarà confermata, insomma, la Rossa per il 2022. Ma quanto ha senso una decisione del genere?

A cura di Alessandro Creta
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In ambito gastronomico ormai si attendeva, probabilmente, solo questa notizia. Anche la Guida Michelin ha deciso di boicottare la Russia, optando per la sospensione dei giudizi di tutti i ristoranti già segnalati e non rinnovando la nuova Rossa nell'edizione moscovita.

Il vademecum gastronomico più famoso del mondo prende posizione contro Putin e lo fa in modo netto seppur indiretto: niente più recensioni, niente più stelle o segnalazioni per i locali russi in risposta all'invasione dell'Ucraina ordinata dal Cremlino meno di due settimane fa. E pensare che i francesi da appena un anno erano sbarcati a Mosca: lo scorso settembre, infatti, la prima edizione della Guida Michelin, concentrata esclusivamente sulla Capitale (dove sono stati premiati 9 locali: 7 mono Stella e 2 bistellati, più altri 69 con riconoscimenti vari).

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Insomma, se da una parte Mosca (o la Russia in generale) sembrava potesse diventare una delle nuove mete gastronomiche gourmet mondiali, dall'altra le decisioni politiche di Putin stanno (indirettamente) frenando questa crescita. In risposta alle scelte di Mosca infatti ora la Guida Michelin ha deciso non solo di sospendere i giudizi (non rinnovando l'edizione 2022, quindi) ma anche di togliere le stelle ai ristoranti già premiati.

“Abbiamo fatto la scelta di non promuovere Mosca come destinazione”, ha fatto sapere la Rossa in un comunicato. “Di conseguenza, quest’anno non aggiorneremo la selezione di Mosca”. Non è stato reso noto, inoltre, se la decisione sarà temporanea o permanente.

Anche la 50 Best "silenzia" la Russia

Sulla stessa scia della Michelin anche la decisione della World's 50 Best Restaurants: nella serata di lunedì il comunicato che spiega come nella prossima classifica non ci saranno locali russi. Nè ristoranti, né bar nella graduatoria dedicata. "Non riteniamo alcun ristorante o bar individualmente responsabile delle decisioni prese dal governo – si legge nell'annuncio dedicato – riconosciamo tutti coloro che in Russia hanno con coraggio denunciato le azioni dei loro leader. Ma in questo momento il nostro pensiero è rivolto al popolo ucraino”.

Scelte da molti considerate controverse e probabilmente fuori luogo. Così facendo infatti si va a colpire chi con le decisioni di politica estera prese dal Cremlino c'entra poco se non nulla. In questo modo si condannano i lavoratori che, negli ultimi anni, tanto si sono impegnati per fissare la Russia tra le possibili mete gastronomiche del prossimo futuro.

Imprenditori, chef, cuochi, personale di sala, sommelier, lavapiatti, produttori e artigiani: tutte queste figure professionali si trovano ora costrette a pagare per colpe evidentemente non loro. Un discorso, questo, da estendere anche ai tanti prodotti russi (la vodka in primis) boicottati a livello internazionale negli ultimi giorni, e pure la scelta della 50 Best di spostare la prossima cerimonia di premiazione da Mosca a Londra danneggia un intero comparto che tanto ha faticato pur di emergere a livello internazionale.

Le pressioni sociali internazionali, però, e la volontà di dare un segnale di dissenso verso Mosca spingono molte realtà verso queste decisioni.

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Questa serie di provvedimenti esteri rischiano di rivelarsi a doppio taglio: da una parte non aiutano direttamente chi davvero avrebbe bisogno di supporto, vale a dire i profughi; dall'altra vanno a colpire chi fino a oggi ha lavorato (e sta lavorando) e che col potere centrale di Mosca ha poco a che vedere. Anzi, in tutta la Nazione sono state tante le manifestazioni di supporto all'Ucraina da parte di numerosi cittadini russi.

Di riflesso Putin, con le sue scelte, non solo sta mettendo in ginocchio l'Ucraina, ma si ritrova a danneggiare tanti suoi connazionali, costretti a pagare per colpe non loro sull'onda di un movimento internazionale (e piuttosto coeso) di massiccia "derussificazione". Movimento che, come vedremo, non comprende solo i ristoranti.

Guerra in Ucraina: ha senso boicottare i prodotti russi?

Solo per fare un esempio pochi giorni fa l'enoteca Bernabei di Roma ha sospeso la vendita di alcolici di produzione e provenienza russa, vodka su tutti. Appare, concretamente, anche piuttosto insensata questa wave di ridefinizione di nomi russofoni come, per esempio, il Moscow Mule oppure il Black Russian:, celebri cocktail ora rinominati a simbolo di supporto verso la popolazione ucraina. Ma, almeno in questo caso, non si vanno a colpire direttamente i lavoratori che operano dietro la grande industria del food and beverage.

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A questo punto è d'obbligo soffermarsi a riflettere. Ha senso, effettivamente, schierarsi contro Putin andando a colpire chi (di fatto) c'entra poco o nulla con la guerra? Bloccando le importazioni e sospendendo le vendite di vodka sono i lavoratori del settore (gente che con la guerra non ha niente a che fare) a rimanere più svantaggiati, mentre dall'altra parte non si garantirebbe nessun sostegno concreto verso le popolazioni costrette ad abbandonare le loro case. Quella di Bernabei (così come molte altre) è una decisione simbolica, una presa di posizione ideale e ideologica che tuttavia non aiuta, da una parte, chi fugge dalle bombe e dall'altra non impedisce al governo russo di continuare ad agire in questo modo.

Insomma, ci sembrerebbe più coerente un sostegno autentico ai popoli in fuga e a tutti i profughi colpiti dalle bombe, rispetto ad azioni sì simboliche e "mediatiche", ma che alla fine non hanno un peso specifico in questa controversa situazione. Se non, appunto, a danno di chi viene direttamente boicottato (gli operatori del settore) pur avendo poco a vedere con la situazione attuale. Punire colpendo indistintamente, quindi, non ci pare così sensato.

Per fortuna, rimanendo sempre nel nostro settore di interesse, c'è chi da giorni si sta muovendo concretamente per dare una mano alle popolazioni in fuga dalle proprie città. Ad esempio in gran parte d'Italia sono state avviate raccolte di beni di prima necessità direttamente da operatori del mondo enogastronomico.

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Quello che i piatti non dicono
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