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22 Dicembre 2022 11:00

Il simbolismo dietro il cenone della Vigilia a Napoli: a ogni piatto un esatto significato

Il Natale a Napoli ha un sapore molto speciale perché si rifà a gusti e tradizioni molto antiche, spesso più antiche del Natale stesso in quanto festività cristiana.

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Il cenone della Vigilia di Natale è uno dei momenti topici delle famiglie italiane: ci si riunisce, si cucina insieme, si gustano le specialità locali. Il cenone del Sud è spesso oggetto di ironie per la lungaggine e la quantità di portate che prevede ma devi sapere che hanno tutte un significato. In particolare il cenone napoletano è intriso di simbologia, gesti rituali, abitudini e cibi comandati. Le chiamano "devozioni" e sono in realtà giunte fino a noi come antichissime tradizioni sfociate in maniera del tutto arbitraria nel Cristianesimo. Vediamo i significati dietro il cenone della Vigilia di Natale a Napoli perché ogni portata ha un suo preciso ruolo nella vita dei partenopei credenti.

I baccanali Greci diventati simbologia Cristiana

La cena del 24 dicembre conserva ancora oggi un valore simbolico fortissimo per tutti i napoletani. Ogni piatto è legato a un gesto rituale, a un'usanza antichissima, ed è per questo che tutti cucinano le stesse cose. Non importa che tu le voglia mangiare oppure no, vanno fatte, anche solo in quantità minima: "è per devozione". Questa frase ripetuta come un mantra può sembrare gettata lì, senza significato, ma un significato ce l'ha eccome e lo spiega Marino Niola in tantissimi suoi scritti.

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L'antropologo che dirige il MedEatResearch al Suor Orsola Benincasa è uno dei massimi esperti delle tradizioni italiane e, come scrive su Repubblica, "il Cristianesimo è anche una religione del cibo e l’abbondanza è sempre servita a santificare le feste". Il momento della Vigilia di Natale è particolarmente sentito e il primo mantra da rispettare per il Cristianesimo è l'assoluto divieto di carne mentre si aspetta la nascita di Gesù Cristo. Qui dobbiamo fare un passo indietro e rovinare l'atmosfera sacrale che si va a creare in questi momenti: come ci insegna Marvin Harris, altro antropologo di fama mondiale, quasi tutti i divieti religiosi riferiti al cibo prendono spunto dalla quotidianità. La proibizione sulla carne nell'ultimo giorno dell'Avvento diventa una forma di rispetto per la nascita della divinità, così come a Pasqua lo è per la sua morte, almeno secondo la versione "ufficiale" ma in realtà le cose stanno diversamente. Un tempo il pesce era il cibo povero per eccellenza, quello alla portata di tutti, a differenza della carne consumata solo nelle ricorrenze speciali. La dottrina ha così preso la palla al balzo e ha "giustificato" la scelta dando un significato profondo a qualcosa che in realtà di profondo non ha nulla. La questione è molto delicata perché ogni divieto è inventato per le stesse ragioni: pensa che nel Medioevo la Chiesta arriva a ordinare il digiuno come penitenza, non solo alla vigilia delle feste ma per almeno due giorni a settimana per tutto l'anno. La vita nel Medioevo è davvero dura.

In Campania e un po' ovunque nel Mezzogiorno ancora oggi si rispetta la tradizione del pesce ed è per questo che tutto il (lunghissimo) menu ha un unico filo conduttore, anzi due: pesce e verdure. L'antipasto comincia con la pizza di scarole che nasconde olive, pinoli e a scelta anche acciughe e uvetta: solitamente si mangia a pranzo questa portata e la sera si tagliuzzano i resti, insieme alla pizza fritta, una tradizione che è però più del centro storico partenopeo che della città tutta. Si prosegue con alici marinate, insalata di polpo e/o salmone marinato, questo arrivato solo recentemente sulle tavole campane. Il primo piatto è immutato e immutabile nel tempo: spaghetti con le vongole. Qui l'unico dilemma è tra chi preferisce la pasta lasciata bianca e chi macchiata con qualche pomodorino qua e là. Tutta questa prima parte ha fortissimi radici pre cristiane ed è legata al culto dei Saturnali romani, una serie di discinti festeggiamenti che va dal 13 al 23 dicembre. Durante i Saturnali si onorano le divinità e tra le protagoniste troviamo Marìca, una ninfa strettamente legata al territorio campano che ricorda molto da vicino la dea Diana, altra grande protagonista dei Saturnali e protettrice delle selve e degli animali selvatici.

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Il secondo per la tradizione è un pesce "con le pinne", molti preferiscono la spigola ma la credenza partenopea verte sull'orata (al cartoccio o all'acqua pazza). In questo caso l'usanza prende a piene mani dal Cristianesimo: il termine "orata" deriva dalla striscia color oro che il pesce ha tra gli occhi ma al plurale, "orate", è la traduzione latina per "pregate". Il simbolo segreto dei primi cristiani è il pesce perché la parola greca scritta in maiuscolo, ΙΧΘΥΣ, forma l'acronimo Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr, ovvero "Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore".

I cristiani perseguitati cominciano a disegnare dei pesci, molto simili alle orate, per indicare le catacombe alla propria comunità e fare in modo che solo gli altri cristiani sapessero quali erano i tumuli dei defunti della propria fede. Non paghi del pesce al cartoccio c'è il pesce fritto, con calamari, totani, gamberoni e baccalà senza dimenticare il capitone.  Questo particolare prodotto ittico, dall'aspetto così sinistro, è l'unico piatto della Vigilia nato proprio per simboleggiare una paura dei cristiani: entrato a far parte del "cenone canonico" in epoca medioevale, il capitone raffigura il serpente, il simbolo del male per la Bibbia.  I religiosi lo uccidono rigorosamente alla vigilia, prima della nascita del Bambin Gesù, e ne mangiano le carni per esorcizzare le paure, per sconfiggere in maniera figurativa il Diavolo, guadagnandosi un periodo di pace e prosperità in vista del nuovo anno. Se parliamo di usanze nate nel Medioevo dobbiamo sempre tenere a mente delle motivazioni pratiche: la pesca del capitone ha il suo punto massimo in inverno, quando diventa particolarmente grasso e quando ci sono pochi altri alimenti a disposizione. Per il Vaticano è un assist troppo succulento per non spingerlo in rete: un alimento economico, facile da trovare, da cucinare e che somigli pure a un serpente, è un gol facile.

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Per i contorni del cenone della Vigilia torniamo nell'antica Roma: la regina dei contorni è l'insalata di rinforzo con cavolo bollito, acciughe, olive e papaccelle, seguiti dai broccoli di Natale, un broccoletto precoce che matura verso dicembre e che va bollito prima di essere ripassato con aglio, olio e peperoncino, servito poi con qualche goccia di limone. Tutti questi contorni sono un omaggio a Diana, ancora lei, e a Pomona, una dea etrusca trasportata nel mondo romano. Prima del dessert c'è ‘o spassatiemp', cantato anche dalla "Rumba de' scugnizzi", una varietà di frutta secca con fichi, noci, mandorle, pistacchi, nocciole, arachidi: le bucce vengono usate per segnare i numeri sulla cartella della tombola e, con l'aggiunta dei datteri, ritroviamo tutti questi elementi, letteralmente identici, nei banchetti dei Saturnali di cui abbiamo parlato prima.

Caso strano: i dolci non hanno alcuna connessione spirituale ma religiosa sì, anche piuttosto pratica. La maggior parte dei dolci del Natale napoletano sono stati inventati nei monasteri:

  • la frutta della Martorana, inventata nel convento palermitano all'interno di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo;
  • i roccocò per opera delle monache del Real Convento della Maddalena a Napoli;
  • i raffiuoli grazie alle monache benedettine del monastero di San Gregorio Armeno a Napoli;
  • i susamielli preparati dalle suore clarisse nel convento di Santa Maria della Sapienza a Sorrento.

Solo struffoli e mustacciuoli si salvano da questa ondata di monasteri e conventi perché molto più antichi della stessa cristianità: gli struffoli nati ai tempi della Magna Grecia, i mustacciuoli con la dominazione Romana.

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Quello che i piatti non dicono
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