Su Report uno speciale sulle nocciole della Tuscia, oggetto secondo l'inchiesta di un massiccio uso di sostanze chimiche che combattono i parassiti della pianta ma inquinano fortemente l'aria. Ma i produttori non ci stanno e affidano a Cookist la loro replica.
È andato in onda lunedì sera su Report un servizio incentrato sulla coltivazione di nocciole nella Tuscia viterbese. Molti di voi probabilmente avranno assistito allo speciale girato in questi territori dell’alto Lazio, caratterizzati da una grande presenza di noccioleti, colture che starebbero progressivamente soppiantando altre piantagioni come per esempio la vigna. Tutto a scapito della biodiversità di questa terra, potenzialmente molto ricca sotto l’aspetto agricolo ma tendente, sempre secondo la versione del programma di Rai 3, verso una sostanziale quanto massiccia monocoltura.
“Un ettaro di nocciole è più redditizio di un ettaro di vite” si è detto durante la trasmissione, riconducendo tale fenomeno di appiattimento della biodiversità a un fattore meramente economico. Sono queste le zone, infatti, in cui una grande azienda di dolci (la maggiore in Italia) si rifornisce (attraverso la cooperativa locale Assofrutti) per la creazione dei suoi prodotti, tra i quali la crema spalmabile più famosa di tutte.
Per soddisfare la grande richiesta di nocciole gli agricoltori locali farebbero uso quasi incontrollato di sostanze chimiche, tra fertilizzanti, fitofarmaci e diserbanti, per garantire la massima produttività delle piante e, soprattutto, combattere la cimice. È lei la principale nemica delle nocciole, in grado con la sua presenza di alternarne il sapore, rendendo il frutto praticamente immangiabile.
Proprio la presenza della cimice assume un ruolo centrale all’interno dell’inchiesta di Report: più le nocchie (come sono chiamate da queste parti) sono attaccate dagli insetti, minore è il prezzo proposto dalle aziende acquirenti e, per garantire un prodotto “intatto” si fa – o per mantenere il beneficio del dubbio, si farebbe – largo uso di sostanze chimiche in grado di combattere il parassita.
L’equazione illustrata da Report è (o sarebbe) molto semplice: più cimici significa minore guadagno per i produttori, più chimica si trasforma in presenza ridotta dell’insetto e sostanzialmente in un incasso maggiore in fase di vendita. Il tutto a scapito, ancora secondo Report, anche della qualità dell’aria e delle acque del territorio sempre più inquinate. In trasmissione, addirittura, interviene una coppia "costretta" a uscire di casa indossando le maschere anti gas, per filtrare l'aria respirata.
Esagerazione o realtà dei fatti? È interamente veritiero il racconto di Report? Andando avanti nell'articolo scopriremo come anche Ferrero, che si è vista negare a settembre possibilità di replica, abbia voluto rispondere a Report a seguito di un sollecito ricevuto a pochi giorni dalla messa in onda del servizio.
Già nelle ore immediatamente precedenti la messa in onda della puntata non pochi produttori della zona avevano manifestato, anche tramite testate locali, il loro disappunto per quanto emerge dalla trasmissione di Ranucci. “In questa puntata viene offerta ai telespettatori italiani una immagine distorta e offensiva del nostro territorio”, il grido degli imprenditori del Comitato No Imu Agricola. “Non è più tollerabile accettare una interpretazione così deleteria e falsa della realtà” hanno fatto sapere con rabbia già nel primo pomeriggio di lunedì. Noi abbiamo raggiunto uno di questi imprenditori, Luca Di Piero dell’omonima azienda agricola, per offrire (rimanendo sempre super partes) possibilità di replica dopo la puntata (visibile on demand sul sito Raiplay).
“Ci hanno trattato come delinquenti, e parlo a nome dei produttori del comitato di cui faccio parte. Su Report è stata distorta la realtà dei fatti, capovolta per di più senza la possibilità di una replica adeguata a quanto detto” è un fiume in piena Luca Di Piero, esponente anche del Comitato No Imu Agricola che, assieme ad altre associazioni di produttori, rappresenta oltre il 90% delle aziende agricole locali (comprese le biologiche). La denuncia non solo per la cattiva informazione effettuata dal servizio di Rai 3, ma anche per un’analisi fin troppo superficiale e parziale della questione noccioleti, cimici e trattamenti in campo.
Una guerra, ci dice Luca, quasi voluta dai produttori appartenenti al locale Bio-distretto (composto da 12 aziende che coltivano in bio), in contrapposizione al Comitato No Imu e le associazioni di cui fa parte la quasi totalità del resto delle aziende, convenzionali e non. “In tutto ciò a perdere di credibilità non è solo il brand legato alla nocciola viterbese, ma anche il nostro territorio”. Da qui lo sfogo di Luca contro il servizio di Report: “Innanzi tutto non è vero, partendo dall’inizio dell'inchiesta, che una sola nocciola cimiciata riesce ad alterare il sapore di un dolce, o comunque di una preparazione. Già questo è inesatto, come lo sono tante altre informazioni emerse dalla puntata”. Snocciolate (passateci il termine) e analizzate riguardando lo speciale.
“La vendita del biologico nei supermercati o non esiste o esiste solamente in piccolissima percentuale: sintomo che le famiglie ancora non cercano questi tipi di prodotti, perché troppo cari”. Luca sostiene come (al giorno d’oggi) coltivare in biologico non sia redditizio come farlo in convenzionale, e non garantisce la stessa resa qualitativa. Se parliamo di fonte di reddito, insomma, il bio non sarebbe ancora la strada da percorrere: è il mercato che richiederebbe il convenzionale.
“Noi agricoltori però – specifica – non siamo contro il biologico, io stesso lo sono stato anni fa, ma oggi non conviene perché la percentuale di cimiciato attuando questo metodo è ancora troppo alta, tra il 20-40%, tutta merce destinata a essere scartata. Quello emerso da Report, che addirittura attuando il biologico si contrasta l’intervento degli insetti sul frutto, non è quindi assolutamente vero, anzi. È impossibile non avere nocciole danneggiate dalle cimici coltivando in biologico, è un dato di fatto appurato da più analisi”.
Luca rincara la dose: se il biologico venisse effettuato senza le dovute accortezze il rischio per la salute sarebbe molto alto. “Perché si vanno a creare delle muffe con tossine pericolosissime per l’uomo, addirittura cancerogene. Ci sono produttori che attuano il bio solo per ricevere i contributi e senza curare a dovere le coltivazioni, dando vita a prodotti scadenti. Il biologico, insomma, non è sinonimo assoluto di maggiore qualità rispetto al convenzionale. Bisogna saperlo fare”.
"Io seguo il cosiddetto metodo convenzionale con appena due trattamenti a base di insetticida anti cimice e, nonostante questo, nell'ultima raccolta ho avuto il 6% di prodotto danneggiato”. Percentuale, come abbiamo visto, nettamente superiore quando si parla di coltivazione biologica.
“Guardando Report sembra che qui ogni giorno effettuiamo operazioni velenose, ma non è la realtà dei fatti. I trattamenti vengono compiuti nel periodo primaverile, da maggio a inizio luglio, il resto dell’anno il campo non lo tocchiamo proprio”. Il minimo indispensabile, insomma, sostiene Luca. "I macchinari utilizzati, acquistabili tramite contributi a fondo perduto dalle grandi aziende – continua – creano una sorta di carica elettrostatica che riduce la dispersione di sostanze nell'aria, limitandola tra i noccioli".
“Noi agricoltori non siamo dei pazzi bramosi di avvelenare i terreni: paghiamo inoltre tecnici e agronomi, in primavera, per verificare settimanalmente la percentuale di cimiciato e la presenza di eventuali tossine, da qui ci regoliamo con eventuali interventi con principi attivi; usati solo quando necessario. Non stiamo parlando del metodo convenzionale usato, per esempio, 40 anni fa, decisamente più invasivo e inquinante. Questo su Report non viene detto”. La presenza di agricoltori “sopra le righe”, che abusano di trattamenti, Luca non la esclude, ma allo stesso tempo rivela come vengano combattuti ed eventualmente segnalati dagli stessi colleghi.
Parte dell'inchiesta di Report è incentrata sull'uso di sostanze chimiche tra i campi, responsabili dell'inquinamento dell'aria e dell'acqua. Luca Di Piero ci risponde anche su questo punto: "Il diserbante oggi non lo usa più nessuno, anche perché piante di 10-15 anni di età con la loro chioma non fanno passare nemmeno il sole. L’erba non cresce di suo, non c’è bisogno di ricorrere a sostanze chimiche. Su Report si parla anche di glifosate, non si utilizza nemmeno questo, almeno nei noccioleti nell’area tra Nepi e Civita Castellana dove opero io, e abbiamo analisi a dimostrazione. Nelle colture di cereali, invece, può essere utilizzato; ma comunque mesi prima rispetto al raccolto”.
Inoltre, ci rivela Luca, un'analisi effettuata da Legambiente su tutto il viterbese ha appurato come nessun comune abbia depuratori idrici funzionanti: "Quindi sono inquinate non solo le acque di Nepi, Civita Castellana o dei paesi con i noccioleti, ma praticamente di tutta la provincia". Le acque di cui si parla su Report, inoltre, non sarebbero contaminate dall’utilizzo di sostanze chimiche sulle coltivazioni, ma le cause andrebbero ricercate nei vicini insediamenti civili. “Dalle nostre analisi sono emerse sostanze riconducibili allo spray anti zanzare, detersivi, saponi, anti alghe per piscine. Tutto ciò è di uso comune nelle case, non certo nei campi”. Incolpare gli agricoltori, insomma, è un'assurdità: il pensiero di Luca e dei membri dell'Associazione di cui fa parte.
E i due intervistati intervenuti indossando la maschera anti gas, per filtrare l'aria respirata? "È solamente una scena costruita ad arte. E il fatto che siano solamente loro a portare quelle maschere nell'intero territorio la dice lunga sulla questione. A tutti gli altri piace respirare l’aria inquinata? O forse si tratta solo di un’esagerazione?”, dice Luca sorridendo. C'è da specificare poi l’esistenza, in passato come oggi, di varie industrie sul territorio che sicuramente non favoriscono la salubrità dell’aria.
“Ricondurre tutto alle coltivazioni di nocciole è esagerato. Anche perché, ripeto, i trattamenti sulle piante interessano un arco di tempo limitato, da maggio agli inizi di luglio. È impossibile arrivare a inquinare l’aria in così poco tempo. Se fosse così, tra l’altro, tutti gli agricoltori dovrebbero morire avvelenati nei campi nel giro di pochi anni”.
Per di più, ci fa notare il produttore laziale, c’è da tenere in considerazione che i noccioleti siano quasi (per dimensioni e numero di piante) dei mini boschi, artefici della trasformazione di anidride carbonica in ossigeno. Questi alberi hanno infatti un importante potenziale di sequestro di CO2 e secondo uno studio dell'Università di Pavia i noccioleti, solo nel Lazio e in Campania, riescono a catturare l'equivalente di 2,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno.
“Noi agricoltori – conclude l'imprenditore agricolo cercando di smorzare i toni – siamo i primi a voler delle regole chiare e le seguiremmo più che volentieri. Devono però essere fissati dei paletti precisi per operare correttamente. Sarei un pazzo a effettuare dei trattamenti eccessivi, deleteri per i miei prodotti, perché questi io li vendo e sono la mia principale fonte di reddito. Lavorare in modo scorretto sarebbe un danno soprattutto per me. Le analisi, in primo luogo, siamo noi produttori a richiederle ed effettuarle e da tempo ormai invitiamo Stato e Istituzioni a condurre uno studio serio per capire come contrastare la cimice. A oggi purtroppo mancano analisi approfondite sul problema. Noi del Comitato No Imu, da tre anni, chiediamo di trovare una soluzione biologica; sarebbe adottata da tutti gli agricoltori".
Il rischio che il viterbese ne esca quasi con le ossa rotte da questa inchiesta ci sembra reale: “È assolutamente così – dice Luca – l’immagine ne viene fortemente danneggiata e, con lei, tutti noi operatori all’interno del territorio, compresi ristoratori e addetti al settore turistico. Siamo molto delusi: è stata sicuramente una pubblicità negativa per tutti, soprattutto perché il messaggio è stato volutamente veicolato e distorto”.
In chiusura di inchiesta Sigfrido Ranucci ha spiegato ai telespettatori, con rammarico, come Ferrero avesse rifiutato di apparire direttamente nell’inchiesta, non accogliendo l'invito a un confronto bilaterale.
La ditta dolciaria, stando alla versione di Report, si sarebbe limitata a inviare una mail alla produzione del programma. Mail letta però in modo parziale (e probabilmente non esaustivo) dal presentatore. “Peccato che non cerchino mai un’intervista dove poter scambiare in libertà due chiacchiere e i punti di vista” dice Ranucci, informando infine della pubblicazione del documento sul sito di Report.
Leggendo però per intero la risposta di Ferrero si capisce come l’azienda avesse dato già ad agosto la propria disponibilità a intervenire per far valere le sue ragioni, ricevendo un secco “no” da parte della produzione di Rai 3. Un urgente sollecito è stato ricevuto da Ferrero solo successivamente, a ridosso della messa in onda dell’inchiesta, con richiesta di risposta entro 24 ore. Giocando, evidentemente, sul poco preavviso e la conseguente impossibilità di organizzare un confronto adeguato ed esaustivo.
“Vi ringraziamo per averci dato modo di rispondere a delle domande in maniera competente, come vi avevamo richiesto il 27 agosto scorso – si legge nella replica di Ferrero – Ci avevate risposto il 14 settembre che non eravate interessati alle nostre risposte. Siamo rimasti, quindi, sorpresi di riceverle l’11 novembre, con una necessità di risposta nelle 24 ore”.
Questo il primo punto controverso, seguito poi da una “reprimenda” dell’azienda piemontese nei confronti di Report, successiva alla visione dell’anteprima del servizio. Il pensiero d Ferrero è lo stesso del produttore intervenuto in questo nostro approfondimento, e non fa che confermare le inesattezze emerse dall’inchiesta. “Abbiamo avuto modo di vedere la Vostra anteprima e purtroppo se il servizio di lunedì prossimo avrà i contenuti di quanto già trasmesso, l’informazione che darete ai vostri ascoltatori sulla coltivazione della nocciola non sarà né esaustiva, né completa, né obiettiva. In tre minuti abbiamo notato molte imprecisioni, per essere benevoli”. Parti di mail che, in trasmissione, non sono state lette agli spettatori, confermando i timori espressi dall’azienda nella sua risposta (“…nella consapevolezza che non leggerete mai l’intero documento ai vostri ascoltatori”).
“… le immagini forzate che non rappresentano correttamente il lavoro di migliaia di famiglie del viterbese – continua Ferrero a difesa dei produttori del territorio– che coltivano un prodotto agricolo di grande qualità, un’eccellenza italiana e che generano un valore condiviso nella comunità locale, diretto e indiretto, di oltre 90 milioni di €”.
Questi i passaggi salienti ignorati in trasmissione che abbiamo voluto mettere in evidenza, per permettere ai lettori di potersi fare un'idea completa della controversa questione. L’intera mail è comunque visibile sul sito ufficiale di Report.