La Tunisia ha affrontato l'emergenza del granchio blu nel lontano 2014 e l'ha risolta benissimo. L'esportazione del prodotto ittico frutta oltre 24 milioni l'anno al Paese dell'Africa Mediterranea e ha portato enormi benefici alle comunità costiere tunisine. Possiamo seguire il suo esempio.
Questa è stata decisamente l'estate del granchio blu. Ne hanno parlato tutti a più riprese. La specie aliena che sta mangiando tutte le cozze e vongole italiane e che si riproduce a una velocità disarmante creando enormi problemi al nostro ecosistema. Il Governo corre ai ripari e stanzia 2,9 milioni per incentivare chi si occupa della cattura e dello smaltimento. Moltissimi chef lo hanno inserito in menu e puntano a trattarlo come una normale materia prima. Ma il granchio blu c'è solo in Italia? Assolutamente no. Il WWF ha diramato un comunicato stampa in cui elogia la Tunisia per aver trasformato la piaga del granchio blu in "storia di successo". Vediamo come hanno fatto a rendere il granchio blu una risorsa economica fondamentale.
La Tunisia ha sfruttato l'emergenza e ci ha costruito su una filiera. L'invasione del granchio blu nell'Africa Mediterranea dura già da qualche anno: la prima vera emergenza riguardo questo animale risale al 2014. La politica locale ci ha intravisto immediatamente un'opportunità e ha sovvenzionato i pescatori fornendo l'attrezzatura migliore per la pesca e una rete commerciale fatta di intrecci diplomatici con i Paesi esteri.
In pochi anni la Tunisia, che non ha mai mangiato i granchi nella sua storia, si è ritrovata non una ma ben due specie di granchi blu sulle proprie tavole. I risultati ottenuti sono a dir poco clamorosi: addirittura il 25% dei prodotti ittici esportati dallo Stato sono granchi blu. Un business da 24 milioni di dollari che aumenta di anno in anno. La maggior parte viene esportato in Asia, Spagna, nel Golfo Persico e, sembra incredibile, in Italia. Noi importiamo il granchio blu dalla Tunisia pur avendone tantissimo a disposizione.
I tunisini pescano questo crostaceo con diverse tecniche, come reti, nasse e trappole. Dopo essere stati pescati, i granchi blu vengono sottoposti a processi di lavorazione che includono la bollitura, la pulizia e la separazione delle parti commestibili, come le zampe e la carne: molto del prodotto esportato è già lavorato in loco.
La situazione è talmente ben gestita che la Tunisia ha imposto dei limiti alle dimensioni minime dei granchi, come per qualunque altro tipo di pesce. Non devono essere troppo piccoli così da garantire la sostenibilità delle risorse marine. Queste norme includono limiti di cattura, grandezza dei granchi e periodi di chiusura stagionali per consentire la riproduzione. Questo sistema ha creato un impatto economico significativo in Tunisia, contribuendo all'occupazione nelle comunità costiere e alla generazione di entrate attraverso l'esportazione. Sta contribuendo perfino all'emancipazione femminile: le donne, spesso mogli dei pescatori o pescatrici stesse, costruiscono le nasse (ad oggi il metodo più efficace per la cattura del granchio) e cucinano il crostaceo. Hanno così una propria indipendenza economica che senza questo animale probabilmente non sarebbe mai avvenuta.
Secondo il WWF "oggi l'Italia è come la Tunisia del 2014". A dirlo è Isabella Pratesi, direttrice del Programma di Conservazione di WWF Italia, che prosegue suggerendo a tutti di guardare proprio la Tunisia per "prevedere ciò che accadrà. Una gestione con una vera visione a lungo termine e non miope di fronte al tema del cambiamento climatico ci avrebbe premesso di arrivare preparati". La direttrice dice che possiamo ancora imparare dall’esperienza dei nostri vicini, "evitando di compiere errori, come l’utilizzo di sistemi non selettivi, soprattutto sotto-costa, che potrebbero essere fatali per i nostri mari già duramente impoveriti e danneggiati dalle attività umane e dal cambiamento climatico". "Bisogna adottare una vera gestione adattativa — conclude Pratesi — imparando a gestire nuove risorse ittiche come il granchio blu che possono fornire una fonte di guadagno alternativa a pescatori e agli operatori di tutta la filiera".
Rispetto alla Tunisia, almeno in teoria, abbiamo due vantaggi: possiamo seguire il loro esempio e noi il granchio lo mangiamo già. Pur non essendo una risorsa ittica comune o tradizionale possiamo (forse dobbiamo?) imparare a conviverci così da evitare impatti negativi sull'ecosistema marino.