La frollatura delle carni è quel particolare metodo di maturazione che permette di infondere maggiore tenerezza e gusto alla materia prima. Andare al ristorante e imbattersi nei giorni di maturazione della carne è ormai una prassi comune: quanto c'è di vero? Scopriamo metodi, consigli e falsi miti da conoscere assolutamente.
La frollatura della carne è una tecnica quasi mitologica: lasciare che il tempo agisca sulla carne per renderla migliore, in tutto e per tutto. Il tempo da solo non basta però: la frollatura è il procedimento con cui la carne viene fatta maturare all’interno di ambienti controllati per ammorbidire e insaporire le fibre. Detto in termini brutali, la frollatura è una sorta di "putrefazione controllata".
Questo processo è fondamentale perché subito dopo l’uccisione del bovino, entrano in gioco tantissime reazioni biologiche, chimiche e fisiche che provocano un naturale irrigidimento della carne. Lo scopo della frollatura è rilassare e distendere le fibre muscolari della carne, conferendogli morbidezza, intensificando il gusto e dando al prodotto una maggiore digeribilità. Attorno a questo processo oggi si fa tantissimo marketing, spacciando nozioni che nulla hanno a che fare con l’effettivo procedimento tecnico. Per questo motivo andiamo a vedere tutto ciò che avete sempre voluto sapere sulla frollatura… ma non avete mai osato chiedere.
La frollatura non è uguale per tutti i tipi di carne ed esistono diverse tecniche che differenziano altrettante scuole di pensiero. Ci sono le frollature brevi, come quella sottovuoto, in cui la carne non viene frollata in mezzene (ovvero in senso longitudinale), ma in tagli più piccoli e più rapidamente rispetto alla tecnica classica. Questo è un tipo di frollatura che ha iniziato a spopolare in Italia negli anni ‘90 con il fiorire delle grandi catene di distribuzione: un metodo di frollatura rapido, economico, pratico usato in funzione della commercializzazione della carne su larga scala.
La frollatura sottovuoto segue un principio fisico molto semplice: in assenza di ossigeno la carne tende ad espellere i propri liquidi. Questo crea umidità e l’ambiente umido fa frollare la carne più rapidamente, immersa nei suoi stessi succhi. Questa stagionatura, chiamata anche frollatura umida, è il processo più simile alla macerazione che esista.
La tecnica ha però delle controindicazioni: come detto, è il tempo a fare la maggior parte del lavoro quindi, a dispetto di una carne tenera dovuta all’ammorbidimento delle fibre, il sapore differisce molto da una carne frollata all’antica, quindi a secco.
La frollatura a secco, invece, avviene a una temperatura mai superiore ai 4 gradi, in appositi stagionatori, che fanno scurire la carne e perdere peso alla carcassa rispetto al suo stato iniziale a causa della disidratazione. L’umidità evapora dal muscolo in modo naturale, creando una maggiore concentrazione di sapore e gusto; in secondo luogo gli enzimi naturali dei bovini abbattono il tessuto connettivo e rendono le carni più tenere.
Spesso ai ristoranti si legge un menu con carni frollate per 200, 300, 400 giorni. Serve davvero frollare la carne per così tanto tempo? Cambia davvero qualcosa? Secondo gli studi effettuati da diverse università in giro per il mondo no, non serve frollare la carne così tanto tempo.
Scientificamente parlando, infatti, frollare significa lasciare il tempo alla carne di auto-modificare la propria struttura attraverso una degradazione dei muscoli da parte di sistemi proteolitici intracellulari. I muscoli dell’animale subiscono vari cambiamenti a livello molecolare causando la scissione delle principali proteine, interrompendo l’integrità delle cellule. Praticamente la carne perde parte della sua struttura solida, tutto ciò che la tiene insieme, e diventa più tenera.
Questo processo richiede giorni, settimane, mesi ma c’è una conclusione a tutto, anche al processo di frollatura. Stando a quanto scritto dai professori Hopkins e Thompson sull’Australian Journal of Agricultural Research, due dei più importanti studiosi al mondo di questi processi, capire quand’è che una frollatura termina non è per niente semplice.
Il sapore della carne differisce tanto da animale ad animale, perfino tra due capi della stessa razza. Sono stati fatti diversi studi che hanno dimostrato che l’azione enzimatica a un certo punto si ferma perché il processo di frollatura si è concluso. Questo vuol dire che lasciare in eterno la carne negli stagionatori non intenerisce maggiormente il prodotto.
Lo studio dimostra che questo processo, per essere davvero efficace, deve durare almeno 35 giorni ma, generalmente, andare dopo gli 80 giorni è inutile. Superati i 2 mesi e mezzo la carne non diventa né più buona né più tenera. Gli studi sono stati fatti sia dal punto di vista scientifico, quindi con analisi inappuntabili, che dal punto di vista sensoriale: una carne frollata 80 giorni e una carne frollata 200 giorni, al panel, è praticamente uguale.
Secondo i due studiosi il processo termina tra i 50 e gli 80 giorni, a seconda del tipo di animale, ma non si sa bene quando precisamente; probabilmente non si saprà mai perché come ogni prodotto figlio del tempo è mutevole. Questo non significa che una carne frollata per un anno sia un prodotto brutto o andato a male, significa solo che un anno o 3 mesi cambia poco dal punto di vista organolettico.
Come scritto a inizio articolo: la frollatura è un processo di putrefazione controllata della carne. Questo vuol dire che è molto difficile da ottenere in maniera perfetta e si può incappare facilmente nell’errore. Non tutte le carni possono essere frollate (infatti nello studio di Hopkins e Thompson si specifica la differenza tra bovini e ovini) e non tutte le carni possono essere frollate per lo stesso numero di giorni, o alla stessa maniera.
Capire se una carne frollata è buona oppure no è però molto semplice. La carne maturata non può avere residui aromatici sgradevoli: se questo accade vuol dire che la carne è rovinata e qualcosa è andato storto in frollatura. La carne frollata deve avere sì un sapore concentrato ma mai sgradevole. Non può avere alcun odore repellente, alcuna punta di rancido.
Questo risultato avviene perché potrebbero essere stati nutriti i batteri sbagliati, che hanno rovinato la carne. Un po’ come avviene con il vino: se la bevanda viene a contatto con i batteri acetici, il vino è da buttare. Allo stesso modo, se una carne scinde gli enzimi sbagliati, quella carne non è più consigliabile. Quando a tavola arriva una succulenta bistecca, frollata 60 giorni, lasciatevi inebriare dal suo profumo, è uno dei più grandi piaceri della vita.