Un contrasto di sapori antichissimo che unisce l'agro e il dolce, protagonista non solo di piatti che arrivano da lontano, come la tipica salsa cinese, ma anche della tradizione italiana. Ecco le sue origini e come usarlo in cucina.
Caponata, cipolline, tortelli mantovani, ma anche tipici piatti orientali: quando si pensa all’agrodolce vengono alla mente ricette con alla base ingredienti agli antipodi sapientemente dosati e uniti per creare uno dei contrasti di sapore più utilizzati in tutto il mondo. Una combinazione che vede in primo piano l’accoppiata vincente dell’agro, dato solitamente dall’aceto, dagli agrumi e da frutti dalla spiccata acidità come la melagrana, e del dolce, come lo zucchero, il miele o, ancora una volta, la frutta, tipo l’uva passa, che disidratandosi diventa zuccherina.
L’impiego dell’agrodolce in cucina si fa risalire addirittura ai persiani pre islamici dell'Iran, con la loro filosofia dello zoroastrismo che contemplava gli opposti nella continua lotta tra bene e male riflettersi anche nel cibo, e senza ombra di dubbio era tra i più gettonati nell’antica Roma, come testimoniano i testi del gastronomo Apicio, in cui vengono spesso citati insieme il miele e l’aceto, e dove faceva capolino anche il garum, un condimento a base di interiora di pesce fermentate molto popolare.
Nel Medioevo la gamma di possibilità si amplia, con l'introduzione delle arance e dei limoni, mescolate con i già presenti aceto, datteri e uvetta, e dell’agresto, uno sciroppo che arriva dal mosto aromatizzato con spezie tipo la cannella e il miele, con cui si preparano soprattutto salse in accompagnamento al pollame, alla cacciagione e al pesce, e che ritroviamo anche per tutto il Rinascimento. Appannaggio più dei nobili che del resto della popolazione (sono tutti ingredienti costosi), l’agrodolce diventa un ottimo modo per conservare i cibi, specialmente da quando in Europa si ha, dopo la scoperta dell’America, una maggiore disponibilità prima di zucchero di canna (che Colombo aveva portato dall’altra parte del mondo e fatto coltivare in modo massivo dagli schiavi nelle piantagioni) e, dal Settecento in poi, quello ricavato dalla barbabietola.
Quand’è che l’agrodolce subisce una battuta d'arresto e inizia a non essere più una regola ai fornelli? Il punto di svolta si può individuare nell’avvento della gastronomia francese del XVII e XVIII secolo, quando “rivoluziona i gusti tradizionali del Medioevo e del Rinascimento, elaborando un nuovo modello di cucina non più basato sull’idea dell’artificio e sui contrasti di sapori, ma su nuovi principi quali la naturalità, la delicatezza e la separazione dei sapori”, come scrive Umberto Eco nella sua raccolta Storia della Civiltà Europea. Da questo momento diminuiscono l’aceto e le spezie, a favore dei grassi, come il burro e l’olio, in veste di condimento, che alterano meno il gusto “originario” dell’alimento.
Non solo cipolline, peperoni, carote o verdure in agrodolce, perfette come antipasto o contorno. In Italia ci sono moltissimi esempi di ricette agrodolci retaggio di epoche passate. In Sicilia, per esempio, questa tecnica si esplicita in diversi piatti della tradizione, uno su tutti la caponata, con le verdure insaporite in un mix di aceto, miele o zucchero e uvetta. Tipica dell’isola anche la zucca in agrodolce, prima fritta nell’olio e cotta ulteriormente in una miscela di aceto e zucchero. Tra i piatti nordici più noti, invece, impossibile non citare i tortelli alla zucca mantovani, con il ripieno arricchito di amaretti e mostarda, che altro non è che una conserva che sfrutta l’acidità e la dolcezza naturale della frutta (tipo pere, mele cotogne) aggiungendo lo zucchero, che ne aumenta la shelf life. In Veneto, le sarde in saor sono uno dei piatti più conosciuti, che vedono la cipolla fatta appassire in padella con aceto e uvetta.
Creare un equilibrio di sapori utilizzando le salse è molto diffuso nella cucina orientale, dove l’unione tra l’agro e il dolce è uno degli abbinamenti must have. Spesso, infatti, più che con caponata, agrodolce fa rima con specialità che arrivano dalla Cina – anche rivisitate in stile occidentale – come il maiale o il pollo – dove sono protagoniste marinature o laccature con salsa di soia, aceto di riso, zucchero, ma anche succo di ananas e ketchup, come nella famosa salsa agrodolce. Stessa cosa succede in India e nell’Asia Meridionale con il chutney, un condimento speziato dalla consistenza simile a quella della confettura, ma con un’anima agrodolce a base di frutta e verdura (dal mango al cocco, passando per i peperoni), da cui possiamo prendere ispirazione per realizzare degli sfiziosi pomodori con zucchero di canna e aceto di mele, oppure cipolle rosse di Tropea con zucchero e aceto di vino.
Una ricetta molto gustosa da “copiare” è quella della salsa di arachidi vietnamita, che si usa in abbinamento ai tradizionali involtini di gamberi, facile da realizzare nella nostra versione con burro di arachidi, aceto di riso, miele, acqua, salsa di soia e olio di sesamo; più difficile da reperire in Italia la nuoc cham, sempre presente in Vietnam, con salsa di pesce fermentato (sembra il garum che torna), zucchero e succo di lime.