Stava per vincere un concorso per formaggi "classici", ovvero fatti con latte e prodotti di origine animale: ma il formaggio vegano è stato misteriosamente squalificato dalla giuria. Il caso del Good Food Awards di San Francisco ci costringe a porci alcune importanti domande.
Un formaggio vegano ha rischiato di vincere un concorso per formaggi classici, ovvero realizzati con prodotti di origine animale: ha rischiato è il termine giusto, perché il formaggio è stato squalificato appena in tempo. O, come dicono in molti, "fatto sparire", ammantando questa storia di un alone di mistero. Il caso viene dagli Usa, per la precisione da San Francisco, dove ogni anno si svolge il Good Food Awards, un importante contest creato da Good Food Foundation che premia gli alimenti artigianali "gustosi, autentici e prodotti in modo responsabile". Quest'anno però del contest si è parlato non tanto per le prelibatezze premiate, quando per quello che potremmo ribattezzare il "vegan cheese gate". Il formaggio vegano, infatti, si era mimetizzato talmente bene tra i concorrenti di origine animale, tanto da non essere riconosciuto dagli assaggiatori neanche durante la degustazione alla cieca.
Tutto inizia a gennaio 2024 quando la giuria del contest stila la lista dei finalisti della competizione: tra i tanti nomi c'era anche il formaggio erborinato – "blue" nel linguaggio internazionale – prodotto da Climax Foods, società con sede a Berkeley, California. Un prodotto di alta qualità, presente anche nel celebre e altrettanto contestato menu dell’Eleven Madison Park di New York. Il punto è che durante la degustazione alla cieca il formaggio – semi di zucca, fagioli di Lima, semi di canapa, olio di cocco e burro di cacao – è stato valutato molto bene dal panel dei degustatori e inserito nella lista dei finalisti: una volta circolata la notizia, però, gli altri partecipanti non l'hanno presa bene e hanno cominciato a protestare ufficialmente. Per tutta risposta, la Good Food Foundation ha proposto allora di selezionare un co-vincitore, nel caso in cui il formaggio vegano della Climax fosse arrivato primo al concorso, e di istituire, per la prossima edizione, una categoria dedicata.
Ma la questione si complica, perché una settimana fa il formaggio vegano è "sparito" misteriosamente dalla lista dei finalisti: perché? Era effettivamente fuori concorso, o l'organizzazione ha ceduto alle pressioni degli altri produttori? Se l'è chiesto il Washington Post, che ha rintracciato gli organizzatori e posto loro una serie di domande per far chiarezza sulla questione: ma da Sarah Weiner, direttrice della Good Food, ha avuto spiegazioni vaghe e poco convincenti.
Nel frattempo è esplosa la polemica fra la Climax Foods e l'organizzazione del Good Food Awards. "Secondo le notizie circolate il nostro prodotto non era solo un finalista, ma il candidato al primo premio", ha detto Oliver Zahn, Ceo di Climax Foods. "Questa notizia riservata è stata rivelata in una mail inviata dalla fondazione a Climax a gennaio". Dall'altro lato Sarah Weiner ha accusato la Climax di aver presentato un prodotto non pronto per la vendita al dettaglio, mentre Zahn ha ribattuto accusando Weiner di falsità.
Insomma, una storia che è ben lontana dal chiarirsi, ma che costringe il settore a porsi alcune domande. La prima è molto banale: possiamo chiamare formaggio un alimento che poco ha a che fare con la sua versione classica, al di là delle proteine animali, anche in termini di processo produttivo? La seconda è: non sarebbe il caso, per i concorsi internazionali che vogliano sopravvivere, di prevedere per tempo categorie ora considerate "speciali" ma che fra qualche anno saranno normalissime, senza creare conflitti tra produttori?
Al di là dei cavilli su certificazioni e regole del concorso, infatti, Zahn, ha accusato i produttori di formaggio tradizionale di essere spaventati dal cambiamento. Al contrario, i produttori coinvolti hanno dichiarato al Washington Post di non sentire la competizione con i prodotti vegetali, ma è evidente che non sia così: gelosi di una tradizione millenaria, una parte dei casari classici si sente decisamente minacciata dai nuovi prodotti. Per questo, differenziarli potrebbe essere una soluzione di mediazione, ma anche un modo diverso di promuovere i prodotti in questione, puntando sulle specificità piuttosto che sulla loro eventuale omologazione ai formaggi "classici".