Sapevate che un piccolo borgo tra le montagne dell'Umbria cela, e custodisce gelosamente, una pratica centenaria, che continua ad arricchire la letteratura gastronomica del nostro Paese? La norcineria è l'arte di lavorare e conservare le carni di maiale, con il norcino attore protagonista di una tradizione che si ripete da secoli. Norcia, comune nel cuore degli Appennini, è culla di un mestiere che si è diffuso poi in buona parte del Centro Italia.
Possiamo assicurarvi che, nella realizzazione di questo articolo, non è stato maltrattato nessun maiale. Per l'argomento e la tematica affrontata, però, non è consigliabile la lettura a vegani o vegetariani irriducibili, a meno che non siano curiosi di approfondire uno degli affascinanti capitoli del libro della gastronomia italiana. Per tutti gli amanti della carne, dei salumi e della porchetta (ma anche della storia del cibo), invece, ci sarà di che divertirsi scoprendo il mondo, e la tradizione, che si cela dietro la norcineria, arte ancor prima che mestiere che chissà quanti prodotti ha portato sulle vostre tavole.
Stando al dizionario online, con il termine norcineria si indica un locale destinato alla lavorazione e alla vendita della carne suina. Limitarci a questa definizione sarebbe però riduttivo, in quanto dietro a questo nome c’è molto di più. C’è una cultura, una tradizione consolidatasi nel corso dei secoli che ancora oggi specialmente nell’Italia centrale (partendo da Norcia, piccolo centro da cui questa pratica trae origine) esiste e resiste grazie ai norcini, artigiani che si occupano della lavorazione della carne del maiale. Il tutto rispettando ancora antichissimi saperi e trasformando le carni in autentiche gemme gastronomiche.
Quello della norcineria e dei norcini è uno dei sempre più rari esempi in cui l’espressione come una volta rimane valida anche ai nostri giorni, sopravvivendo al tempo che scorre e a una società sempre più frenetica e interconnessa, che sembra non avere più tempo e spazio da dedicare alle tradizioni.
Una società fatta in larga parte da produzione industriale, di massa e da prodotti standardizzati, ma in cui rimangono in piedi alcuni preziosi baluardi che lungo li Stivale mantengono la loro essenza storica, legando con un lungo ma sottile filo rosso tempi remoti. È il caso, per esempio, delle masserie che in Puglia producono la ricotta forte, dei margari che ancora oggi, sulle Alpi e non solo, si dedicano alla transumanza e alla cura del bestiame. E delle norcinerie appunto che, in una piccola porzione di terra del Centro Italia, tramandano da generazioni il culto e la cultura di salumi e alimenti che rispecchiano e identificano il territorio di appartenenza. Dove, proprio come una volta, vengono prodotte (e oggi vendute) merci che arricchiscono la letteratura gastronomica del nostro Paese, specchi di usanze gelosamente conservate da ormai pochi custodi che, in questo caso, si chiamano norcini.
Nel cuore dell'Italia, infranto dal terremoto del 2016, sopravvive una tradizione, una pratica che qui resiste da centinaia di anni e che il sisma non poteva spazzare via. Norcineria è, probabilmente, la perfetta sintesi del detto del maiale non si butta via niente e laddove un suino viene ucciso e lavorato, lì si rinnova e mantiene viva questa antica arte. Non si chiama così solo il luogo fisico, la bottega, in cui vengono vendute le carni suine, ma è anche (se non soprattutto) la pratica ultracentenaria che comprende tutto il processo di lavorazione del maiale, dalla sua uccisione fino alla creazione di salumi unici e peculiari. Un termine che incarna un forte valore sociale, popolare, legato a un territorio immerso tra le vette dei monti Sibillini, ma che si estende anche nelle regioni limitrofe. Norcineria non è solo una professione, ma un’autentica arte, e i norcini ne sono i rappresentanti e custodi.
La lavorazione del maiale in Umbria, e in particolar modo nel territorio della Valnerina, ha radici profondissime nel tempo. Nonostante l'origine di questa pratica non sia di precisa individuazione, leggenda vuole che in queste zone già i Sabini usassero lavorare la carne suina, sfruttando a loro favore la conformazione del territorio per un ideale mantenimento delle carni. Un territorio dunque unico, che dà vita a prodotti dal valore inestimabile.
Norcia e i comuni limitrofi sono gioielli incastonati tra le vette dei monti Sibillini (il Vettore, alto 2476 metri, è poco distante da qui) e le montagne, che impediscono l’afflusso di venti umidi dal mare (in linea d’aria l’Adriatico è lontano 80 chilometri) evitando così di compromettere la conservazione dei prodotti. In una zona in cui per la morfologia non favorevole l’agricoltura non sarebbe stata possibile, date le numerose zone boschive, l’uomo ha optato per la pastorizia e l’allevamento di suini e ovini, con conseguente perfezionamento delle tecniche di preservazione delle loro carni.
Da qui nasce poi, orientativamente attorno al XII secolo, la professione del norcino, l’addetto a questo tipo di pratiche che, in passato, interessavano non solo carne suina ma anche di cervi, daini e caprioli, specie particolarmente diffuse tra i monti che circondano l'area. Si narra inoltre che durante il periodo medievale da queste zone molti norcini scendessero dai monti, seguendo il corso del fiume Nera, arrivando nell'Umbria centrale a lavorare su commissione le carni degli allevamenti qui presenti.
Al giorno d’oggi con il termine norcineria si intende sia la pratica di lavorazione e conservazione delle carni suine, sia il negozio che vende i prodotti. Le botteghe dei norcini rappresentano quasi dei santuari laici in cui il culto dei salumi, e della carne di maiale in generale, viene tramandato di generazione in generazione. Con ognuna di esse che cerca di preservare i propri segreti.
Attività di questo genere sono particolarmente diffuse qui in Umbria, ma si possono ritrovare anche in Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio. Un loro tratto caratteristico? I prosciutti, salami, lonze e altri prodotti sono appesi all'entrata e invitano il passante, inebriato dal loro inconfondibile odore, a entrare. Non sarà raro imbattervi in qualche commerciante intento a tagliare alcune fette di prosciutto, salame o lonza all'esterno del negozio, offrendo ai passanti un assaggio di queste specialità.
Quella del norcino è la storia di una tradizione, di una vocazione che da secoli ancora resiste e tiene botta ai ritmi frenetici del quotidiano. Prima di diventare una professione vera e propria questa attività si riferiva a un’esigenza precisa, limitata al contesto domestico. Il sostentamento delle famiglie del luogo era dato principalmente da un unico, grande, animale: il maiale. Per questo all’interno dei nuclei privati gli uomini si adoperavano al suo allevamento prima, uccisione, lavorazione e al mantenimento delle carni poi.
Da una sfera di esigenza “interna” poi, nel Medioevo (attorno al 1200), quella del norcino si è trasformata anche in una professione ben codificata e finalizzata al commercio, arrivando fino a oggi mantenendo in molti casi pratiche e tecniche originarie. Leggenda narra che in passato, specialmente durante l'epoca medievale, qualche norcino, per la sua grande abilità manuale nella lavorazione delle carni, eseguisse con successo anche alcuni piccoli interventi di chirurgia. Fatto che valse al termine norcino una valenza dispregiativa specialmente all’interno dell’ambito medico.
Si tratta di una professione stagionale e legata all’inverno, periodo di uccisione del maiale. Il percorso per diventare un norcino, specialmente in passato, era spesso duro, lungo e non privo di difficoltà. Alla fase di apprendistato (tuttora esistente) seguiva la promozione a garzoni, poi a spellatori, insaccatori e macellai, fino ad aiuto commessi e mezzaroli (soci a metà) per diventare infine bottegai autonomi. Oggi quella del norcino è una professione quasi perduta, che resiste e si tiene aggrappata a una tradizione tramandata di padre in figlio. Per esercitare questa attività a scopo commerciale da qualche anno è anche necessario un patentino, rilasciato al termine di corsi di formazione che affrontano anche tematiche igieniche con un modulo dedicato all’haccp.
Il prosciutto (a denominazione Igp e la cui realizzazione è regolata da un disciplinare), le lonze, le salsicce e i coglioni del mulo sono tra i prodotti più caratteristici e venduti, specialmente a turisti che passano in questo piccolo borgo immerso tra le vette dell’Appennino del Centro Italia, attratti dalla storia e dalla gastronomia del posto.
Particolarmente apprezzato e noto è proprio il prosciutto di Norcia, dal 1998 a marchio Igp. Per ottenere questa denominazione, il prosciutto (crudo) deve essere lavorato nel territorio che comprende i comuni della Valnerina tra i quali Norcia, Cascia, Preci, Poggiodomo, Monteleone di Spoleto, a un’altezza superiore ai 500 metri. Dopo una salatura a base di sale marino e pepe in grani, viene e messo a stagionare per almeno 12 mesi, con alcune norcinerie che allungano questa fase anche a due anni. Ne esce un prodotto molto saporito e dalla spiccata sapidità.