Si pensa che carne e pesce siano essenziali per dare sapore, presenti nella maggior parte delle specialità made in Italy. In realtà non è così, perché dagli spaghetti al pomodoro alla caponata ci sono grandi classici che non hanno ingredienti di origine animale.
Probabilmente non salta subito all’occhio, tra taglieri di salumi e formaggi, cotolette o spaghetti alle vongole, ma la cucina italiana offre una varietà sorprendente di piatti tradizionali che, senza alcuna necessità di adattamenti, sono vegani. Ebbene sì: molti dei grandi classici non prevedono carne, pesce o derivati animali, ma si basano esclusivamente su ingredienti vegetali legati al territorio, tra ortaggi e legumi superstar. Zuppe rustiche, focacce fragranti, ma anche pastasciutte genuine e contorni di stagione: le ricette arrivano soprattutto dall'eredità contadina e popolare, che doveva sfruttare il poco a disposizione con gusto e creatività. Di seguito, ecco 15 ricette vegane che sono delle vere e proprie icone della gastronomia made in Italy, tra spaghetti al pomodoro, caponata, farinata di ceci e polenta.
Iniziamo da un classico intramontabile della cucina italiana, la pasta al pomodoro nella versione più iconica che c’è. Semplici e ricchi di sapore, sono considerati uno dei simboli della famosa dieta mediterranea: per il condimento bastano pomodori maturi, dai San Marzano ai datterini, a seconda della dolcezza che si vuole dare, aglio, olio extravergine di oliva e foglioline di basilico fresco, per un inno completo al tricolore. Si tratta di un piatto diffuso da nord a sud, sinonimo di genuinità.
Farina di ceci, acqua, olio extravergine d’oliva (o di semi) e sale: sono questi gli ingredienti alla base di diverse preparazioni che in alcune zone dell’Italia rappresentano un amato street food. Dalla Liguria e dalla Toscana arrivano la farinata di ceci, la cecina e la torta di ceci, dalle ricette pressoché identiche che prendono però nomi diversi a seconda della provenienza. Si cuociono su ampie teglie e hanno la caratteristica di essere croccanti fuori e morbide all’interno: probabilmente venivano preparate già in tempi antichi, anche se leggenda vuole che sia stata messa a punto per sbaglio dai marinai dopo il naufragio di una nave durante la battaglia della Meloria (1284), tra Pisani e Genovesi. In Sicilia, con la stessa combinazione e l’aggiunta di prezzemolo si realizzano le panelle, creando un impasto tagliato a rettangoli e poi fritto, da gustare in mezzo a una mafalda in veste di “pane e panelle”
Tipica della Toscana e in generale dell’Italia Centrale, la panzanella è una specialità fresca e leggera che si realizza con pane raffermo ammollato (in Toscana è quello “sciocco”, senza sale), pomodori, cipolle rosse, cetrioli e basilico, il tutto condito con olio extravergine, aceto e sale. Nasce come piatto contadino per recuperare il pane avanzato, ideale da consumare fresco durante le calde giornate estive. Una versione pugliese e lucana di questa insalata è chiamata cialledda e si trova spesso nei ristoranti di Matera.
Arriva dalla Sicilia questa minestra tradizionale saporita e aromatica: il macco di fave ha la consistenza di una crema densa che viene preparata con fave secche cotte a lungo e ridotte piano piano in purea. Si arricchisce con finocchietto selvatico, un soffritto di carote, sedano e cipolla o cipollotto e si completa con un bel giro d’olio: è un piatto povero che si fa risalire ai tempi degli antichi Greci e che esalta questo diffusissimo legume, in particolare nell'agrigentino.
Restiamo sull’isola, perché è impossibile non citare la caponata, il celebre contorno palermitano che ha conquistato tutta Italia, spingendosi ben oltre i confini siciliani. La ricetta è un vero e proprio capolavoro della tecnica dell’agrodolce, dove si sposano melanzane fritte, pomodori, cipolle rosse, olive, capperi, sedano, uvetta, pinoli, il tutto condito con una salsina composta da miele, aceto e cacao amaro. Potrebbe essere nato come un piatto marinaro, dove il protagonista era il pesce capone (detto anche lampuga), che poi si è perso. Ne esistono più versioni: se ne trovano con i peperoni fritti come nel trapanese o con le patate, come si fa a Catania.
Conosciuto anche come fae e fogghie o fae e foje, fave e cicoria è una delle specialità pugliesi più note: un piatto che arriva dalla tradizione contadina (anche se risalirebbe fin dai tempi degli antichi Greci, tanto che viene definito da Aristofane come il preferito da Ercole) e per questo semplice e rustico, realizzato con pochi ingredienti. Si fa un purè di fave che viene servito su un letto di cicoria selvatica, precedentemente sbollentata in padella. Il risultato è un piacevolissimo contrasto tra dolce e amaro che si accompagna con buon olio extravergine a crudo e fette di pane casereccio, meglio ancora se abbrustolite.
Prendiamo questo classico salentino a base di pasta fresca (tria) e ceci (ciceri) per parlare in senso più ampio di tutte quelle ricette in brodo che uniscono cereali e legumi, dalla pasta e ceci a quella con i fagioli, tanto per citare due evergreen. Ovviamente si parla di pasta fresca senza uovo, realizzata a mano con semola, acqua e un pizzico di sale, tipica della tradizione del Sud Italia. Ciceri e tria è una pietanza che ha la caratteristica peculiare di avere una parte di pasta fritta, che aggiunge una sfiziosa nota croccante: viene citata già nel 35 a.C. dal poeta Orazio.
Zuppe, minestre e minestroni non mancano nel menu vegano made in Italy. Sono tutte ricette che provengono dal mondo contadino e popolare, dove ortaggi e legumi erano materie prime a disposizione a seconda della stagionalità. Quando si poteva, per avere maggiore nutrimento e sapore, allora si arricchivano con un pezzetto di formaggio (basta pensare alle croste del grana) o con del lardo, cotiche o pancetta provenienti dal maiale. Come rappresentante vegan al 100% ecco la famosa ribollita toscana dove spiccano il pane sciocco raffermo, il cavolo nero e i fagioli cannellini, alimenti molto legati al territorio: la zuppa prende il nome dalla doppia cottura, in quanto erano gli avanzi del giorno precedente che venivano ri-bolliti.
Altro piatto toscano che ha la funzione di ricetta del riciclo è la pappa al pomodoro: bastano pane raffermo (sempre lui, quello sciapo), pomodori ramati maturi, aglio, basilico, olio d'oliva e qualche mestolo di brodo vegetale. Il piatto proviene anch’esso dall’inventiva dei contadini che non potevano permettersi di sprecare il pane, neppure quello che si induriva e che andava quindi impiegato: è già descritta nel 1907 nel Giornalino di Gian Burrasca di Luigi Bertelli (con lo pseudonimo di Vamba), pubblicato a puntate sul Giornalino della Domenica e poi diventato un romanzo. Raggiunge la popolarità con il brano del 1964 “Viva la pappa col pomodoro” cantato da una giovanissima Rita Pavone.
Accorpiamo due ricette tipiche della cucina della Capitale che hanno come protagonista lo stesso ortaggio, il carciofo, nella varietà primaverile – si trova da febbraio a maggio – detta mammola. I carciofi alla giudia sono un piatto della tradizione degli ebrei di Roma: sono semplici e scenografici allo stesso tempo, visto che vengono fritti interi, così da diventare croccanti e dorati. Anche quelli alla romana vengono lasciati intatti, ma hanno una preparazione completamente diversa che li vede puliti, insaporiti con un trito di prezzemolo, menta e aglio e poi disposti a testa in giù in una casseruola e cotti lentamente, con poca acqua e olio extravergine di oliva: sono pronti quando risultano teneri e cedevoli. Una coppia di contorni che si può gustare in ogni “trattoria de Roma”.
Tra i legumi made in Italy più usati in cucina di sono i fagioli: tra le tante tipologie una è molto amata per la sua consistenza cremosa. Stiamo parlando dei cannellini, che sono l’ingrediente di un contorno toscano molto gustoso: i fagioli all’uccelletto, stufati lentamente nel sugo di pomodoro aromatizzato con salvia e alloro. Accompagnano spesso secondi di carne (tipo la salsiccia), è vero, ma in realtà sono un piatto nutriente e versatile: Pellegrino Artusi, considerato il padre della cucina italiana, li proponeva anche come piatto unico. Il nome deriverebbe dalla somiglianza con il condimento per gli uccelletti, piccoli volatili che si cucinavano insaporiti con aglio, salvia e olio d’oliva.
Sono diventati negli anni una ricetta di culto, simbolo della praticità e della rapidità: anche se il frigorifero è vuoto, con questi ingredienti si può preparare un piatto sopraffino in pochissimi minuti. Cosa serve? Proprio quello che suggerisce il nome e che si trova spesso in dispensa. Sono il classico spaghetto della mezzanotte, ma vengono anche proposti come piatto gourmet, da realizzare a regola d’arte per risultare sopraffino. Una curiosità? Alcuni ristoranti lo servono pure come dessert.
La focaccia: se non ci fosse, bisognerebbe inventarla. E, infatti, ci hanno pensato in tanti, sparsi tra le varie regioni, a rendere l’impasto del pane (bastano farina, olio extravergine d’oliva, acqua, lievito e sale) ancora più goloso. In Italia le più famose che non prevedono ingredienti di origine animale sono la focaccia genovese, quella basic, croccante e unta, perfetta anche a colazione, e quella barese, arricchita con polpa di pomodoro, origano e, in diverse versioni, con le olive baresane. Variazioni sul tema sono la schiacciata toscana e la pizza bianca romana: ad accomunarle tutte l’origine che si perde nella notte dei tempi e, ça va sans dire, la bontà.
Un prodotto da forno che ha estimatori fuori dai confini regionali è senza dubbio le frisella: tipiche della Puglia, si tratta delle note ciambelle di pane biscottato che vengono bagnate con acqua prima di essere condite, così da ammorbidirsi, ma non spappolarsi: olio extravergine d’oliva, pomodori freschi, origano e olio d'oliva sono un must have. Si tratta di uno degli esempi più popolari che valorizzano due tipicità italiani come il pane e il pomodoro, tanto che anche la classica bruschetta rientra in questa categoria.
Concludiamo la rassegna con un cibo che ha dato il soprannome a chi abita dal Po' in sù: la polenta. La sua ricetta base, infatti, è senza orpelli: solo farina di mais, acqua, un pizzico di sale e tanto olio di gomito. Nel Nord Italia era il piatto che ogni giorno i contadini vedevano comparire sulla tavola, perché sostanzioso ed economico: ora si serve come contorno, per accompagnare spezzatini, pesce in umido o fritto (uno su tutti il baccalà) e ragù, ma in versione vegana è ancora buonissima in tandem con i funghi, ideale quando le temperature si abbassano in autunno e in inverno.