Cibo e agricoltura come strumento di integrazione, di salvaguardia dell'ambiente, di tutela della fauna: questo era il lavoro di Agitu Idea Gudeta, pastora quasi 43enne che viveva in Trentino e si occupava di allevare la capra mochena, razza indigena della Valle dei Mocheni, quasi estinta fino a pochi anni fa. Non vogliamo raccontare com'è finita la sua vita, piuttosto raccontarvi chi era Agitu e quali erano i suoi sogni.
La pastora delle capre felici: così la chiamavano, Agitu Idea Gudeta, una quasi 43enne etiope insediatasi nelle Valli Trentine, decisa a salvaguardare quel territorio. Una storia meravigliosa che parlava di tenacia, speranza e voglia di integrarsi, ma soprattutto dell'amore per il cibo e per l'agricoltura. Non vi racconteremo come è morta Agitu Idea Gudeta, ma chi era: perché il suo esempio non sia vano e tutti ricordino quanta forza possono sprigionare i nostri sogni, quanta energia collettiva si può creare con un progetto incentrato sul buon cibo, quanta solidarietà può scatenare il sostegno a un ideale.
Era scappata dall'Etiopia molto giovane, per sfuggire al land grabbing, quel fenomeno che vede l'acquisizione di grandi estensioni agrarie da parte di imprese transnazionali, governi o soggetti privati, sottraendole ai contadini locali. Era arrivata in Italia con un sogno e tanta volontà: si era laureata in Sociologia all'università di Trento, barcamenandosi fra lavoretti vari per mantenersi agli studi.
Il suo sogno l'aveva costruito con le sue mani: si era trasferita fra le Alpi trentine decisa a far rivivere una tradizione antichissima, quella dell‘allevamento delle capre monchene, a rischio di estinzione da decenni. Era bastato un capannone un po' diroccato in comodato d'uso e 15 capre per partire: in poco tempo, grazie al suo lavoro con le capre e ai suoi formaggi, era diventata un volto noto non solo a livello locale, ma in tutta Italia. Grazie anche al sorriso, alla voglia di fare, all'attivismo che la faceva partecipare al movimento agricolo con una rinnovata energia: una pastora sorridente e felice, innamorata di un lavoro tanto antico quanto prezioso.
Allevare la capra mochena, per lei, significava anche integrarsi nel vissuto pastorale di un territorio ricco di tradizioni come quello trentino. La sua dedizione al lavoro e le sue produzioni di qualità le avevano fatto guadagnare l'ammirazione degli abitanti di quelle valli, cosa non scontata per una donna etiope così folle da dedicarsi a uno dei mestieri più faticosi del mondo. La vita in montagna, però, non l'aveva indurita, come si potrebbe immaginare: l'aveva resa ancora più aperta alle relazioni, agli scambi culturali, al dialogo usato per migliorare la qualità di questo mestiere.
Aveva rifiutato ogni proposta politica, Agitu, perchè il suo sogno era tutta la sua vita: lavorava il latte, tutelava il territorio con le sue capre, malgrado alcune lamentele di qualche vicino contadino a cui le capre avevano "invaso" il terreno, produceva formaggi. E aveva ancora un obiettivo ben delineato, da sviluppare a breve: aprire un agriturismo e mettere su un progetto di accoglienza turistica, per continuare a valorizzare la bellezza e il patrimonio inestimabile delle Alpi trentine. E ce l'avrebbe fatta, se la sua vita non fosse stata improvvisamente spezzata.
Cosa ci insegna la storia di Agitu? Per primo che nessun obiettivo può essere mai troppo lontano: si può attraversare un continente intero, con la forza dei propri sogni; secondo che l'agricoltura e la produzione di cibo possono e devono essere uno strumento d'integrazione ed emancipazione dalla propria condizione, oltre che un lavoro importantissimo per la tutela dell'ambiente; terzo, che non conta da dove vieni, quale sia il colore della tua pelle, o le tue abitudini: la passione per il proprio lavoro è in grado di superare qualsiasi ostacolo. Perché se si stringono in mano dei sogni così, nessuna vetta, nemmeno quelle trentine, sembra irraggiungibile.