In Giappone i cachi sono il frutto nazionale e a causa della loro veloce maturazione, da secoli si essiccano secondo la tecnica dell'hoshigaki. Un procedimento semplice ma che richiede tempo e spazio e che ha trovato, in questi mesi di lockdown, diversi sostenitori. Il risultato è un energizzante naturale e gustoso, da usare in diverse ricette, dolci e salate.
Poche cucine al mondo ispirano il senso della pazienza come quella giapponese: del resto, il tempo è un fattore fondamentale nelle ricette del Sol Levante e molte tradizioni sono tramandate da millenni. È il caso dell‘hoshigaki, l'essiccazione del frutto del cachi: una procedura che viene fatta nelle case con grande impegno, perché i cachi maturano quasi tutti contemporaneamente e, per non sprecarli, bisogna darsi da fare. Il procedimento a casa è semplice ma lungo e non è un caso che questa antica pratica ha riscosso un certo successo proprio a partire dai mesi scorsi, quando il lockdown ha offerto il tempo necessario per realizzare ricette "meditative".
Anche l'estetica è un elemento fondante dell'arte culinaria nipponica: immaginate i giardini autunnali delle dimore giapponesi pieni di frutti arancioni e giallo carico e poi, a inizio inverno, gli stessi pomi appesi ai tetti delle case in lunghe file verticali. Sono vere e proprie cascate di hoshigaki, che pendono dai portici per prendere sole e aria e portare a termine così l'essiccazione: un po' come si fa da noi con i pomodori.
Tutto ciò che serve, a parte i frutti, è dell'acqua bollente, dello spago e un bastone. Vanno scelti i cachi non ancora maturi, e se si ha la fortuna di poterli raccogliere, meglio lasciare un pezzo di rametto. Vanno poi pelati, tranne che in cima, intorno al picciolo: questo parte va legata a un pezzo di spago con il quale si forma un anello.
A questo punto si possono immergere per pochi secondi i cachi nell'acqua bollente, in modo da eliminare i tannini che costituiscono la parte più amara: poi vanno sgocciolati e asciugati, prima di appenderli a un bastone orizzontale. La collocazione ottimale è all'aperto, ma al riparo dell'umidità: in caso contrario va bene anche una zona areata della casa. Il tempo di essiccazione varia molto a seconda delle condizioni ambientali, ma due settimane sono il tempo minimo necessario. Operazione importante da non dimenticare è quella di massaggiare i frutti una volta al giorno: questa pratica, che deve iniziare una settimana dopo aver appesi i frutti, consente agli zuccheri di essere distribuiti in maniera equilibrata. I cachi così trattati saranno pronti quando il loro aspetto sarà avvizzito e dal volume ridotto, ma avranno un bel colore ambra scuro. Possono essere conservati per diversi mesi in una latta o in un barattolo di vetro.
La consistenza del cuore è morbida, sono più asciutti invece all'esterno. Possono ricordare i fichi secchi, ma sono meno dolci rispetto a questi e, in generale, meno zuccherati di altra frutta secca. Sono anche leggermente speziati e sono belli da vedere grazie alla fioritura di zucchero che ricopre la superficie, donando al frutto una patina cristallina. In Giappone si usa regalarli a Capodanno a causa del loro colore rosso ben augurante e sono considerati un dono pregiato. Al palato la consistenza è gommosa e umida, la sensazione dolce non è mai stucchevole ed è calibrata da un sentore muschiato e floreale.
Per quanto riguarda il loro uso in cucina, il cachi essiccato è innanzitutto un ottimo energizzante naturale, se mangiato a piccoli pezzi: può essere unito ai cereali nello yogurt della colazione, o usato per l'antipasto, presentandolo insieme ai formaggi stagionati, come si fa con le confetture. Nei dolci possono essere sminuzzati o tritati per realizzare delle torte o dei biscotti. In Giappone si accompagnano a fumanti tazze di tè.
In Giappone, l’albero del cachi (attenzione, il nome rimane al plurale anche quando ci si riferisce a un frutto solo) è un simbolo di pace poiché alcune piante sopravvissero al bombardamento atomico di Nagasaki: per questo il cachi è anche il frutto nazionale. È uno dei più antichi alberi da frutto: la sua domesticazione risale infatti a più di 2000 anni fa in Cina. La coltivazione si è dapprima estesa a tutto l’Oriente per arrivare in Europa verso la metà dell’Ottocento. Attualmente, è ampiamente coltivato in Cina, Giappone, Corea, Stati Uniti e Brasile, ma anche l’Italia si difende bene: è diffuso principalmente in Emilia-Romagna, in Campania e in Sicilia. Proprio in queste aree sono state riconosciute le denominazioni di tipicità Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), per il Loto di Romagna, il Kaki vaniglia napoletano e il Kaki di Misilmeri, in provincia di Palermo.