Secondo l'Università della cucina Italiana di Firenze la carbonara è americana. La conferma arriva da uno dei massimi storici dell'enogastronomia in Italia.
La carbonara è americana, ormai è risaputo, ma ora questa teoria è confermata anche dall'Università della cucina italiana. Continuiamo a parlare di "teoria" perché non avremo mai una prova scritta che confermi tutto ciò ma tutti gli indizi portano alla paternità USA della ricetta. Un emblema della cucina italiana, un simbolo di Roma famoso in tutto il mondo, che in realtà è marchiato dalle stelle e dalle strisce. Specifichiamo comunque che per "americana" si intende comunque una ricetta fatta in Italia da un cuoco italiano, solo che il committente è lo "Zio Sam" e non la classica nonna super chef che metterebbe a sedere Cracco o chi per esso che tutti dicono di avere.
Secondo Luca Cesari, storico enogastronomico e docente dell'accademia culinaria, la formula "tradizionale" (guanciale, uova, pecorino, niente panna) è apparsa solo alla fine degli anni Sessanta. Afferma anche che il racconto di Renato Gualandi, giovane cuoco bolognese incaricato dall'esercito americano di occuparsi di un pranzo a Riccione, non è mai stato smentito e che questa ricetta lo avrebbe seguito a Roma, dove avrebbe lavorato tanti anni, e che la "carbonara" sarebbe stata poi nominata per la prima volta solo in un film di Giorgio Pastina del 1951, "Cameriera bella presenza offresi".
La prima ricetta scritta appare solo nel 1952 in una guida ai migliori ristoranti di Chicago, quindi in America, e solo due anni dopo arriva nel nostro Paese: spaghetti, uova, pancetta, gruviera e aglio, scritta sulla rivista "La Cucina Italiana". Attraverso i decenni la ricetta si evolve in continuazione, si stabilizza solo negli anni '90 con gli ingredienti che tutti noi amiamo e conosciamo: uova, pecorino e guanciale, con l'aggiunta di abbondante pepe nero. Per Cesari "nessuno ha mai creato un piatto dal nulla, ma è sempre partito da qualcosa di preesistente, applicando a esso variazioni e miglioramenti" e, conclude all'Ansa, "Studiare la cucina che ci ha preceduto amplia il bagaglio culturale di un cuoco, come lo farebbe l'incontro con la gastronomia di un altro paese e gli permette di avere più riferimenti per le proprie creazioni".