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26 Ottobre 2021 15:00

Invecchiare bene: 24 ore in Val Curone alla scoperta di vini e salumi “senza tempo”

Una gita enogastronomica in Val Curone in provincia di Alessandria, ci fa scoprire quanto una zona incontaminata faccia bene all'affinamento dei vini e alla stagionatura intensa dei salumi: qui prodotti come Timorasso, Barbera e Salame Nobile del Giarolo si fanno apprezzare anche dopo tanti anni, sfidando le logiche del tempo. Alla scoperta delle specialità di un pezzo di Appennino amato da molti, dal Conte Cavour a Giuseppe Pellizza da Volpedo, passando per Fausto Coppi.

A cura di Francesca Ciancio
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Possono essere sufficienti 24 ore per conoscere un posto? Geograficamente parlando la risposta è no, ma una giornata può bastare per coglierne lo spirito, quello che i più bravi descrivono come weltanschauung, la visione di un mondo, che può essere limitato in termini di chilometri quadrati, ma rivendica i tre principi base della concezione filosofica di origine tedesca: il pensiero, il sentimento e la volontà. Una presentazione un po’ altisonante per parlare della Val Curone – penserete – ma vi sfido ad andare, a incontrare le persone di cui vi parlerò e a raccontarmi poi le sensazioni ricevute. Potreste darmi ragione.

La Val Curone cos’è e dov’è

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Innanzitutto… cos’è la Val Curone e dov’è. La sua provincia è Alessandria, ma in realtà fa parte di quel più vasto territorio incastonato tra quattro province, saltellando dunque fra Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza. Un pezzo di Appennino insomma che è in mezzo a più valli, la Staffora, la Sorberà e la Grue. Saliscendi che conosceva bene Fausto Coppi, perché questi sono i luoghi del campionissimo e che amava anche Giuseppe Pellizza da Volpedo, il grande pittore de Il Quarto Stato che qui nacque nel 1868. Territorio di confine, ma soprattutto di passaggio che metteva in collegamento il mare con l’interno e viceversa e che, come tale, si arricchiva di tutti gli scambi che vedeva passare.

Sono posti dove le culture alimentari sono ricche grazie alle contaminazioni, ma che hanno rischiato di perdere tutto a causa dello spopolamento delle valli, con gli abitanti che sceglievano le città, Genova, Milano, Torino. D’altro canto l’essere circondata da grossi centri di produzione ha fatto sì che la Val Curone, come altre valli della zona, rimanesse tagliata fuori da stravolgimenti edilizi e industriali. Chi la vive dice che è rimasta simile a 150 anni fa, con un’integrità che la rende abbastanza impermeabile ai cambiamenti. Fattore positivo o meno, a seconda dei punti di vista.

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I vini che non hanno fretta di Paolo Ghislandi

Questa integrità geografica diventa integrità di tradizioni difese a tutti i costi, andando a ripescare prodotti e lavorazioni sui quali sembrava che il tempo avesse avuto la meglio. Spesso accade così, ma qualcosa si riesce a salvare. Tutto è dipeso dal pensiero, dal sentimento e dalla volontà – ricordate poco sopra? – di persone che ho incrociato in queste 24 ore, come Paolo Ghislandi che non è di queste parti, ma qui ha scelto di fare vino, Timorasso e Barbera soprattutto. A spingerlo qui è stato il suo amore per i vini bianchi di struttura e longevi – e cita i vini bianchi campani – che lo portano a interessarsi dell’uva Timorasso, un vitigno autoctono delle colline Tortonesi, dato per estinto tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, a causa della sua scarsa produttività e poi recuperato da un vignaiolo impavido qual è Walter Massa, che ha costruito intorno a questo vitigno la storia vincente del Derthona, il nome romano di Tortona.  A metà anni ’90 si inizia a parlare di questo bianco che vuole giocare la partita dei grandi vini “sfidando” i blasonati rossi piemontesi. A distanza di 30 anni quella sfida può dirsi vinta e Paolo con l’azienda I Carpini a Pozzol Gotto, ha dato il suo contributo.

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Lo ha fatto investendo in un’agricoltura olistica che vuol dire lavorare in direzione di una visione d'insieme dove aria, terra, acqua, bosco, vigneto, animali sono un tutt’uno e l’agricoltore ha “solo” il compito di tenere tutto questo in equilibrio o, quando non c’è, di ripristinarlo. Una definizione, quella di vignaiolo olistico, che potrebbe suonare come una trovata promozionale, ma che ha in sé la verità di Paolo come vignaiolo e la necessità di andare oltre il “naturale”, il “biologico” e il “biodinamico”. Come averne la certezza? Basta fargli visita, girare un po’ con lui tra vigne e cantina, osservare e accorgersi della salubrità di un ambiente che non è “pettinato” né sterilizzato, ma ha i colori e gli odori di un posto che lavora con qualcosa di vivo come il vino. Altro tema è quello del tempo e i Timorasso e le Barbera di I Carpini sanno aspettare. A Brezza d’Estate, uno dei Timorasso della cantina, servono almeno cinque anni per dirsi pronto – ma non compiuto – e a questo punto possiamo berlo a tutto pasto su piatti di una certa importanza.

Una cena da re e regine al Corona

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Il Ristorante Bar Corona è a San Sebastiano Curone da 300 anni – frequentato da personaggi del calibro di Camillo Benso Conte di Cavour – gestito sempre dalla stessa famiglia  e vanta pochissimi cambi nel menu da quasi 100 anni. Il motto è riproporre i classici della casa sempre con la stessa cura, dalla prima all’ultima volta, come se nell’artigianalità autentica vi fosse una serialità rassicurante. L’indirizzo è sinonimo di gnocchi alla bava di latte, di involtini di prosciutto con maionese in gelatina, di bunet di cioccolato alla piemontese. La tavola si tinge di autunno in questo periodo con le castagne di un sontuoso Mont Blanc e uno sformato di zucca accompagnato da una fonduta di formaggio Montèbore e finito con scaglie di tartufo.

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Fermiamoci un attimo su questi due prodotti: il primo è un formaggio a forma di torta nuziale fatto con latte vaccino e latte di pecora – quando è possibile c’è anche quello di capra – a latte crudo e con caglio naturale. La ricetta risale a 1000 anni fa, ma il Montébore era praticamente sparito tra le valli dopo la Seconda guerra mondiale. Sarà un fiduciario di Slow Food, a fine anni ’90, a scoprire l’ultima casara in grado di riproporlo e far entrare questo formaggio nella lista dei Presidi. È  cremoso, dolce e pastoso, buono da mangiare accompagnato con composte e confetture, ma anche parecchio usato nelle ricette locali. Poi c’è il tartufo – bianco d’Alba e il Nero pregiato – di queste zone che è tanto noto e apprezzato da avere una fiera tutta per sé in un borgo di appena 500 anime qual è San Sebastiano: la Mostra Mercato del Tartufo, terza domenica di novembre, è riconosciuta come fiera nazionale e ha tagliato il nastro delle quasi quaranta edizioni. L’occasione è buona anche per fare un giro nel borgo, una delle tantissime piccole perle architettoniche del Paese, di cui sono pieni gli Appennini.

I salumi che sanno aspettare de Il Cianta

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A San Sebastiano l’aria è mista, sa di Piemonte ma anche di Liguria, con i colori sgargianti delle facciate dei palazzi gentilizi che ricordano il ruolo strategico del comune, posizionato lungo la via del sale, passaggio obbligato per sale e acciughe che dal Mar Ligure arrivavano in Pianura Padana, mentre ai cereali toccava il viaggio inverso. È  proprio in uno di questi magazzini, che un tempo erano neviere o depositi di alimenti, troviamo la “cantina de Il Cianta”, al secolo Fabio Zanotti, agricoltore, macellaio, norcino. Uno spazio del 1400 a temperatura naturale in cui affinano salami, pancette e simil-speck anche per cinque o più anni. Il pezzo pregiato è il Salame Nobile del Giarolo, dal budello doppio e cucito con maestria per consentire una lenta e perfetta stagionatura.

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Fabio ci aggiunge il tempo e, a distanza di anni, la carne è ancora morbida e succosa. L' "ingrediente segreto" secondo Il Cianta che, con la sua azienda La Nuova Valle cura tutta la filiera del prodotto, dall’alimentazione delle bestie alla stagionatura, è l’aria della Val Curone, un misto di marino, con il vento che viene dalla zona costiera, e l'aria degli Appennini, che non asciuga né troppo né troppo poco: una condizione climatica ideale per i salumi che sanno aspettare.

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Viaggio in verticale tra vini e salumi

In gergo enologico si parla di verticale quando si assaggiano più annate di uno stesso vino. Sono degustazioni che servono a comprenderne l’evoluzione anche rispetto alle differenti vendemmie. Ecco, con i salami di Fabio si può fare qualcosa di simile e se si aggiungono i vini, l’esperienza diventa ancora più interessante. Prova ne sia la doppia verticale fatta di Salame Nobile del Giarolo e Barbera Bruma d’Autunno di I Carpini, sette annate per prodotto, dal 2011 al 2005 per il vino, dal 2021 al 2015 per il salume. Al netto degli abbinamenti, un’esperienza enogastronomica del genere dimostra come la giusta combinazione di natura, mano dell’uomo, esperienza e passione, possano creare degli alimenti vivi a lungo, che variano nel tempo, mostrando però altre facce della loro esistenza. Sono cibi cangianti a cui la maturità – in chiave tecnica dovremmo dire maturazione e stagionatura – ha fatto un gran bene.

Foto di Massimiliano Dorigo e Francesca Ciancio

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