video suggerito
video suggerito
15 Ottobre 2024 12:48

La critica gastronomica è solo un hobby per bambini ricchi. Ecco tutti i retroscena di questo strambo mestiere

Ignacio Medina, 69 anni, è uno dei critici gastronomici più importanti al mondo. Ha scritto la sua ultima recensione perché negli ultimi anni ha speso il triplo di quanto guadagnato nei ristoranti. È una cosa comune: la critica e il giornalismo gastronomico sono due mestieri insostenibili economicamente, per questo non esiste. Facciamo un viaggio in questo mondo dall'interno.

174
critico-gastronomico-non-esiste

L'elefante nella stanza del giornalismo enogastronomico sono i soldi. Sono un problema enorme, impossibile da non notare, ma di cui nessuno fa parola perché così evitiamo un problema che è palese. Fare il giornalista enogastronomico non è economicamente sostenibile. Non lo è oggi, nel 2024, ma non lo era neanche in passato. Oggi un po' di più però. Se n'è accorto Ignacio Medina, uno dei più importanti critici del mondo che tra la Spagna e il Perù è stato uno degli autori più importanti delle ondate iberiche e latine che hanno colpito il fine dining negli ultimi 30 anni. Nella sua ultima recensione ha scritto che ogni anno spende "quasi il triplo" di quanto guadagna e che ora è costretto a trovarsi un altro lavoro serio. Negli ultimi dieci anni ha scritto recensioni ma cercando altri lavori che gli permettessero di finanziare una professione che non porta soldi nelle tasche di chi scrive. Un controsenso che relega la critica gastronomica all'hobby e non la porta nel mondo del lavoro. Ma questo, pur volendolo ignorare, è un affare ben noto. Può sembrare una cafonata parlare di vil danaro ma ti assicuro che è una cosa importante avere degli spicci in tasca, possono far comodo.

La critica gastronomica è una cosa da ricchi

Poi mi addentro anche nel giornalismo generale ma che la critica gastronomica fosse un gioco per bambini ricchi si sa da sempre. Il primo grande critico gastronomico in Italia è stato probabilmente Federico Umberto D'Amato, fondatore delle Guide dell'Espresso. Prima di diventare un giornalista gastronomico D'Amato è stato un agente segreto e uno degli uomini più potenti dell'Italia occulta. Per far capire bene il personaggio: se hai mai visto Romanzo Criminale, il personaggio de Il Vecchio interpretato da Massimo De Francovich è ispirato alla sua figura. La maggior parte dei suoi adepti viene da altri lavori, altre professioni, altri stili giornalistici (soprattutto nell'ambito sportivo) che hanno permesso a queste dinastie (perché poi ci sono i figli e i nipoti che guarda caso fanno questo di mestiere) di avere un conto in banca così corposo da poterlo sperperare in ristoranti. Spulciando le pagine degli autori di guide o siti gastronomici puoi fare un viaggio all'interno della nobiltà decaduta italiana che, come ogni nobiltà, è comunque caduta in piedi.

critica-gastronomica-elefante-nella-stanza
Di Sam Hood – State Library of New South Wales. Home and Away – 19020., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41531205

Oggi la professione vive la perenne accusa di fare le marchette (spesso è vero) ma nessuno si domanda come faccia quel giornalista a pagare i conti. Secondo molti, sono le redazioni a dover pagare le recensioni da pubblicare e , secondo norma deontologica dovrebbe essere così ma qui viene presa in esame un'altra questione: dove sono i lettori? I lettori sono i primi a lamentarsi e puntare il dito verso questo o quel giornalista ma, dati alla mano, difficilmente si ricerca la qualità della scrittura, la profondità dell'analisi. Le persone amano listati in cui si elencano i migliori posti, guide in cui si elegge il migliore al mondo, perché è difficile domandarsi come si è arrivati a determinate scelte. Salvo poi andare nel miglior ristorante/bar/pizzeria/pub/kebbabbaro o quello che vuoi e lamentarti perché le aspettative non sono rispettate. Allora lì si torna a dire che "vabbè, quello sicuro se l'è comprato il titolo di campione del mondo". Così è troppo facile ed è un peccato: così come in tv lo spettatore ha lo scettro del telecomando, su internet ha il potere del click. La vita è troppo breve per sprecare i tuoi click, ricordalo.

In tutto ciò Medina, che ha scritto su alcuni dei più importanti giornali al mondo come El Pais o El Mundo, viene da una generazione in cui il giornalista era venerato. Aveva contratti faraonici, diarie a non finire, delle cose francamente impensabili e inimmaginabli per un giornalista nato negli anni '90 come me. Non a caso ti metto un elenco con due soli punti, proprio perché non so altro, ma so che dell'altro c'è. Ho visto in prima persona anziani giornalisti sportivi spendere centinaia di euro forniti allegramente dalle redazioni per stare in ritiro in località sciistiche meravigliose. Tra i miei colleghi ero tra i più fortunati perché almeno avevo garantito vitto e alloggio, cosa non scontata. La maggior parte dei giornalisti sportivi, gastronomici o di qualsiasi altro ambito vive per anni nella più atroce miseria e comincia a fare questo lavoro per la gloria. Il famoso pagamento in visibilità è la moneta ufficiale della stampa italiana. Pensa come potrebbe essere un critico gastronomico che vive nella crisi mondiale dell'economia, in un settore come quello editoriale che è uno zombie: siamo non-morti, ci alimentiamo di cervelli che spesso non troviamo.

La critica gastronomica è un settore che richiede indipendenza e conoscenza, due cose che costano. Bisogna avere la libertà per pagare viaggi, alberghi e ristoranti senza chiedere niente a nessuno. Per una redazione è un costo insostenibile perché tutti noi abbiamo voluto l'informazione fast food, e così ci ritroviamo articoli da 5 euro per hamburger, patatine e bevande. Per un singolo giornalista free lance è ancora più impensabile perché non rientra mai nelle spese, nessun articolo potrebbe mai essere pagato tanto da coprire questi costi e torniamo al punto precedente: le redazioni non possono permetterselo.

ignacio-medina-si-ritira

Nei miei primi passi in questo settore, dopo un lustro abbondante a boccheggiare nel giornalismo sportivo, ho scritto per 4 anni in alcune delle più importanti guide gastronomiche italiane (quelle del Gambero Rosso)… rimettendoci dei soldi. Ero all'inizio e la vedevo come formazione ma proprio per lo stesso motivo, appena mi sono sentito più sicuro dei miei mezzi, ho lasciato quella realtà anche se a malincuore perché mi divertiva farlo: il lavoro va pagato adeguatamente e se una redazione non ha la possibilità economica e non vuole scendere a patti, è giusto lasciare che le strade si dividano.

Però ecco, "mi divertiva" scrivere per le guide, come quando gioco a NBA 2k: è un hobby, un passatempo. Parliamo di circa 20 euro a scheda e ora ti sfido a trovare una pizzeria in cui spendi meno di 20 euro a cui dovresti aggiungere la benzina, i parcheggi, il tempo e la professionalità. Nel giornalismo gastronomico parliamo di articoli che vanno a 40, 50, 80 o 100 euro nella maggior parte dei casi ed è triste constatare che sono cifre molto più alte rispetto alla media degli altri ambiti giornalistici, come cronaca o cinema. Alcune guide rimborsano totalmente lo scontrino ma difficilmente poi pagano la scheda redatta, quindi è un do ut des che rientra nell'ambito dell'hobbistica. Non è un caso se le guide oggi, almeno in Italia, siano scritte da uffici stampa e PR nella maggior parte dei casi ma siano poi rimpinguate da medici e consulenti, notai e avvocati, professionisti con grandi margini di guadagno nelle proprie attività che scrivono (e spesso sentenziano) sulle vite economiche di altre persone, i ristoratori, senza avere un'adeguata formazione in tal senso. È l'unico modo per andare avanti: il compromesso con se stessi. Medina ha detto a malincuore che la conoscenza e la credibilità contano sempre meno, che ci sono pochi media indipendenti che sopravvivono a stento ed è un peccato perché mai prima d'oggi c'è stata una tale attenzione al mondo della cucina. Però abbiamo abdicato, anche noi giornalisti, al "Vieni con me che ti faccio vedere dove andare a mangiare questo super mega panino da 20 piani grondante di cheddar". E lo abbiamo fatto perché questo chiede "la gente". Un'entità estranea, quella della massa, che è in grado di scegliere sempre Barabba.

Il problema non sono solo i lettori ovviamente, non cadiamo nell'errore che ho dileggiato all'inizio: l'elefante nella stanza. Il problema è letteralmente il giornalismo: io ho cominciato a scrivere di cibo perché sì, mi piace, ma se avessi avuto uno stipendio nel giornalismo sportivo probabilmente non sarei mai approdato a questo seppur simpatico universo. E questo discorso vale per me ma vale per tutta una generazione, quella nata dal 1980 in poi, la famosa "Generazione Mille Euro" raccontata da Massimo Venier in un film di qualche anno fa. Siamo tutti ragazzi, anche se ragazzi non lo siamo più, costretti a barcamenarci di qua e di là senza meta, solo per sbarcare il lunario. Se a questo sogno, a quello della critica gastronomica, ci ha rinunciato perfino un mammasantissima come Ignacio Medina, forse dovremmo prendere questo elefante e rimetterlo in libertà perché nella stanza ci sta male. Dovremmo dire alle persone che no, i critici non esistono e non possono esistere. Ci piacerebbe, sarebbe davvero fighissimo, ma così come abbiamo capito di non poter fare la Kamehameha, che a 11 anni non ci sarebbe arrivata nessuna letterina da Hogwarts e che in Fight Club Edward Norton è Tyler Durden, possiamo farci una ragione anche di questo. Dobbiamo dire alle persone che quelli che scrivono la maggior parte delle volte lo fanno a proprie spese, facendo delle rinunce, e lo fanno solo per passione. E sì, qualcuno lo fa anche per tornaconto personale.

Dovremmo dire ai lettori che certe cose si devono studiare ed è un peccato che un giornalista venga paragonato a un qualsiasi food blogger. Ma questa, ancora una volta, è colpa di chi ha permesso alle persone di fare questo parallelo: la differenza che io vedo tra le due "professioni" sta (o almeno dovrebbe essere) nella formazione, nello studio, nella deontologia. Se questi tre cardini vengono meno allora che tu scriva per un super mega quotidiano o per il tuo profilo Instagram cambia poco e, anzi, le persone tendono a fidarsi di un qualsiasi ragazzo che vedono simile a loro, più puro, più onesto, più smaliziato.

giornalismo-gastronomico-crisi

È difficile accarezzare questo elefante ma bisogna dirlo: gli unici critici veri, quelli che lo fanno perché sono pagati per farlo, sono quelli della Michelin. Per questo motivo ancora oggi la Guida Rossa ha un tale ascendente sugli chef al netto di restituzioni farfugliate. Tutti gli altri, salvo la buona pace di alcune mosche bianche, sono solo dei sognatori che provano ad arrivare sulla Luna costruendosi un razzo in casa. La critica gastronomica non esiste se non come hobby perché il professionismo (da Treccani "l’esercizio di un’attività che di solito viene svolta saltuariamente e dilettantisticamente con carattere professionale") non è fattuale, replicabile, fattibile in questo ambito a meno che tu non sia ricco. La maggior parte delle recensioni che leggi sono figlie di cene stampa, con il giornalista che viene invitato dal ristorante e che quindi non paga. Non sto dicendo che è un male, anche io vi partecipo, ma è oggettivamente diverso che andare da clienti, pagare e salutare. Poi sta alla singola penna avere il coraggio di confrontarsi su ciò che è andato e su ciò che non è andato, ma questo non è da tutti.

La cosa divertente è che oggigiorno vengono scritti centinaia di articoli sulla sostenibilità e sullo sfruttamento dei ristoranti ma, per l'appunto, nessun giornalista parla dell'elefante nella stanza: c'è tutta una categoria che viene sfruttata per un lavoro insostenibile, ma sembra brutto ammetterlo perché la categoria del giornalista o del critico gastronomico ha a che fare col cibo, uno dei piaceri della vita. Ti assicuro che no, non è sempre un piacere, soprattutto se a fine mese devi pagare le bollette come tutti. Ma sì, è molto divertente se hai mammina bella e papino bello che ti levano queste incombenze dalle spalle.

Immagine
Quello che i piatti non dicono
Segui i canali social di Cookist
api url views