Quali sono le cause e i sintomi della sindrome del colon irritabile, ed esistono degli alimenti da evitare e altri da preferire? Facciamo un po' di chiarezza insieme alla dottoressa Myriam Patalano, nutrizionista ed esperta in problematiche intestinali.
Senso di gonfiore, crampi, stitichezza o diarrea, difficoltà digestive e pesantezza dopo i pasti: questi sono solo alcuni dei fastidi che affliggono chi soffre di sindrome del colon irritabile. Ma cosa intendiamo con questo termine, quali sono le cause ed esiste una dieta specifica da osservare? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Myriam Patalano, biologa, nutrizionista ed esperta in problematiche intestinali e microbiota.
"Con il termine sindrome del colon irritabile – ci spiega subito la nostra esperta – intendiamo un insieme di sintomi e di disturbi relativi all'apparato digestivo e gastro-intestinale, che possono cronicizzare nel tempo. Possono riferirsi sia all'intestino crasso sia a quello tenue: dipende dalla tipologia di disbiosi e da dove questa è localizzata".
Quando ci sono dei problemi cronici, di qualsiasi natura essi siano, abbiamo delle fasi acute in cui si sta peggio e delle fasi di quiescienza. La persona deve imparare ad auto-gestirsi per affrontare al meglio questo tipo di problematica, conviverci o risolverla laddove sia possibile.
Sempre seguito da un professionista del settore che, in base a sintomatologia e feedback successivi, attuerà le strategie nutrizionali più efficaci e opportune, modificando e reintroducendo i vari alimenti.
Quali sono le cause della sindrome del colon irritabile? Quando siamo in presenza di questa problematica, si tende solitamente a dare la colpa allo stress. "Sicuramente lo stress può enfatizzare l'aspetto sintomatologico, però possono esservi altre cause a monte", puntualizza Patalano.
Queste possono essere piuttosto variabili: la sindrome del colon irritabile può essere dovuta a un'alimentazione squilibrata, un'idratazione non ottimale, una carenza di fibre, un abuso o un uso scorretto di alcuni farmaci, come gli antibiotici; può essere la conseguenza di un'infezione di natura virale, una gastroenterite, una disbiosi o ancora della sovraccrescita di alcuni micro-organismi, come batteri o funghi.
Nelle donne può essere ricondotto a problematiche di tipo pelvico, candidosi ed endometriosi su tutte: un fastidio intestinale che non passa con nessuna strategia alimentare o medicina dovrebbe, anzi, far scattare un campanello di allarme e condurre a un approfondimento ulteriore.
La sindrome del colon irritabile è diversa da situazioni patologiche come le malattie infiammatorie intestinali, tipo la colite ulcerosa o il morbo di Crohn, per esempio; a differenza di queste, che sono patologie a tutti gli effetti, non è responsabile di cambiamenti anatomici a livello intestinale, motivo per cui dalle ecografie non emerge. Si parla, piuttosto, di un problema funzionale.
Proprio come per le cause, anche i sintomi possono essere diversi e di varia natura. "Lo spettro può essere davvero molto ampio, e può cambiare in base alla tipologia di disbiosi e alla soggettività: ciascun paziente può riferire sintomi molto diversi", ci spiega la dottoressa.
In linea generale malessere, difficoltà digestive e pesantezza dopo i pasti, reflusso, coliche, problemi urinari o infezioni del tratto urogenitale (cistiti, candida vaginale), dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia), emicrania e brain fog, gonfiore e tensione addominale, meteorismo, crampi e cambiamenti nell'alvo (nel modo in cui si va al bagno, quindi se si soffre di diarrea o di stitichezza).
Oltre all'alvo diarroico o stitico può esserci anche l'alvo alterno, ovvero fasi di stitichezza si alternano ad altre di diarrea. "Non esistono poi solo questi due estremi: si deve esaminare, infatti, la scala di Bristol per valutare proprio la tipologia e consistenza delle feci".
Qui non esiste una risposta univoca e, anzi, in un contesto di sindrome del colon irritabile, è l'errore più grande che si possa commettere. A livello alimentare, sono state proposte nel tempo molte dietoterapie, alcune anche protocollate (come la dieta FODMAPs), ma su nessuna di queste si ha certezza dell'efficacia: dipende molto dal singolo individuo.
"È fondamentale affrontare un percorso altamente personalizzato – ci tiene a precisare la nostra esperta -; la causa dei disturbi non è mai un cibo in particolare, è dunque sbagliato parlare di cibi sì e cibi no, di alimenti che aiutano la sindrome del colon irritabile o, al contrario, di altri che la peggiorano".
Bisogna ragionare sulla fisiologia, fare un'attenta anamnesi alimentare, attuare delle strategie nutrizionali personalizzate e seguire la persona nel tempo, modificando e reintroducendo i vari alimenti in base ai feedback successivi.
Restringere il proprio parco alimenti non è mai la soluzione. "Ci sono dei contesti, per esempio, in cui la riduzione delle fibre può aiutare e altri in cui un piccolo aumento o un'ottimizzazione può invece giovare". Parliamo di due scenari opposti, ma entrambi validi.
Una soluzione a tale problematica potrebbe essere il metodo cosiddetto delle 4R. "Non si tratta di un vero e proprio protocollo" – ci tiene a precisare la dottoressa Patalano -, ma è così chiamato per i suoi quattro passaggi fondamentali:
Questi sono i quattro step che il professionista, esperto in problemi intestinali e microbiota, dovrà attuare e "cucire" sul paziente, associandoli a una migliore gestione dello stress e una corretta igiene del sonno.
Sebbene non esistano "cibi colpevoli", è altrettanto vero che scelte alimentari poco azzeccate possono contribuire nell'accentuare la sintomatologia: tra i principali responsabili troviamo caffè, tè, alimenti piccanti, speziati o ricchi di grassi, fritti e alcol; anche alcuni ortaggi potrebbero provocare gonfiore e meteorismo (broccoli, cavoli, rape, carciofi, porri, cipolle…), determinati frutti e alcuni legumi.
La formazione di gas intestinale viene favorita anche da alimenti insufflati di aria, come gelati, creme, schiuma del cappuccino, e dall'uso di chewing-gum. Le persone intolleranti al lattosio accusano problemi di transito intestinale accelerato o diarrea a seguito del consumo di latte e formaggi freschi.
Inoltre, la scelta di cibo naturale, non processato, privo di conservanti e additivi, unito a una prolungata masticazione e a una corretta distribuzione dei pasti, possono sicuramente aiutare chi soffre di IBS.
Il protocollo più efficace per questo genere di problematiche è sicuramente quello della FODMAPs, ideato nel 2001 in Australia dalla dottoressa Sue Shepherd. L'acronimo sta per "oligosaccaridi, disaccaridi e monosaccaridi fermentabili e polioli", ovvero delle forme di carboidrati che, in persone sensibili, possono creare problemi associabili alla sindrome dell'intestino irritabile.
Questi sono il lattosio (latte, formaggi freschi, yogurt), il fruttosio (frutta, in particolare pere, mele, anguria, pesche, albicocche, miele e alimenti contenenti zucchero), i fruttani (carciofi, asparagi, cicoria, barbabietola, aglio, porro, cipolle, grano, segale, prodotti raffinati), i polioli (frutta con nocciolo, funghi, dolcificanti artificiali, additivi alimentari sostituitivi dello zucchero) e i galattani (legumi).
Da eseguire esclusivamente con il supporto di un dietista competente, questo protocollo prevede una fase di eliminazione totale dei cibi FODMAPs un successivo challenge-test, quindi un reintegro graduale di ciascun gruppo di alimenti per testarne la tolleranza: sulla base dei risultati il professionista provvederà poi a stilare una lista degli alimenti tollerati, poco o per nulla tollerati, con indicazione della quantità.
Una dieta a basso contenuto di FODMAPs aiuta a diminuire i sintomi connessi a IBS e a migliorare lo stato di benessere dell'individuo; non si tratta, tuttavia, di una cura, bensì di una strategia in grado di alleviare i fastidi correlati. La low FODMAPs non è una dieta per la vita, ma sono una delle prime tappe di un percorso più lungo.