Uno chef napoletano che si è formato in giro dell'Italia prima di consacrare la propria carriera in uno dei migliori ristoranti del mondo: in Francia da Yannick Allenò. Domenico Candela, chef 1 Stella Michelin al George Restaurant di Napoli, ci racconta la sua storia. Piatti leggiadri, una cucina fortemente incentrata sui gusti forti tipici partenopei e sulla sopraffina tecnica imparata dai cugini galletti.
La capacità di sorprendere è una caratteristica importante, in dote ai migliori cuochi in circolazione. È quella caratteristica che spinge delle persone comuni a prestare così tanta attenzione a ciò che si fa, per il puro piacere dell'altro, da inventarsi sempre nuovi modi per proporre dei piatti gustosi. Questa caratteristica la si avverte in maniera molto decisa nella cucina di Domenico Candela, chef del George's Restaurant, il magnifico bistrot con 1 Stella Michelin all'ultimo piano del Grand Hotel Parker a Napoli.
Il cuoco classe 1986 ha ricevuto il riconoscimento dalla Guida Rossa nel 2019, un macaron molto cercato dalla proprietà del ristorante ma tutt'altro che scontato. Un premio che ha spinto il cuoco partenopeo verso "nuovi alternativi orizzonti": basta dare uno sguardo al primo menu del George, rispetto ai cambiamenti degli ultimi mesi, per accorgerci di un'evoluzione che sembra non accennare a pause. Inesorabile, inevitabile, meravigliosa per una cucina goduriosa e molto tecnica.
Nativo di Marano, città della provincia nord di Napoli, lo chef Domenico Candela ha una storia molto comune e indissolubilmente legata alla figura materna. È stata proprio lei a scegliere la scuola di Domenico dopo le medie, nonostante le reticenze del figlio che non ha "mai sognato di fare il cuoco – spiega – da bambino non lo immaginavo nemmeno. Per me la scuola alberghiera era una cosa femminile, perché ho sempre visto mia mamma e mia nonna in cucina. Anche se non è passato poi tanto, erano davvero altri tempi e oggi è cambiato tutto fortunatamente. All'epoca l'alberghiero aveva una bruttissima nomea, perché chi voleva combinare qualcosa nella vita andava al liceo".
Fu così che il giovane Candela si iscrisse "all'Itis di Giugliano, perché frequentavo un gruppo di amici e ci iscrivemmo tutti lì". Questa cosa alla mamma non andò per niente giù: "Da ragazzo ero un po' discolo, molto vivace e l'Itis aveva una massiccia presenza maschile. Mamma aveva paura mi perdessi definitivamente. Insistetti affinché cambiasse idea, per me fare l'alberghiero significava svegliarsi alle 5 del mattino vista la lontananza da casa, staccarsi da tutte le amicizie dell'infanzia e fare le polpettine come vedevo a casa". Fortunatamente per tutti noi la signora Candela convinse il figlio e alla fine ebbe anche ragione. "Quando ho cominciato mi è piaciuta molto la scelta – racconta lo chef – Anche non conoscere nessuno è stato formativo perché mi ha permesso di fare tantissime nuove amicizie. Sono stato fortunato perché ho avuto bravi docenti. Dopo il primo anno ho cominciato a lavorare, d'estate, come cameriere, l'anno successivo invece ho fatto il lavapiatti nei weekend in una pizzeria-ristorante a Marano. La prima volta che ho messo le mani in pasta è stato proprio lì perché i proprietari videro che mi piaceva e mi assegnarono dei compitini, come fare crocché, zeppoline e altre cose tipiche della rosticceria napoletana".
Le cose per Domenico Candela cambiano al quarto anno perché "fui bocciato! Facev' nu casin esagerato, erano le intemperanze dell'adolescenza, e purtroppo persi l'anno. Continuavo a lavorare però: cominciai da Sire, un grande nome del catering a Napoli che, dopo il diploma, mi chiamò per l'apertura di Palazzo Donn'Anna, dove adesso c'è Palazzo Petrucci con Lino Scarallo. Dopo alcuni mesi mi proposero di andare a Milano, con Emilio Coppola e fu traumatico: venivo dall'alberghiero e dalla banchettistica, non sapevo neanche la differenza tra sous chef e commis, ma da qui cominciò il mio percorso".
Da Milano in poi Candela ha girato l'Italia accompagnando grandi chef stellati del calibro di Antonio Guida al Ristorante Il Pellicano, di Stefano Mazzone al Grand Hotel Quisisana di Capri, di Damiano Nigro nelle cucine dell'Hotel 5 stelle Relais Villa d’Amelia, del tritellato Enrico Bartolini e Bruno Barbieri, grandi maestri dai quali apprende le tecniche dell'alta gastronomia e i segreti della cucina gourmet. Con Guida c'è il primo imprinting con la cucina francese e infatti è stata proprio questa la tappa successiva di Candela con Yannick Allenò.
"Da Allenò ci arrivai mentre sto lavorando con Bartolini. Mi chiamò Martino Ruggeri, chef de cuisine di Allenò e mi disse che c'era posto. Non ci pensai due volte anche perché all'epoca finì la storia con la mia fidanzata e cominciai a provare un senso di rifiuto per l'Italia" ci dice Candela. Lo chef comunica la decisione di lasciare il Paese dando un preavviso al 3 Stelle di Milano e vola in direzione Parigi, una tappa che gli cambierà per sempre la vita.
La cucina napoletana e quella francese sono molto legate. Con i Borbone arrivano a Napoli i monzù, i cuochi del Regno delle Due Sicilie, direttamente dalla Francia. La parola deriva dal francese "monsieur" e a loro dobbiamo alcune delle preparazioni più iconiche della cucina campana, come il sartù di riso o il gattò.
Lo chef Domenico Candela è un monzù al contrario, un cuoco napoletano catapultato alla corte di Francia, affascinato da una cucina storica e super tecnica: "Io sono in mezzo a questi due mondi. Sono legatissimo alle mie radici, di italiano e di napoletano, ma la Francia mi ha insegnato tutto. La struttura che mi ha dato quella cucina è fondamentale e me ne accorgo ora, non me ne accorgevo all'epoca". La differenza tra due nazioni così genuinamente rivali è palese e il cuoco maranese ha preso il meglio dall'esperienza d'Oltralpe dicendoci, con sorpresa, che "paradossalmente è più facile lavorare lì in un 3 Stelle che qui. In Francia ognuno ha il proprio compito, c'è tanta determinazione, la brigata va tutta nella stessa direzione: queste sono le cose che ho portato con me. Ai colloqui ho cercato persone che fossero ambiziose, che contribuissero verso quell'obiettivo che tutti sognavamo".
L'obiettivo dichiarato del Parker era senza dubbio la Stella Michelin. Il prestigiosissimo albergo partenopeo ha attuato una ristrutturazione monumentale, rinnovando il proprio ristorante proprio per puntare al riconoscimento della Guida Rossa.
Candela aveva e ha tutt'ora un altro obiettivo: "La Michelin va bene, è un onore e volevo avere la Stella, ma l'obiettivo di un cuoco deve essere un altro secondo me. Io voglio far felici i clienti perché sono loro a riempire il ristorante, di conseguenza sono loro a pagare gli stipendi. Le persone devono essere felici e soddisfatte quando mangiano al George". L'apertura del ristorante dopo la ristrutturazione era molto attesa, ci si aspettava l'arrivo di un grande nome e infatti "all'inizio c'era molta pressione: sono stato chiamato proprio per conquistare il macarons. Ti confesso che non sarei mai tornato in Italia se non per questo obiettivo. In Francia ero felice, lavoravo in uno dei ristoranti migliori al mondo, avevo una posizione di comando con colleghi eccezionali. La proprietà del Parker mi disse subito, appena conosciuti, che in 4 anni avrebbero voluto la Stella al ristorante. La loro ambizione mi convinse e anche il loro coraggio: dopo una ristrutturazione del genere avrebbero potuto chiamare un cuoco affermato e invece hanno puntato su un giovane sconosciuto che aveva fame. Io di fame ne avevo e ne ho tutt'ora".
Per un cuoco è sempre difficile questa posizione: fallire nella propria città, in una struttura incantevole, è sempre pericoloso per la carriera ma "pensai, da presuntuoso, di essere più forte della paura. Partimmo subito col botto, con i giornalisti a cena tutte le sante sere. Ti confesso che avevo molto timore, i primi sei mesi non ho dormito. Ho voluto cominciare con un menu semplice e gustoso, ma i piatti sono andati via via crescendo. Il primo anno a disposizione, per così dire, non ricevemmo la Stella perché l'apertura fu troppo a ridosso della pubblicazione della Guida; arrivò il novembre successivo. Non ce l'aspettavamo così presto. Il riconoscimento è giunto grazie alle mie qualità certo, ma non sarebbe arrivata senza tutta la squadra che mi sta intorno".
La squadra di Candela è giovanissima, tutti intorno ai 30 anni, e con lo chef propongono un menu meraviglioso. Una lezione di cucina da gustare, una serie di piatti di una squisitezza tecnica davvero impressionante. Lo dice sempre lo chef che "la tecnica contemporanea raggruppa l'estetica e il coinvolgimento col cliente, la tecnica classica è però fondamentale. Come nell'alfabeto, bisogna cominciare dalle prime lettere e le fondamenta in cucina sono fondi, cotture, salse, tagli, materie prime. È imprescindibile per un cuoco conoscere alla perfezione tutto questo". Non ci sorprendiamo dunque se troviamo un'enciclopedia della cucina gourmet sul menu del George Restaurant: un fantastico piccione cotto alla brace, con variazione di tuberi e radici di stagione, tartufo nero uncinato dell’Appennino umbro e jus al Falerno del Massico rosso Dop, un vero simposio di cucina francese; meraviglioso il dorso di branzino selvaggio, porro alla brace con caviale oscietra, ostriche fine de claire e salsa beurre blanc al crescione d’acqua. Classicismi moderni, come li definisce Candela.
Arriviamo poi ai giochi che fa coi clienti, alla sua attenzione al dettaglio: nell'antipasto un omaggio a Napoli con una mini margheritina, di fatto un bao impastato con lievito madre, cotto a vapore, su cui troviamo pomodoro e provolone del monaco; la "tonda" abbrustolita col cannellino per dare la classica maculatura alla pizza. Il piatto simbolo del George è invece lo spaghettone di Gragnano, con diverse qualità e consistenze dei pomodori campani. La polvere bianca che vedete, a simulare il parmigiano, è in realtà l'olio, il pomodorino più vicino all'obbiettivo della macchina fotografica è invece un parmigiano sferificato. Una vera delizia. Notevoli i dolci, molto eleganti, curati dalla pastry chef Laura Cosentino, che gioca con consistenze, temperature, odori e sapori, abbinando la pasticceria campana a quella francese con notevole maestria.
La cucina del Parker ha gusti decisi, un'estetica elegantissima e colorata, la rigorosa geometria della formazione francese. Uno stellato che può spaventare i neofiti per dei prodotti non comunissimi, ma che conquista appassionati e non in un viaggio multisensoriale assolutamente leggiadro. Domenico Candela è la dimostrazione di come la determinazione e la perseveranza siano doti fondamentali nella vita di tutti noi: un ragazzo della provincia di Napoli, perfino bocciato all'alberghiero a causa di un carattere peperino, in grado di sedersi a tavola con gli chef più importanti al mondo. Un monzù al contrario, che da Marano ha portato un'altra strameritata Stella Michelin nella città di Napoli.