Dire Marsala vuol dire pensare a una città, a un vino, ai Mille di Garibaldi, ai tanti imprenditori inglesi che hanno fatto infinite fortune economiche grazie al vino siciliano. Considerato oggi vino per intenditori, sono ancora diverse le aziende storiche a portare avanti il suo nome, tramandando anche la sua affascinante storia. In ascesa invece l'enoturismo legato proprio a questa storia, con le visite alle bellissime cantine della zona.
Il Marsala non si può raccontare senza iniziare dalla città che gli ha dato il nome: Marsala è infatti una città, un vino, la cavalla bianca di Garibaldi, un posto assolato sui basolati di pietra bianca, buio e umido nel ventre di calcarenite gialla. La si conosce per stratificazioni e come in gran parte delle città del Sud Italia, le passeggiate sono “verticali”: c'è sempre da percorrerle dal basso verso l'alto, dove dominazione è quasi sempre sinonimo di contaminazione. È mare ma soprattutto entroterra (qui nasce la prima scuola agraria d'Italia) con le sue oltre cento contrade, che fanno di Marsala una città-territorio vastissima. La ricchezza aveva l'odore dell'uva e fino agli anni ’50 del secolo scorso ce n'era così tanta da fare di Marsà ‛Alī (il porto di Allah) uno dei comuni più ricchi d'Italia.
Pochi posti al mondo hanno un'identificazione così profonda tra luogo e prodotto. Forse qualcosa del genere succede a Oporto in Portogallo con l'omonimo vino liquoroso e in posti come Barolo, Montalcino, Bordeaux. In più qui c'è la trama della storia con la S maiuscola, quella che trovi nei libri di scuola e che è il terreno in cui cresce il "fenomeno Marsala", un vino che diventerà famoso in tutto il mondo.
Tra i molti primati e successi che ha il Marsala può annoverare anche di essere stato il primo vino Doc italiano – era il 1969 – con un disciplinare alquanto complesso che è un po' la bestia nera di tutti gli studenti dei corsi di sommellerie. C'è infatti da ricordare che parliamo di vino liquoroso dalle diverse varianti.
Il Marsala Oro e Ambra è prodotto da uve Grillo, Catarratto, Inzolia e Damaschino e si presenta di colore chiaro. Nel Marsala rubino troviamo Pignatello, Nero D'Avola e Nerello Mascalese, ovvero uve a bacca rossa. Inoltre questo vino può essere secco, semisecco o dolce, in base al grado zuccherino prescelto e, infine, a seconda della lavorazione e dell'invecchiamento, distinguiamo il prodotto in Marsala Fine, Marsala Superiore, Superiore Riserva, Marsala Vergine.
La zona di produzione è vasta e riguarda tutta la provincia di Trapani, a eccezione delle isole Egadi, Pantelleria e Alcamo. Originariamente il metodo di coltivazione delle uve destinate a Marsala – e in particolare il Grillo – era ad alberello, una pratica agronomica in forte recupero in zona, che consentiva al frutto di accumulare aromaticità e zucchero, stando molto a contatto con la terra e quindi con il calore del suolo.
La versione più accreditata sulla nascita di questo vino racconta che tutto ebbe inizio da una tempesta che nel 1773 obbligò John Woodhouse, ricco e famoso mercante di Liverpool, ad approdare con la sua nave nel porto di Marsala, invece che a Mazara del Vallo. Qui Woodhouse, insieme al suo equipaggio, ebbe modo di assaggiare il Perpetum, un vino locale simile al Madeira e al Porto, tanto apprezzati dagli inglesi . Così decise di acquistare una grossa scorta di quel vino da vendere in Inghilterra.
A quel tempo tuttavia il trasporto via mare comportava grossi problemi di conservazione. Da qui l’idea di aggiungere una quantità di alcol alle botti, aumentando così la gradazione alcolica e garantendone la conservazione fino a destinazione. L’idea funziona e tutte le botti furono vendute in pochi giorni, tanto da convincere Woodhouse a tornare definitivamente in Sicilia per sviluppare una nuova attività: quella di produzione di Marsala “conciato”, ovvero con aggiunta di mistella.
Per capire la portata di questo successo basti pensare che alla fine del Settecento il vino Marsala veniva bevuto abitualmente su tutte le navi di Sua Maestà e anche l'ammiraglio Nelson celebrò le sue vittorie con questo vino, tanto da essere ribattezzato, dopo la battaglia navale di Trafalgar, il vino della vittoria. Bisognerà attendere il 1832 per trovare un nome italiano tra i produttori, quello di Vincenzo Florio, marchio ancora presente a Marsala grazie alle cantine omonime, oggi di proprietà dell’Ilva Saronno.
Se il successo di questo vino va attribuito all’abilità commerciale inglese, la sua nascita non è una invenzione d’Oltremanica. Anzi, ancora oggi ci sono grandi Marsala conosciuti come “pre-British” che è la formula per dire che, quando gli inglesi come John Woodhouse, Benjamin Ingham e Joseph Whitaker diventarono ricchi anche grazie al vino siciliano, questo era già conosciuto e consumato nella Sicilia occidentale.
Era il “perpetuo”, aromatico e deciso, invecchiato in grandi botti di legno, nelle quali veniva aggiunto ogni anno un po' di vino nuovo per ricolmare il contenitore. Agli inglesi invece si deve l'aggiunta dell'acquavite da vino: nasce così il vino fortificato.
Se da un lato il Marsala come vino stenta a tornare ai fasti di una volta – ma è un destino toccato a tutti i fortificati – il suo presente in chiave enoturistica invece va a gonfie vele. Lo dimostrano i numeri dei visitatori, periodo pandemico a parte, registrati dalle cantine più famose della zona.
Le cantine Florio, ad esempio, accolgono 50 mila visitatori l'anno e c'è da rimanere di stucco dinanzi a queste cattedrali del vino dagli archi a sesto acuto e dai pavimenti in battuto di tufo. E se il racconto del passato si avvale di navate lunghe 165 metri, il presente punta sulla multisensorialità con la sala di degustazione Donna Franca dove l'assaggio dei vini è accompagnato da cibo, parole e musica. C’è la terrazza Florio e il Cinema in 4 D. La prima ha un affaccio straordinario sul mare ed è uno spazio total white, il secondo, con l'ausilio di un cartoon, spiega gli albori della storia del vino e le tecniche avanguardistiche applicate dal gruppo proprietario del marchio (che si completa con i brand Corvo e Duca di Salaparuta).
Non fanno Marsala, ma hanno fatto dell'accoglienza una loro cifra stilistica. È la famiglia Rallo dell'azienda Donnafugata, anche loro proprietari di un bel baglio ottocentesco pieno di vento e di salsedine. Qui i visitatori sono circa 10 mila l'anno e la cifra è in continuo aumento, anche grazie alla bella sala di degustazione dove è possibile scegliere degustazioni “tailor made”, per tasche e gusti diversi (visit.donnafugata.it) Il senso del progetto ha radici lontane come racconta José Rallo: “Abbiamo aderito al Movimento Turismo del Vino fin dal 1994, perché riteniamo che il confronto con il pubblico sia fondamentale. Così le nostre cantine non sono mai state solo un luogo di produzione, ma anche un terreno di incontro. Un monito condiviso da ogni nostro collaboratore. Donnafugata è costruita sull'idea di team building”.
Se Donnafugata non ha mai prodotto Marsala, Francesco Intorcia, dell'omonima azienda del territorio, ci sta puntando tanto. La sua azienda ha sempre venduto alla grande distribuzione, seguendo la logica dei numeri. Poi un'attenta passeggiata tra i tini della cantina storica ha svelato un tesoro: botti piene di Marsala invecchiato anche 40 anni. Così nel 2010 è partito il progetto Heritage – antologia dei vini di famiglia.
La prima vendemmia a essere imbottigliata è stata la 1980 nelle tre tipologie Vergine, Dolce e Semisecco, un omaggio autentico alla versione “pre-British”. Ed è incredibile scoprire quante sensazioni gusto-olfattive possa racchiudere questo vino: il fieno e la vaniglia, l'agrume e la frutta secca, il salino e l'erbaceo.