Non tutto il sushi è giapponese: tutto il sushi col salmone, i California rolls o gli inarizushi ad esempio sono occidentali e non si trovano in Giappone.
Non tutto il sushi che mangiamo al ristorante è davvero giapponese. Un esempio pratico? Tutto ciò che concerne il salmone ha discendenza scandinava e non nipponica. Altro celebre esempio potrebbe essere l'uramaki, nato in America. In pratica abbiamo vissuto tutti questi anni nella menzogna, ma è il momento di aprire gli occhi: vediamo le più famose tipologie di sushi nate fuori dal Sol Levante.
Ci sono tre varianti molto celebri di sushi, mangiate in tutto il mondo, che non hanno alcun legame diretto col Giappone. Delle connessioni ci sono ma sempre molto labili, proprio per questo motivo se ti trovi a Tokyo o ad Osaka, non troverai mai queste versioni di sushi "tradizionale" che tanto tradizionale non è.
Se vai in un grande ristorante giapponese dopo tanti anni di all you can eat alcune cose ti sorprenderanno: in primis la modalità di servizio, con lo chef che chiede di mangiare con le mani secondo il galateo; la seconda cosa è sicuramente l'assenza del salmone. Ebbene sì, il salmone che noi associamo sempre all'idea del sushi in realtà non è presente nei menu tradizionali. La motivazione è in realtà molto semplice: il salmone che mangiamo più comunemente, il "Salmo salar", non vive in Giappone, si trova solo nell'oceano Atlantico. A dirla tutta la motivazione sarebbe anche un'altra: il salmone che arriva sulle nostre tavole è quasi tutto allevato e questo tipo di allevamenti crea incommensurabili danni all'ambiente. Difficilmente un ristorante di alta qualità si azzarderebbe ad acquistare questa tipologia di pesce.
Ma quindi da dove arriva il sushi col salmone? Da una geniale quanto estenuante campagna di marketing, molto simile a quella che ha portato l'aranciata sulle tavole di tutto il mondo a colazione. Nel 1985 la Norvegia si trova di fronte a una grave crisi dell'export e questo crea un grosso problema agli allevatori di salmoni perché hanno troppi animali che non riescono "a smaltire". Interviene il governo norvegese che assume un importante responsabile marketing, Bjorn Eirik Olsen, per tentare di risolvere la situazione. Secondo Japanesetime Olsen si sarebbe recato a Tokyo per tentare di aprire un canale commerciale col Giappone, intuendo il potenziale della loro cucina e l'ascendente che avrebbero avuto sul mondo. Non l'avesse mai fatto: i giapponesi inorridiscono e il povero Olsen ci mette dieci anni per convincerli a inserire il "salmon sushi" nel loro menu. In realtà i nipponici non hanno tutti i torti: in Giappone c'è una tipologia di salmone ma, fino agli anni '90, era infestata dai parassiti e poteva essere mangiata solo dopo una lunga cottura. Puoi immaginare la faccia di un giapponese nel momento in cui un tizio che viene dall'altra parte del mondo gli vuole proporre del pesce, che per loro è tossico, da mangiare crudo su una manciata di riso.
Olsen racconta a Npr i primi anni in Giappone, tutta l'avversione di un popolo che è tutt'oggi abbastanza chiuso verso le novità dell'Occidente: "Mi dicevano che era impossibile, che i giapponesi non avrebbero mai mangiato un roll di salmone perché non aveva un buon sapore. Tra l'altro il salmone del Pacifico ha un colore molto più intenso rispetto al nostro, ha un odore più pungente e una testa più massiccia: non solo gli sembrava qualcosa di orrendo da mangiare, ma ritenevano anche che fosse una sorta di copia sbiadita del salmone pescato sulle loro coste. Una tragedia".
Più passa il tempo più la situazione in Norvegia si fa disperata: Olsen prova un'ultima mossa e si reca alla Nishi Rei, una delle più grandi aziende di pesce giapponese. Gli vende 5.000 tonnellate di salmone a prezzo scontatissimo, in cambio di una particolare clausola: questo prodotto può essere venduto ai negozi di alimentari e ai ristoranti, ma devono farci il sushi. La Nishi Rei sguinzaglia i propri venditori, giapponesi fino al midollo, così i ristoratori cominciano a fidarsi di questo pesce esotico e lo mettono nei propri menu.
Ancora oggi è difficile trovare il salmone "classico" nei ristoranti giapponesi ma, dal 2000 in poi, i salmoni del Pacifico risultano migliorati dal punto di vista qualitativo. Grazie all'intuizione di Olsen la Norvegia risolve un problema che stava diventando ingestibile: dagli anni '90 in poi il salmon sushi arriva sulle tavole di tutto il mondo. I norvegesi perdono il difficile cliente a Est ma ne guadagnano centinaia nel resto del mondo.
Lo chiamiamo uramaki, ovvero rotolo "dentro e fuori", ma in realtà il suo nome è Caliornia roll. Secondo la storia più accreditata sarebbe nato nel 1960 dalla mente di Ichiro Mashita, cuoco di sushi al Tokyo Kaikan di Little Tokyo a Los Angeles, per necessità. Agli americani il rotolino nero non fa venir fame e sono mentalmente bloccati sull'alga, non la vogliono mangiare. L'idea geniale dello chef gli fa "capovolgere" l'hosomaki e mettere fuori ciò che c'è dentro e dentro ciò che c'è fuori.
L'idea funziona e, sempre Mashita, inventa ciò che oggi riteniamo essere il California roll tradizionale, con cetriolo, avocado e polpa di granchio: la crisi si fa sentire, lui è solo un immigrato spesso soggetto a razzismo (Pearl Harbor è ancora una ferita fresca negli anni '60), e non riesce più a sostenere il ristorante acquistando il costoso tonno. Lo sostituisce con i surimi e con le due verdure per un prodotto fresco, che avrebbe fatto tendenza.
L'invenzione di Ichiro Mashita conquista tutta l'America, contribuendo all'affievolirsi della diffidenza verso il Giappone. Il risultato è anche il fiorire delle preparazioni: dopo poco arriva una versione con anguilla, avocado e semi tostati, oppure quella con la tempura di gambero infilata nel rotolo, o ancora il più celebre Philadelphia Roll, a base di salmone, avocado e crema di formaggio. Tutto questo è impossibile da trovare nei ristoranti tradizionali giapponesi perché la base filosofica del sushi e della cucina nipponica è la semplicità e la pulizia dei gusti. La domanda sorge spontanea: se loro possono accettare l'avocado o il formaggio col pesce, possibile che noi non riusciamo ad accettare una pizza con l'ananas?
Tutti hanno assaggiato il poke, lo ordiniamo in pausa pranzo, nelle cene con gli amici o con la dolce metà. Siamo venuti a contatto con la cultura delle Hawaii ma in realtà c'è un altro piatto "orientaleggiante" che gli hawaiani hanno esportato per il mondo: il cone sushi. Questa tipologia di sushi non è famosissima nel nostro Paese ma lo è nel resto d'Europa. Si tratta di una tasca di tofu fritta, riempita con riso, fagiolini, carote e qualche erba aromatica.
Questa tipologia di sushi americano è in realtà una variante dell'inarizushi, una delle più antiche ricette giapponesi arrivate fino a noi: in patria hanno l'aspetto dei ravioli e questi rotolini sono un omaggio alla dea Inari, protettrice della fertilità, del riso, dell'agricoltura, delle volpi, dell'industria e del successo terreno. A differenza del cone sushi (grosso e dolce), l'inarizushi è più piccolo e salato.