Del tonno non si butta via niente, proprio come del maiale. Anzi, complice una sempre maggiore attenzione a evitare gli sprechi, anche il quinto quarto di pesce è perfetto per essere valorizzato in ricette semplici e saporite.
Negli ultimi anni in cucina i tagli di scarto hanno subito una vera e propria rivalutazione: così come le frattaglie della carne sono tornate a essere protagoniste di ricette appetitose, allo stesso tempo anche il quinto quarto del pesce ha ritrovato il suo posto al sole. Ne sa qualcosa il tonno, specialità ittica che soprattutto nella zona del Trapanese in Sicilia e del Carlofortino in Sardegna è indissolubilmente legata alla storia economica, sociale e culturale del territorio, basti pensare alla fortuna della famiglia Florio con le sue tonnare a Favignana. E sono stati proprio i tonnarotti, i pescatori di tonno, in particolare quello rosso del Mediterraneo, i primi a valorizzare in cucina le interiora, le parti meno pregiate che andavano a completare la misera paga, ora considerate delle vere e proprie prelibatezze con cui realizzare primi piatti, carpacci, salumi e trippa. Questo pesce non a caso viene definito come “il maiale del mare”, di cui non si butta via nulla: filetto e ventresca sono i tagli più noti ma, per esempio, in Giappone si apprezzano molto gli occhi, così come sono un must le guance, tenere, da mangiare crude o leggermente scottate, perfette per il sushi.
Il cuore è una delle interiora più nobili del tonno: il muscolo viene fatto essiccare prima sotto sale marino e poi all’aria aperta, con ventilazione naturale, per una lavorazione che richiede circa una ventina di giorni. Ha un colore rosso scuro, un gusto che tende al dolce, e viene commercializzato sottovuoto. Il miglior modo per consumarlo? Tagliato a fettine sottili e condito con olio extravergine d’oliva, oppure grattugiato come tocco finale su una pastasciutta a base di pesce o su una tartina.
Il suo sapore intenso di mare e il suo facile utilizzo la rende un’alleata perfetta quando si vogliono portare in tavola ricette d’effetto, ma semplici da preparare, come un piatto di spaghetti. Stiamo parlando della bottarga, che può essere venduta in tranci sottovuoto dal colore arancio-ambrato, in vasetti sott’olio extravergine d’oliva, oppure in polvere, ideale come condimento gourmet. Questa rinomata specialità si ottiene estraendo la sacca ovarica della femmina: si pulisce con cura, si salano le uova e poi si fanno essiccare, con un procedimento simile a quello del cuore, anche se le tempistiche sono più lunghe, perché ci vogliono circa 90 giorni.
Corrispettivo maschile della bottarga, il lattume, detto anche figatello, si ottiene dalla lavorazione della sacca contenente il liquido seminale del pesce: si presenta con un colore bianco-beige lattiginoso e con un sapore marino piuttosto forte. Non si tratta di un prodotto popolare, facilmente reperibile, la sua destinazione d’uso è quella dei ristoranti, dove lo si può gustare sia in versione essiccata con sale ed erbe aromatiche, diventando un insaporitore per pastasciutte, oppure fresco, da tagliare a cubetti e lessare condendo con olio, aceto, limone, cipolla, pomodorini e maggiorana, ma anche friggere in frittelline. Inoltre, lo si può reperire conservato in olio d’oliva, così da arricchire un’insalata.
Come per i bovini, anche con lo stomaco del tonno si possono preparare piatti poveri che arrivano dalla tradizione, tipo la trippa. A Carloforte si chiama belu, mentre in Liguria è conosciuto come la ventre, al femminile: nella preparazione classica, viene salato ed essiccato al sole, oppure prelevato fresco e conservato sottovuoto. Per essere usato in cucina nel primo caso deve essere reidratato (come si fa per lo stoccafisso), e in seguito, valido per entrambe le opzioni, ha bisogno di essere bollito, ridotto a listarelle e poi cotto dolcemente in casseruola con cipolle, vino bianco, pomodori freschi e patate.
La parte frontale del tonno nasconde delle parti commestibili, come le già citate guance, ma anche il sottogola, in particolare l’esofago. In sardo, a Carloforte, si conosce con il termine gurezi o guresi, viene essiccato, poi dissalato e cucinato in umido a spezzatino con abbondante cipolla e pomodoro oppure rosolato con cipolla e vino bianco, per poi essere accompagnato con la facussa, un ortaggio tipico a metà tra un cetriolo, un melone e una zucchina molto usato in abbinamento al tonno, per esempio nella capunadda, un’insalata fresca a base di gallette di pane e pomodoro.
Un altro prodotto di scarto della tonnara è il budello: viene prima messo in salamoia, poi fatto essiccare e lavorato come se fosse una salsiccia. Il sapore è molto forte e un colore che vira al marroncino. Si porta in tavola ben cotto alla piastra, da mangiare a fette o all’interno di un’insalata.
Considerata una delle parti più economiche del tonno, la buzzonaglia si compone di quei resti di carne che rimangono attaccati alla spina dorsale e alle vertebre del pesce dopo la sfilettatura. Ha un colore scuro per la presenza di sangue, consistenza morbida e un sapore deciso. Come valorizzare questo scarto in cucina? Grazie al suo gusto intenso e la conservazione sott'olio, è consigliato per realizzare la classica pasta con il tonno, oppure come ingrediente nelle insalate. Inoltre, è una delle frattaglie con cui si realizza la ficazza, detto salame di tonno, chicca gastronomica delle zone di Trapani e Favignana.