I braccianti costretti a lavorare nei campi vengono abbandonati a loro stessi anche dallo Stato a causa di una serie di leggi incongruenti che favoriscono i datori di "lavoro".
Sta facendo molto discutere la morte di Satnam Singh, il bracciante deceduto a seguito di un incidente sul lavoro in un’azienda agricola di borgo Santa Maria, nella periferia di Latina. L'uomo, 31 anni, è stato abbandonato dal suo datore di lavoro davanti alla propria casa, con il braccio tranciato e poggiato in una cassetta per gli ortaggi, accanto alla spazzatura. I soccorsi sono stati chiamati dopo tantissime ore, un lasso di tempo in cui il Singh ha perso tanto sangue. Trasportato d'urgenza in ospedale, il 31enne è morto dopo due giorni di agonia. Purtroppo non possiamo far altro che prendere atto dell'ennesima morte causata dal braccio criminale del caporalato. Il problema a questo punto è un altro: come fare in modo che non accada più? La soluzione non è semplice anche perché l'Italia "ricatta" chi denuncia, sia chi è in regola sia chi è irregolare, con il permesso di soggiorno.
Il permesso di soggiorno è un documento rilasciato dallo Stato italiano a cittadini stranieri che non appartengono all'Unione Europea. Questo documento consente allo straniero di soggiornare legalmente in Italia per un periodo di tempo determinato, che può variare a seconda del tipo di permesso rilasciato.
Esistono diverse tipologie di permesso di soggiorno, ognuna con i suoi specifici requisiti e finalità. Per ottenere il permesso di soggiorno, il cittadino straniero deve presentare una domanda alla Questura competente del territorio in cui risiede, corredata da una serie di documenti. Una volta che le autorità si accertano che sia tutto in regola, i documenti vengono rilasciati. Il processo può essere lunghissimo (anche 15 mesi) e non sempre è lineare. Alcuni dei permessi vengono rilasciati o rifiutati su base puramente arbitrale, come nel caso dell'asilo politico o del ricongiungimento familiare.
I braccianti parlano di "ricatto del permesso di soggiorno" perché il loro status di irregolarità viene spesso sfruttato dai caporali e dai datori di lavoro per sottoporli a condizioni di lavoro inique. Gurmukh Singh, presidente della comunità indiana del Lazio, ha detto a Senzafiltro che spesso i ragazzi che lavorano nei campi non denunciano "perché hanno paura di perdere il lavoro. Ne conosco uno che sta fermo a letto da sei mesi in seguito a un infortunio sul lavoro, anche se ha dichiarato di essere caduto dalla bicicletta". Molti migranti non sono in regola e quindi non possono neanche richiederlo il permesso di soggiorno ma chi ce l'ha viene minacciato con il lavoro. A tal proposito la FLAI CGIL ha chiesto il rilascio di permessi ai braccianti presenti sul luogo dell'incidente per motivi di giustizia così da permettergli di raccontare quanto accaduto, senza paura di ritorsioni o espulsioni, ma per ora non sembrano essere stati fatti dei passi in avanti in tal senso. Il permesso di soggiorno dovrebbe essere concesso solo a Sony, la moglie di Satnam Singh.
Sembrano allarmismi, esagerazioni, ma la stessa vedova Singh ha raccontato a La Repubblica di tutte le minacce ricevute in questo periodo: "Il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messi sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi". La questione "soccorsi" non è da sottovalutare, sia perché Singh poteva salvarsi con un pronto intervento e invece è arrivato in ospedale dissanguato, sia perché spesso i migranti vengono portati nei campi in furgoncini dai vetri oscurati proprio per evitare che si ricordino la strada. Pur volendo, non saprebbero dare indicazioni alle autorità o alle ambulanze per un intervento. A conferma delle surreali condizioni disumane che stiamo raccontando, ci sono le stime dell’Osservatorio Morti sul Lavoro: Singh è già il centesimo migrante morto sul lavoro in Italia nel 2024. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio nazionale di Bologna gli stranieri presentano un rischio di morte sul lavoro alto più del doppio rispetto agli italiani (65,3 morti ogni milione di occupati contro i 31,1 italiani). Non è una casualità.
In questo clima da lager entrano in gioco diverse questioni legali che tirano in ballo il concetto di "ricatto":
Questa del ricatto del caporale è una pratica vergognosa ma diffusissima. Le vittime di questo ricatto spesso hanno paura di denunciare per timore di essere espulse dall'Italia o di subire ritorsioni da parte dei caporali. Di queste cose se ne parla da anni: c'è addirittura un'intervista risalente al 2011 di Yvan Sagnet, all'epoca studente e bracciante, oggi presidente dell’Associazione Internazionale NoCap, in cui racconta l'assurda situazione nei campi in Puglia, cosa di cui lui era all'oscuro, e già usa la parola "ricatto" riferendosi al permesso di soggiorno. Dopo 13 anni la situazione non solo non è migliorata ma, anzi, è peggiorata. A questo senario contribuisce da due decadi la Legge Bossi-Fini che in questi giorni molti sindacati stanno chiedendo di ridiscutere.
La Legge Bossi-Fini, ufficialmente conosciuta come Legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto importanti cambiamenti in materia di immigrazione e asilo rispetto al passato. I punti sono diversi e ce n'è uno che riguarda proprio quello dei braccianti, sotto la dicitura del "lavoro stagionale". Secondo i legislatori, vista la necessità di lavoratori nei campi, ci possono essere delle quote annuali d'ingresso in Italia così da soddisfare la domanda ma sempre in modo controllato e temporaneo.
Questo è uno dei rari casi in cui neanche la teoria funziona perché la richiesta di lavoratori è da sempre stata molto più alta dei permessi elargiti regolarmente. Come scrive Amnesty International "questo sistema, oltre a essere inefficace e a prestarsi ad abusi, incrementa il rischio di sfruttamento del lavoro dei migranti. I datori di lavoro preferiscono assumere lavoratori già presenti in Italia a prescindere dalle quote d’ingresso fissate dal governo. Alcuni lavoratori possono avere il permesso già scaduto mentre altri possono aver ottenuto il visto d’ingresso attraverso intermediari ma non riescono poi a ottenere il permesso di soggiorno. In questo modo, molti lavoratori migranti finiscono per trovarsi senza documenti che ne attestino la presenza regolare in Italia e rischiano l’espulsione. La legislazione italiana, inoltre, ha introdotto il reato di ‘ingresso e soggiorno illegale’, stigmatizzando così i lavoratori migranti irregolari, alimentando la xenofobia e la discriminazione nei loro confronti".
Questa legge alimenta il concetto di ricatto perché prevede che gli immigrati possano ottenere un permesso di soggiorno solo se hanno già un contratto di lavoro, lo stesso discorso vale per i rinnovi. Questo crea una situazione di precarietà per i lavoratori stranieri, che rischiano di perdere il diritto di soggiorno se perdono il lavoro e quindi chiudono un occhio, anche due, di fronte ai soprusi per il bene del loro futuro. Dipendere dal permesso di soggiorno vuol dire non sapere mai se e quando si può diventare cittadini italiani. Tutta la famiglia di queste persone dipende da un documento che spesso viene elargito su discrezionalità, come nel caso dei permessi di soggiorno per asilo politico o per ricongiungimento familiare. La questione diventa ancora più delicata se parliamo di migranti donne: si trovano a dipendere dai documenti del marito. Se vogliono essere libere le donne migranti sono costrette ad accettare i lavori più faticosi per rinnovare il proprio permesso. Questa situazione non è più tollerabile in un Paese civilizzato.