Cos'è l'alimentazione intuitiva e quali sono i passi da compiere per iniziare a mangiare in modo più consapevole? Ci spiega tutto la dottoressa Arianna Rossoni.
Combattere la diet culture, abbracciare un approccio inclusivo del peso – poiché tutti i corpi meritano pari rispetto e dignità – e fare finalmente pace con il cibo: tutto questo e molto altro fa parte del modello dell'intuitive eating, letteralmente "alimentazione intuitiva".
Creato dalle dietiste Evelyn Tribole ed Elyse Resch, che nel 1995 hanno scritto il libro A revolutionary anti-diet approach, l'intuitive eating è arrivato da noi solo in tempi più recenti e, talvolta, con interpretazioni piuttosto libere e fantasiose. Ma di cosa si tratta effettivamente e può essere la soluzione vincente anche per chi vuole dimagrire?
Per fare chiarezza una volta per tutte, abbiamo rivolto queste domande alla dottoressa Arianna Rossoni, dietista, docente e responsabile del progetto Equilibrio Donna. Cerchiamo di capire su quali principi si fonda e se può essere la chiave di volta per chi sta cercando di fare pace, una volta per tutte, con diete e dimagrimento.
L'intuitive eating è un approccio al cibo non giudicante, che vuole infrangere il dogmatismo della diet culture e avvicinare l'individuo a un modo differente di mangiare, fondato su scelte autodeterminate e maggiormente consapevoli.
Potremmo definirla un'anti-dieta, basata sul concetto del mangio ciò che voglio, senza seguire regole e schemi imposti dall'esterno, e mi fermo nel momento in cui percepisco la giusta sazietà.
Può aiutare a perdere peso? "L'intuitive eating non riguarda il dimagrimento in alcun modo – sottolinea subito la nostra esperta -; spesso viene venduto come un modo per ‘stare a dieta senza dieta', ovvero per mangiare con intuito e dimagrire senza contare le calorie".
In realtà tale approccio non ha tra i suoi obiettivi il dimagrimento: basato sull'ascolto dei segnali che ci invia il nostro corpo, mira a ottenere un approccio più sano e libero nei confronti del cibo e a liberarsi dalla schiavitù delle diete e dei severi calcoli calorici. "Questo non significa che ignori il peso corporeo, ma fa sì che il percorso non sia focalizzato sulla performance della perdita di peso".
Il peso diventa semplicemente un numero sulla bilancia, uno dei tanti elementi che vanno a comporre un quadro ben più complesso, che si focalizza sul benessere della persona a 360 gradi e in cui anche la salute mentale ha la sua importanza e priorità.
Sono, infatti, ormai moltissimi gli studi che hanno dimostrato l'inefficacia delle diete volte al dimagrimento: il rischio, piuttosto concreto, è che sul lungo termine si recuperi il peso perso, anche con gli interessi, e che soprattutto si possa sviluppare un rapporto negativo con il cibo e con il proprio corpo.
Quello che andrebbe introdotto è il concetto di peso naturale, differente da quello ideale. Mentre quest'ultimo viene calcolato attraverso l’algoritmo del BMI, un parametro fisso e immutabile, il peso naturale è quel range a cui siamo geneticamente predisposti, raggiunto quando si mangia con equilibrio, senza restrizioni o abbuffate, e soggetto a mutamenti nel corso della vita.
L'alimentazione intuitiva mira proprio a questo, al raggiungimento del proprio peso naturale grazie a un approccio alimentare sano e rispettoso dei nostri bisogni. Come possiamo ottenere tutto questo? Sicuramente mettendo in pratica i principi su cui si fonda il modello.
L'intuitive eating prevede di mangiare quando si ha realmente appetito e di smettere quando si è sazi, senza basarsi su regole, preconcetti e quantità stabilite a priori. Il primo passo da compiere è, dunque, quello di rimpossessarsi del naturale senso di fame e sazietà, spesso mutilati dal dogmatismo della diet culture.
Fame e sazietà sono delle attitudini primordiali e istintive, requisiti fondamentali che tutti noi dovremmo avere per vivere un rapporto più sereno con il cibo e per compiere scelte alimentari spontanee, coerenti e autodeterminate. "Il dover mangiare a certi orari, dopo un tot di tempo, solo determinati quantitativi. Tutto questo va a inibire la nostra capacità di sentirle", ci spiega Rossoni.
Anche se l'intuitive eating è molto di più di un instinctive eating: con le diete prescrittive, infatti, si tende a imbrigliare queste sensazioni naturali; quello che dobbiamo fare è imparare a riconoscerle nuovamente, riabbracciarle e reinserirle in un sistema di valori e di priorità del tutto personali.
Si stabilisce cosa mangiare anche in base ai propri impegni, preferenze e gusti, senza attribuire un giudizio morale al cibo. Questo approccio tende a distaccarsi dalla moralizzazione del comportamento alimentare, evitando di demonizzare alcun tipo di alimento. "Se ho voglia di mangiare un gelato a cena, per esempio, lo faccio senza pensare che non sia giusto perché non mi sazia abbastanza", ci tiene a precisare la nostra esperta.
Le scelte alimentari compiute non dipendono dal desiderio di dimagrire e di controllare il proprio peso corporeo, ma si fondano su altri requisiti. "Questo ci consente di avere un'alimentazione davvero consapevole, che unisce una parte di conoscenze nutrizionali salutari alla capacità di sapersene distaccare di tanto in tanto".
Alla base, è bene ricordarlo, deve esserci una corretta educazione alimentare e una comprensione di ciò che fa bene al corpo.
Imparare a mangiare in maniera intuitiva è sicuramente molto difficile: questo a causa di fattori sia esterni sia interni che, con il tempo, hanno depotenziato la nostra capacità di ascolto e autoregolazione.
Anni di diete e restrizioni, ma anche vari condizionamenti sociali – basti pensare agli orari dei pasti o alle porzioni standard a cui crediamo di doverci attenere – hanno offuscato la nostra capacità di sentire la fame e di percepire la giusta sazietà.
Quest'ultima, per esempio, dipende da diversi fattori: il volume di ciò che mangiamo e la sua densità calorica sono fondamentali per farci sentire sazi più a lungo (quindi sì a grassi buoni come olio extravergine di oliva, burro, frutta secca e avocado, da dosare con criterio), masticare lentamente e in maniera adeguata, evitando distrazioni e di trangugiare il pasto voracemente o davanti al pc dell'ufficio, e dare la giusta importanza all'appagamento sensoriale.
Senza gratificazione la sazietà non è completa. Questa può provenire dal pasto stesso, ovvero mangiare qualcosa che ci piace e ci soddisfa, ma anche dalla giusta compagnia o situazione (un pranzo consumato in vacanza, magari di fronte al mare, per esempio).
È importante iniziare ad approcciare all'intuitive eating un passo alla volta, senza la pretesa di stravolgere la propria alimentazione da un giorno all'altro. Un consiglio utile può essere quello di organizzare i propri pasti partendo dal piatto sano di Harvard, quindi prevedendo sempre, e a ciascun pasto, una quota di carboidrati, una di proteine e una di lipidi. Senza dimenticare un'adeguata presenza di fibre, proveniente da frutta e verdura stagionali, e prestando attenzione alla qualità delle materie prime utilizzate.
Partendo da questo, sarà poi possibile apportare via via delle modifiche alla propria alimentazione, anche sulla base di percezioni e sensazioni del tutto soggettive (mi rendo conto, per esempio, che digerisco con più facilità determinate proteine a pranzo, che mi sento più attivo a livello mentale se consumo un pasto low carb a mezzogiorno o che preferisco il cereale in chicco rispetto al pane e così via).
Un altro aspetto importante, per rieducare il palato a sapori più naturali, è quello di diminuire il più possibile – se non eliminare – i prodotti industriali e ultra-processati, ricchi di zuccheri e grassi idrogenati.
L'unione di sale, zucchero e grassi, la triade del gusto tanto cara all'industria alimentare, crea infatti una combinazione assolutamente perfetta, in grado di stimolare l'appetito e far sì che si abbia sempre maggiore voglia di quel determinato cibo. Si tratta del fenomeno noto come "bliss point", ovvero il punto di massima beatitudine indotta da un alimento.
Questo esercita una potentissima stimolazione a livello celebrale, creando una sorta di assuefazione e quindi di conseguente dipendenza. I livelli di dopamina – il neurotrasmettitore coinvolto nella sensazione di piacere provocata dal cibo – non diminuiscono mai, i circuiti neuronali si alterano e il cibo diventa una vera e propria droga.
Cosa fare, dunque? Per resettare le papille gustative, è importante osservare un primo periodo di totale eliminazione di alimenti industriali e zuccheri: solo in questo modo ci disabitueremo ai sapori troppo forti o eccessivamente dolci, recuperando l'innata capacità di distinguere tra appetito, fame, golosità e compulsione. Successivamente si potranno reintrodurre, ma relegandoli alle occasioni speciali e consumandoli con parsimonia.
Strettamente interconnesse l'una all'altra, possiamo affermare che la mindful eating è una pratica che può aiutare a mangiare in maniera più intuitiva. Di cosa si tratta esattamente? Si tratta di una modalità di approccio al cibo basata sulla consapevolezza e sull'attenzione al qui e ora.
Le innumerevoli distrazioni della vita quotidiana e i suoi ritmi frenetici rendono più difficile la capacità di ascolto degli stimoli di fame e sazietà, e di autoregolazione durante il momento dei pasti: questo può portarci a mangiare inconsapevolmente una quantità eccessiva di un determinato alimento o di non riuscire a capire quando si è realmente sazi.
La mindfulness è quella pratica che ci chiede di essere completamente presenti al momento e consapevoli di ciò che sta accadendo. Applicata alla nutrizione, significa saper ascoltare il proprio corpo e i segnali che ci manda, riconoscere quelle tipologie di appetito diverse dalla fame (golosità, fame emotiva, esigenza sociale, gratificazione dal cibo…) e infine imparare a soddisfarle.
Soddisfare un bisogno della mente o sociale è giusto tanto quanto quelli manifestati dal corpo: l'importante è viverli con consapevolezza. Se, per esempio, si è sazi, ma ci viene offerto un dolcetto, è possibile che si abbia voglia di mangiarlo anche solo per il piacere della condivisione, pur non avvertendo la fame vera e propria; oppure, al contrario, ci sentiamo già appagati e non desideriamo mangiare altro.
Non esiste nulla di sbagliato a priori, ma è fondamentale che la scelta sia consapevole. Come si fa? Un esercizio utile può essere quello di fermarsi mentre si sta mangiando e porsi delle domande: sto soddisfacendo il mio appetito? Mi sento sazio o ancora non del tutto appagato?
Respirare tra un boccone e l'altro, utilizzare la tecnica dei check mentali e imparare ad ascoltare le esigenze del corpo ci aiuterà a instaurare una connessione sempre più intima, profonda ed empatica con esso.