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13 Novembre 2024 16:17

Guide e classifiche a pagamento, la bufera è all’orizzonte: il caso di Forbes

L'ultimo caso è quello di Forbes, ma il problema investe tutto il settore: quello delle guide "a pagamento" e del conflitto di interesse fra chi giudica e chi "sponsorizza" i ristoranti stessi.

A cura di Francesca Fiore
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Dopo il boom della gastronomia e anni di cieca fiducia in guide e classifiche – soprattutto da parte degli addetti ai lavori, tocca ammetterlo – ecco arrivare la resa dei conti: da diverso tempo i prodotti editoriali più o meno famosi che recensiscono ristoranti e chef sono sottoposti sempre di più a un fuoco incrociato di critiche. Da quelle più "innocue"- si fa per dire – in cui si sostiene che gli ispettori non visitino davvero i ristoranti e si limitino a copiare le schede per anni e anni, a quelle più gravi, che coinvolgono presunti pagamenti in cambio di posti all'interno della guida. L'ultima in ordine di tempo riguarda Forbes ed è stata lanciata da Selvaggia Lucarelli: la giornalista fa, dalle colonne del Fatto Quotidiano, un'accusa molto pesante, quella di pretendere pagamenti per la maggior parte dei ristoranti menzionati.

L'accusa a Forbes: pretendere un pagamento dai ristoratori

Selvaggia Lucarelli, nota giornalista e opinionista italiana, ha sollevato un'accusa molto grave nei confronti della guida di Forbes sui ristoranti innovativi, ovvero che alcuni ristoranti fossero stati inclusi nella lista in cambio di un pagamento. Secondo quanto scrive la giornalista, a chi si ritrova nella guida “100 ristoranti&co innovativi 2025”, realizzata in collaborazione con Il Forchettiere e curata dal direttore dello stesso Marco Gemelli, sarebbero stati chiesti 2.500 euro più Iva per essere inseriti nell'elenco, tramite una mail corredata di press kit e proposta economica.

La risposta di Gemelli, a sorpresa, è stata una parziale ammissione: "più della metà" dei ristoranti che si ritrovano nella guida hanno pagato per esserci, a eccezione dei "grandi nomi", che sarebbero stati selezionati per rendere l'elenco credibile e spingere i piccoli a pagare per essere messi nella stessa lista. Inoltre, per chi si iscriveva subito, erano previsti degli sconti sulla cifra iniziale. Il direttore del Forchettiere ha aggiunto che la proposta economica viene mandata solo a ristoranti selezionati, ma non tutti i locali scelti sono entrati nella guida.

Si tratta di un caso che destabilizza e assesta un colpo a tutto il settore, anche se Forbes non è certo una rivista specializzata in gastronomia: lo stesso focus della guida è su un fumoso concetto di "innovazione", declinabile in mille modi differenti. Già qui si ravvisa un deficit di trasparenza rispetto ai nomi inseriti nella lista: i ristoranti sono valutati solo sotto il profilo dell'innovazione o anche sotto quello strettamente gastronomico, in termini qualitativi? E il concetto di innovazione, esattamente, a quali criteri corrisponde nella pratica? Si tratta di due domande per nulla banali che stanno a monte del caso stesso.

I conflitti di interesse degli uffici stampa

Una parte della vicenda che a nostro avviso è molto importante è quella del conflitto fra chi scrive di ristoranti e chi fa da ufficio stampa a quegli stessi ristoranti. Il conflitto si pone quando si tratta della stessa persona.  Una delle parti più interessanti dell'articolo di Selvaggia Lucarelli, passata forse un po' in sordina, è quella che riguarda proprio questo conflitto: pare che lo stesso Gemelli lavori anche come ufficio stampa per alcuni dei ristoranti selezionati. Si tratta di un bubbone enorme che nessuno del settore vuole affrontare e che deriva direttamente dal fatto che l'intero comparto delle guide non è economicamente sostenibile, come spiegavamo tempo fa quando parlavamo del mestiere del critico, definendolo con una provocazione "un hobby per bambini ricchi". Un problema che difficilmente avrà qualche chance di risoluzione se non si ripesano i prodotti editoriali dedicati ai ristoranti ma, più in generale, il tema della sostenibilità del giornalismo gastronomico e alimentare.

È chiaro che la necessità principale del settore in questo momento è quella di un miglioramento in termini di trasparenza e correttezza professionale, ma è impensabile che ha fare questo passo avanti siano proprio i protagonisti del giornalismo gastronomico in un circolo che definiremmo vizioso, dove a stabilire le regole del "giudizio" è proprio chi giudica. Sarebbe auspicabile invece un processo che coinvolga più attori, compresi le organizzazioni di categoria che si occupano della stampa e che riesca a mettere sul tavolo la complessità dei problemi da affrontare.

Come costruiamo le nostre guide

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Quello che i piatti non dicono
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