Sempre più persone scelgono di consumare prodotti gluten free, convinti che siano più salutari e che possano aiutare nel controllo del peso corporeo. Verità o falso mito? Lo abbiamo chiesto alla nostra esperta di fiducia, la dietista e docente Arianna Rossoni.
Un numero sempre maggiore di persone sceglie di acquistare e consumare prodotti gluten free: non solo celiaci e intolleranti, ma anche chi è convinto che siano più salutari e possano portare a un effettivo dimagrimento. Quanto c'è di vero in quest'ultima affermazione? Gli alimenti senza glutine sono migliori di quelli tradizionali e, se consumati con costanza, possono davvero portare a una perdita di peso? Lo abbiamo chiesto alla nostra esperta Arianna Rossoni, dietista, docente e responsabile del progetto Equilibrio Donna.
Iniziamo con il precisare che non esiste una risposta univoca. "La domanda è sicuramente troppo generica – afferma Rossoni – perché l'aumento o la diminuzione del peso dipende sempre dall'introito calorico nel suo complesso". Per cui la risposta è: dipende. "Se – anche utilizzando prodotti gluten free -, mangi di più rispetto al tuo fabbisogno calorico e in misura costante nel tempo, aumenterai di peso; viceversa, questo diminuirà".
Esiste una differenza effettiva, a livello nutritivo, tra le due categorie di alimenti? "A parità di peso, i prodotti senza glutine sono tendenzialmente più calorici di quelli classici: 50 grammi di pane senza glutine, per esempio, hanno circa 100 calorie in più rispetto al pane con glutine; questo perché quando togli il glutine nei processi di panificazione, quindi facciamo riferimento ai farinacei, vai a levare l'agente che fa da collante e lievitante".
Come sostituti si utilizzano gomme, oli mono e digliceridi degli acidi grassi (in sostanza degli additivi alimentari), oli e altri tipi di grassi che fungono da emulsionante. "Quindi gli alimenti gluten free hanno in media più calorie perché più grassi – prosegue Arianna -; tra l'altro parliamo anche di grassi di scarsa qualità che costano poco all'industria, ma che a livello salutistico non sono un granché. Questi oli diventano poi un problema qualora se ne abusasse".
A fianco all'educazione alimentare per celiaci, che insegna a evitare gli alimenti per così dire "proibiti", bisognerebbe dare delle indicazioni puntuali per riconoscere il "senza glutine migliore": è bene orientarsi prima di tutto e con maggiore frequenza sui prodotti integri e naturalmente gluten free, come riso, patate e mais; per i panificati, invece, da scegliere come seconda opzione, è fondamentale leggere attentamente le etichette assicurandosi che siano realizzati con ingredienti di qualità e senza l'uso di oli e grassi idrogenati.
Il glutine è una proteina contenuta in diversi tipi di cereali. "Nella malattia celiaca – ci spiega l'esperta – si sviluppa una problematica legata all'autoimmunità, tale per cui il corpo reagisce a questa proteina come se fosse un agente nocivo. Ciò comporta un'infiammazione a livello intestinale e un appiattimento dei villi (le strutture responsabili dell’assorbimento di nutrienti e sali minerali)".
La celiachia viene diagnostica attraverso la biopsia e può causare diversi sintomi, tendenzialmente intestinali: "sempre più spesso ci si rende conto che i sintomi della malattia, soprattutto se riscontrata in età adulta, possono essere localizzati in strutture extra intestinali e quindi non essere riconosciuti immediatamente".
"Nei bambini – ci spiega Rossoni – è più facile riscontrare la malattia celiaca perché c'è una mancata crescita; nell'adulto, invece, non sempre è così facile individuarla". Tra i sintomi più classici, diarrea, dolori addominali, meteorismo, alvo alterno e perdita di peso, ma esistono anche delle forme atipiche, caratterizzate da una sintomatologia appunto extra-intestinale: tra queste, osteopenia, osteoporosi, artrite, dermatite, alopecia, cefalee, afte, stomatiti…
"Anche qui dipende da cosa si intende", puntualizza la dietista. Se ci riferiamo a quei prodotti naturalmente gluten free, come appunto il riso, la quinoa o il miglio, è possibile affermare che il loro valore nutritivo e la loro salubrità sono pari a quelli convenzionali (quindi, in questo caso, alla pasta di frumento, al farro, all'orzo…).
Se, invece, parliamo dei panificati, allora, il discorso è differente; oltre a essere più calorici e talvolta ricchi di oli e grassi di scarsa qualità, questi prodotti – poiché spesso confezionati con farine raffinate – presentano anche un indice glicemico superiore ai loro corrispettivi con glutine. Questo valore indica la velocità con cui gli zuccheri contenuti in un alimento si riversano nel sangue: più è alto, maggiore sarà il picco glicemico che provocherà.
Più che all'indice glicemico, poi, è importante fare attenzione al carico glicemico: tenendo conto della quantità di carboidrati per porzione, siamo in grado di valutare il reale effetto che ha un determinato cibo sul nostro organismo. Le proteine, glutine compreso, contribuiscono ad abbassare l’indice dell'alimento e anche del pasto nel suo complesso, e quindi i prodotti in cui questo è assente presentano un maggiore indice e carico glicemico.
"C'è anche tanto marketing dietro a questi prodotti – prosegue Arianna -; mi è capitato di vedere confezioni di farina di castagne o di ceci segnalate come ‘senza glutine'. Si tratta di un'affermazione ridondante perché alcuni alimenti, come questi, sono naturalmente gluten free". Una comunicazione di questo tipo, opportunamente inserita, ha proprio l'obiettivo di attrarre quella fetta di consumatori non celiaci, ma convinti che un'alimentazione senza glutine possa portare altri benefici.
Il glutine è stato accusato negli anni di essere la causa di diverse e numerose patologie: infiammazioni, malattie articolari, ingrassamento, gonfiore e intolleranze. "C'è di vero che, oltre alla celiachia, esiste la gluten sensitivity, una sindrome che non ha un gold standard (standard di riferimento) per quanto riguarda la diagnostica, quindi non esiste un esame che ne certifichi l'effettiva presenza, e questo fa sì che molti se ne approfittino".
Le persone con sensibilità al glutine non celiaca possono effettivamente riscontrare dei benefici ai distretti corporei interessati, una volta esclusa questa proteina; togliere il glutine senza un reale bisogno, invece, non risolve nulla. A meno che questa scelta non vada di pari passo con un miglioramento della qualità nutrizionale di ciò che consumiamo: in quel caso noteremo comunque un beneficio a livello dei sintomi percepiti, che, tuttavia, attribuiremo erroneamente all'assenza di glutine. Ciò che è cambiato è l'alimentazione nel suo complesso.
Anche quando scegliamo alimenti naturalmente privi di glutine, dobbiamo sempre preferire la loro versione integrale (nel caso dei panificati scegliamoli realizzati con farine biologiche, il più possibile integre e macinate a pietra) e imparare ad abbinarli nel modo più corretto, così da mantenere stabile la glicemia e assicurarci lucidità mentale, energia e un buon livello di sazietà.
Come fare? Basta rifarsi al cosiddetto piatto sano di Harvard, uno schema alimentare visivo semplice e intuitivo che prevede la presenza a ciascun pasto di tutti e tre i macronutrienti fondamentali. A una fonte di carboidrati complessi (riso, mais, patate, miglio e pseudocereali come quinoa, grano saraceno e amaranto) affianchiamo sempre una di grassi buoni e una piccola componente proteica, da completare con una buona quantità, oltre la metà del volume visivo, di vegetali e in particolare di verdura.
Altro aspetto da tenere in considerazione, poi, è anche la resa finale del prodotto: meno saporiti, fragranti e appetibili dei loro "compari" con glutine, gli alimenti gluten free sono destinati a chi soffre di una patologia seria, la celiachia per l'appunto, e dunque adatti a rispondere a delle esigenze reali e specifiche.
Consumati nell'erronea convinzione che facciano dimagrire – senza che vi sia un bisogno autentico – non apportano alcun beneficio e non ci appagano nemmeno a livello gustativo. Come sempre la differenza la fa la qualità dei prodotti che acquistiamo e la loro frequenza d'uso.