Il mirto di Sardegna è un liquore derivante dalle bacche di mirto, una pianta sacra per gli antichi Greci e Romani, citata in leggende egizie e arabe, oltre che in numerose opere di importati autori. Fortissimo il significato simbolico dei rami del mirto, da cui, da circa 3 secoli, si ricava un liquore diventato uno dei simboli dell'isola.
Il mirto è l’essenza della Sardegna, il liquore che caratterizza più di ogni altro la cucina dell’isola. La sua storia e le leggende ad esso legato fanno parte della vita dei sardi, con quel carico di mitologia e sapore che tratteggia finemente tutto il background dell’antica Ichnôussa. L’origine del mirto è incerta per non dire sconosciuta. Spesso raccontata dalla poesia greca e dalle opere degli autori romani, la storia del liquore è legata ai banditi sardi che contrabbandavano con la Corsica.
La preparazione del mirto è lunga ma abbastanza semplice ed è per questo che fino all'800 è stato solo un liquore casalingo: la ricetta del mirto prevede la macerazione delle bacche mature nell’alcol a 90 gradi per 40 giorni. Ci sarà poi un filtraggio e l'alcol aromatizzato con le bacche viene aggiunto a uno sciroppo di acqua e zucchero e quindi imbottigliato. Dopo un paio di mesi il mirto (che raggiunge una gradazione alcolica di 30-32 gradi) è pronto e allora potrà essere gustato, possibilmente ghiacciato.
La Sardegna è una terra ancestrale, ricca di aneddoti e miti che attraversano i millenni. Il liquore per eccellenza della regione non può esimersi da una serie di significati nascosti, positivi e negativi; di leggende risalenti agli albori della storia, in particolare legati alla pianta da cui viene estratta.
Dal 1998 c’è una denominazione precisa per questo liquore: Mirto di Sardegna, perché il Ministero delle Politiche agricole lo ha riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Noto per le sue proprietà digestive, oggi si produce seguendo un disciplinare ben preciso, tutelato da un consorzio ma le origini del mirto sono molto antiche.
Fino al 1800 è probabile che il liquore sia stato prodotto solo per uso familiare ma, fin dall’antichità, la pianta di mirto è stata considerata fortunata. Tutto comincia con gli antichi Egizi che adornano le città con ramoscelli di mirto durante le festività perché tenga lontano disgrazie e malattie, un po’ come facevano i Celti con il vischio e la tradizione natalizia arrivata fino a noi.
L’aura bene augurante e divina del mirto permea il mondo del Medio Oriente, tant’è che nei racconti legati ad Adamo e alla sua cacciata dall’Eden si narra che l’uomo avrebbe portato con sé solo un ramoscello di mirto in ricordo del Paradiso Terrestre.
La leggenda di questa pianta fortunata arriva poi a Roma: quando i soldati dell'Urbe partono per fondare una nuova colonia si cingono il capo con una corona di mirto. La superstizione degli antichi Romani deriva a sua volta da una superstizione degli antichi Greci, convinti che chi coltivasse il mirto avrebbe avuto grande fortuna. Non solo: gli allenatori degli atleti per le Olimpiadi donano ramoscelli di mirto ai propri assistiti per adornare gli abiti, credendo rendesse più vigorosi gli uomini e in particolare i lottatori (tant’è che i guerrieri attaccavano del mirto alle proprie armature).
Così come portatrice di vigore per gli uomini, la pianta è sempre stata associata al concetto di femminilità sia per i Greci che per i Romani; presente in molte opere e pianta sacra ad Afrodite (poi Venere).
Ovidio racconta che la pianta ha protetto le grazie di Afrodite dopo che la dea è uscita dal mare sotto lo sguardo indiscreto di un satiro. La stessa dea avrebbe cinto con il mirto la testa di Paride dopo il giudizio del giovane nel celebre episodio del Pomo della Discordia. La leggenda che coinvolge Paride e Afrodite ha avuto un ascendente così forte per i Romani che con il "Mirto di Venere vittoriosa" venivano incoronati i guerrieri trionfanti che avevano conseguito la vittoria senza spargimento di sangue.
La pianta è stata così legata la mito della Dea dell’Amore che le sono state associate proprietà afrodisiache: secondo le opere greche, le bacche farebbero aumentare il desiderio sessuale e la fertilità.
Il rapporto tra il mirto e il femminino nella mitologia greca è fortissimo, al punto che molte eroine e amazzoni portano nomi che ricordano la parola "mirto". L’esempio più iconico è quello di Myrtò, una fanciulla dell’Attica che secondo la leggenda fu assassinata da un uomo dopo averlo battuto ai giochi ginnici. Atena, per omaggiare la campionessa, trasformò quindi il cadavere proprio in una pianta di mirto.
Segno di fecondità ed eros – alcune tradizioni popolari ancora oggi in uso a Creta mettono al centro i rami della pianta – è inoltre presente ai banchetti nuziali. Esempio lampante è la "Venere e Cupido" dipinta da Lorenzo Lotto e conservata al Metropolitan Museum di New York: la ghirlanda di mirto che Venere tiene tra sé e Cupido si regalava alle spose proprio per augurare il meglio al matrimonio.
Nonostante tutte le leggende positive che riguardano la pianta, ce n’è una cupa: nella Teogonia viene raccontata la morte di Selene, amante di Zeus e mamma di Bacco. La divinità errante scende nell’Oltretomba per liberare la madre e gli viene chiesto in cambio di lasciare una pianta di mirto, una delle forme vegetali di Dioniso insieme a vite, edera, pino e fico.
Nelle interpretazioni dell’opera di Esiodo, questo episodio non vuole avere un significato negativo. Il mirto concesso ad Ade sarebbe solo il naturale evolversi del ciclo della vita in cui un corpo lascia spazio a un fiore. Una simbologia che ancora oggi è diffusa nel mondo Occidentale.
Tutte belle le leggende, ma il liquore in Sardegna chi lo ha portato? Nessuno lo sa. La natura casalinga della bevanda è così radicata da far perdere le tracce della propria storia ufficiale, lasciando ai contemporanei solo pezzi da antologia.
Gli Egizi, i Romani e gli Arabi sono stati i primi a far macerare materie prime per avere un prodotto alcolico. La storia dei liquori e degli amari è un susseguirsi di ricerca scientifica e medica per trovare soluzioni a problemi di salute ma, curiosamente, malgrado il "rapporto" della bacca con il dio del vino, la pianta di mirto non subiva lo stesso trattamento dei limoni col limoncello. Il mirto è stato usato come pianta ornamentale, come frutto o spezia, mai come pianta da macerazione fino al ‘700.
Pare che la pianta a Roma ci sia sempre stata, secondo alcune leggende popolari sarebbe addirittura una pianta spontanea della Capitale. Il passaggio da Roma all'isola del Mediterraneo è invece sconosciuto. La cosa certa è che i banditi di Gallura nel 1700 producono già questo liquore che viene portato spesso e volentieri in Corsica a causa delle leggi proibizioniste presenti in Sardegna. Oggi il liquore viene prodotto anche sull’isola francese proprio grazie ai lasciti del banditismo sardo nel XVIII secolo.
In "patria" è uno dei prodotti più amati, esportati e bevuti dai sardi. Il mirto di Sardegna ha eccellenti proprietà digestive, un sapore molto particolare e una gradazione non troppo elevata. Quello industriale a volte non raggiunge il 30%, meno di un classico limoncello, mentre quello fatto in casa non supera il 38% per una bevanda ideale da gustare fredda, ma non gelata, dopo una grande mangiata di porceddu.