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23 Maggio 2021 15:00

L’epopea dell’aceto balsamico raccontata dall’ultimo acetaio “originale” ancora in vita

Adriano Grosoli, classe 1929, è l'ultimo sopravvissuto dei quattro imprenditori modenesi, lui, Giorgio Fini, Giuseppe Giusti ed Elio Federzoni, che nella seconda metà del Novecento hanno creato il mito del balsamico. Vediamo tutti i segreti dell'oro nero della food valley italiana, raccontato da un protagonista: la sua storia, il metodo di lavorazione e gli abbinamenti migliori.

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Oggi l'aceto balsamico lo troviamo in ogni supermercato d'Italia ma fino agli anni ’60 era un prodotto di nicchia, lavorato solo da pochissime famiglie, per un uso familiare. In pochi fuori dai confini di Modena conoscevano "l'oro nero della food valley emiliana" perché l'aceto balsamico veniva lavorato nelle cantine e consumato tra amici e parenti.

L'ultimo grande imprenditore che ha guidato questa eccellenza dalle dispense dei modenesi al mondo dell'industria è Adriano Grosoli, classe 1929. Fu proprio lui, insieme Giorgio Fini, Elio Federzoni e Giuseppe Giusti a credere nelle potenzialità di questo prodotto anche se "non le avevamo capite del tutto. Era entusiasmante, ma non avevamo intuito bene quanto l'aceto balsamico potesse andare forte sul mercato. All'inizio avemmo molte difficoltà: questo aceto era conosciuto solo nell’area intorno a Modena e in qualche mercato estero, dove qualche coraggioso produttore si era spinto, per caso o con cognizione, in fiere alimentari. Il resto dell’Italia conosceva e utilizzava solo l’aceto di vino. Perciò c’era da fare promozione per farlo conoscere". È molto interessante questa cosa perché, in fin dei conti, parliamo di un prodotto che ha centinaia di anni ma che fino a qualche lustro fa nessuno conosceva davvero.

La storia dell'aceto balsamico

Fino a quando la situazione non è stata presa in mano dalle famiglie Fini, Giusti, Federzoni e Grosoli, per "aceto balsamico" si intendeva un qualsiasi aceto prodotto nelle case aromatizzato con liquirizie, vaniglia, rosmarino, fiori, oppure prodotti con differenti materie prime. Negli anni gli emiliani sono diventati così bravi che diversi regni in Europa acquistavano gli "aceti alla modenese", una via di mezzo tra un vero aceto e i liquori o gli amari del Medioevo.

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La prima volta che si legge la dicitura "aceto balsamico" è risalente al 1747, in un registro del Palazzo Ducale di Modena. L'aggettivo è usato per distinguere una particolare tipologia di aceto rispetto alle altre presenti nel ricco deposito del palazzo. Nel 1830 questa definizione viene ulteriormente arricchita dagli estensi per volere di Francesco IV: gli aceti presenti a corte devono essere divisi in "balsamici", "semibalsamici", "fini" e "comuni". Sfortunatamente per il duca, il 1830 è anche l'anno dei moti di Modena con a capo Ciro Menotti, leader della carboneria locale: questo portò a un rallentamento nella regolamentazione per altri 30 anni.

Con la nascita dell0 Stato italiano si è visto un risveglio del mercato e un interesse crescente dei settentrionali, suffragato da ricerche storiche e bibliografiche sul prodotto, nei meandri dei registri a Rubiera. Alla fine del secolo l'aceto balsamico di Modena comincia a comparire nelle manifestazioni espositive, ma sempre come prodotto di nicchia e di eccellenza. In questo periodo comincia l'attività dei Grosoli, con nonno Adriano che fonda l'Aceto Balsamico del Duca nel 1891 e che vince la medaglia d'oro all'Expo di Genova nel 1927.

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Il nipote, chiamato Adriano proprio in onore del fondatore dell'azienda, nel 1965 è tra i promotori della richiesta di riconoscimento e regolamentazione del prodotto a livello nazionale: avvia le procedure per ottenere la licenza ministeriale per la produzione di aceto balsamico di Modena. Questo passo è fondamentale perché, ci racconta Grosoli, "fino al '65 era trattato semplicemente come un aceto di vino speciale, ma il balsamico è molto di più". Nella stesura di questa nuova legge, che tutelasse la territorialità dell'aceto balsamico, ci sono stati molti intoppi e "il momento più difficile fu sicuramente quando ci comunicarono che un'azienda di Napoli si era opposta al decreto. Non volevano che l'aceto balsamico si potesse produrre solo a Modena e volevano farlo anche in Campania. Dopo un attimo di scoramento è però scattata la reazione di noi quattro produttori per difendere la città e siamo andati a fare una battaglia giudiziaria. Abbiamo tagliato la testa al toro nel 1993 dando vita al primo Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena che poi presenterà domanda per la registrazione come IGP". Oggi la presidentessa del consorzio è Mariangela Grosoli, figlia di Adriano, attualmente a capo dell'azienda.

Fino agli anni ’80 sono sempre e solo queste quattro famiglie a portare avanti la tradizione secolare dell'aceto balsamico, con dedizione e coraggio. Dagli anni ’90 in poi la fama dell'aceto schizza alle stelle. L'etichettatura di Indicazione Geografica Protetta dona un'inaspettata linfa al prodotto, attirando investitori, aziende, un mare di compratori. Stando a quanto scritto dal consorzio ogni anno vengono prodotti oltre 97 milioni di litri con un giro di affari da 370 milioni di euro, che alla vendita raggiunge il miliardo. Cifre altissime che collocano l'Aceto Balsamico di Modena IGP tra le "fab five" delle etichette alimentari italiane: solo Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e Mozzarella Campana hanno un fatturato maggiore; queste sono tutte Dop, l'aceto balsamico è l'unica Igp presente ai vertici.

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Adriano Grosoli nella sua acetaia

Una situazione cambiata completamente rispetto agli esordi di Grosoli, quando "c'era la necessità di spiegare cosa fosse. Soprattutto all'estero, complice il colore, pensavano tutti che fosse vino. Dovevamo spiegargli la storia dell'aceto, la sua produzione, le diverse tecniche. Questo affascinava i clienti, soprattutto gli americani. Oggi è tutto diverso, quasi tutti sanno cosa sia il balsamico, come si utilizzi in cucina. Il web ha aiutato molto a riguardo ma non sono così sicuro che questa conoscenza sia in effetti reale. Penso ci sia molto da imparare sulle diverse caratteristiche e soprattutto nei suoi usi a tavola. Quando vedo in tv che mettono l'aceto balsamico di fascia bassa sulle fragole o sul formaggio mi rassegno all'idea che, chi seguirà il consiglio, sicuramente una volta fatto non assaggerà mai più l'aceto. Si diffondono informazioni distorte che è difficile correggere.  C’è una conoscenza superficiale e influenzata da mode e trend".

Fortunatamente il lavoro delle aziende territoriali continua ad andare avanti e su questo piano "il nostro lavoro non è cambiato così tanto, in fondo, rispetto a quando lo faceva mio nonno all'inizio del 1900: la promozione viene fatta ancora attraverso il racconto della storia, tutelando i prodotti e spiegando gli utilizzi: sono questi i capisaldi, nessuno può venir meno a queste regole".

Come si fa l'Aceto Balsamico di Modena Igp

Cosa rende l'aceto balsamico così speciale? Il metodo di produzione è fondamentale, così come le materie prime. L'Aceto Balsamico di Modena Igp viene ottenuto unendo mosti di uva (fermentati e/o cotti e/o concentrati) e aceto di vino. Il sapore è caratterizzato da una spiccata acidità, più aspra e marcata rispetto all'aceto di vino; il profumo è delicato, persistente, di gradevole aroma, con un colore bruno intenso. Deve essere invecchiato almeno due mesi nei prodotti "normali", almeno tre anni per ottenere la dicitura di "invecchiato".

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La selezione del vino è fondamentale: gli unici vitigni da cui si può ricavare il balsamico sono Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese, Albana, Ancellotta, Fortana e Montuni. Al mosto vengono aggiunti aceto di vino, nella misura minima del 10%, e un'aliquota di aceto vecchio di almeno 10 anni. Da qui comincia la parte difficile: in pratica i produttori devono mantenere una concentrazione di mosto d'uva pari al 20% della quantità totale del prodotto finché la densità della massa non scenda sotto l'1,240 con una temperatura di 20 gradi. Ci sono molti studi sull'acidità totale minima e sull'estratto secco netto minimo perché entrambi devono stare entro dei limiti.

La vera forza del prodotto è l'acetificazione e l'affinamento: la prima fase avviene grazie all'impiego di colonie batteriche selezionate, la seconda in barili, botti o tini di legno pregiato. Il periodo minimo di affinamento è di 60 giorni, conteggiati a partire dal momento in cui le materie prime, miscelate tra loro nella giusta proporzione, sono avviate all’elaborazione. Finito l'affinamento, il prodotto deve superare un test molto delicato: il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha infatti il compito di verificare il rispetto del disciplinare.

Per fare tutto ciò è stato nominato un ente che stabilisce la validità delle proprietà organolettiche dell'Aceto Balsamico di Modena Igp. Ogni singolo lotto destinato all'imbottigliamento va verificato dal team di esperti, composto da tecnici e assaggiatori. Solo i lotti che superano il test possono fregiarsi della prestigiosa etichettatura. Una cosa molto simile avviene anche per l'olio extravergine d'oliva prodotto in Italia.

L'aceto balsamico in cucina

Come possiamo usare questa prelibatezza nella nostra cucina? Cominciamo dagli abbinamenti più ovvi: carne e verdure. Ricordate che l'aceto balsamico va usato a crudo, quindi aggiungetelo solo dopo la cottura. Si tratta di un condimento perfetto per la carne rossa, ideale sul vitello arrosto, sulla grigliata mista e con la carne di maiale. A proposito di quest'ultima, un consiglio in più: fate marinare alcune ore il maiale con un composto di vino, olio, timo e aceto balsamico, non ve ne pentirete.

Per il manzo non possiamo che citare il celebre filet mignon all'aceto balsamico, un piatto storico e buonissimo, da gustare in tutta la sua eleganza. Per quanto riguarda le verdure, il consiglio più semplice e immediato è da usare per condire l'insalata. Suggeriamo di usarlo anche come insaporitore della zucca sott'olio, buonissimo anche sulle melanzane grigliate. Ultimo ma non ultimo: possiamo sfruttare il sapore tanto particolare dell'aceto, al contempo acido e dolce, per preparare le cipolline in agrodolce, una conserva utile per tutte le stagioni.

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Ottimo compagno anche per il pesce, in particolare su orata, salmone, branzino e pesce spada (forse quest'ultimo è proprio il miglior prodotto ittico da abbinare al balsamico). Perfetto per condire il tonno alla griglia e per servire una piacevole variante alle classiche alici fritte. Se volete dare uno sprint alle zuppe di pesce, aggiungete qualche goccia di aceto balsamico di Modena e resterete soddisfatti. Da provare anche sui crudi, in particolare su scampi e gamberi.

In generale ogni combinazione che porterete in tavola potrebbe essere arricchita dall'oro nero emiliano, tenendo a mente che non esiste una dose precisa da poter usare. Non c'è un'indicazione che potrebbe risultare corretta sull'uso dell'aceto balsamico. Tutto dipende dalla qualità, dall'invecchiamento e dal proprio gusto soprattutto. Ovviamente consigliamo di non esagerare, altrimenti l'aceto coprirà completamente il sapore dell'alimento principale. Il compito di un buon balsamico è esaltare il protagonista del piatto, mai metterlo in ombra.

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Quello che i piatti non dicono
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